Lino Fiorito – Giocare a scomparire
Mostra personale
Comunicato stampa
Clemens-Carl Härle
Giocare a scomparire
L’uno: Il termine “Verschwindspiel”, giocare a scomparire, allude, mi sembra, a un altro termine, giocare a nascondino.
L’altro: Certo. Benjamin racconta questo aneddoto: “Viene dalla Cina e narra di un vecchio pittore che mostrava agli amici il suo ultimo dipinto. Vi si vedeva un giardino e uno stretto sentiero che, lungo l’acqua e attraverso un boschetto, si snodava fino alla piccola porta di una casupola nello sfondo. Quando però gli amici si volsero verso il pittore, egli era svanito ed era nel quadro. Là egli percorse lo stretto sentiero verso la porta, vi si fermò in silenzio davanti, si girò, sorrise e sparì nel suo vano”.
L’uno: Lino Fiorito, un pittore cinese che si è smarrito ed è finito a Napoli?
L’altro: Vediamo. Per prima cosa la grammatica di nascondere è diversa da quella di scomparire. Nascondere è relativo, si nasconde qualcosa o ci si nasconde dietro qualcosa per sottrarre temporaneamente qualcosa, o noi stessi, alla vista di altri. Scomparire, invece, è intransitivo, irreversibile e assoluto, un verbo senza complemento: non si può scomparire qualcosa o scomparirsi. Niente fa pensare che il pittore cinese di Benjamin ritorni dalla porta della casupola dipinta. Nel primo caso si tratta dell’apparire e della sua sospensione passeggera, nel secondo di una scomparsa definitiva.
L’uno: Physis kryptesthai philei. La natura ama nascondersi, è scritto, credo, in un frammento di Eraclito. Deleuze aveva forse in mente questa frase, quando nell’Abecedario dice che solo gli animali sanno morire. Spariscono, semplicemente, la loro morte non diventa occasione di tutto un teatro, che tiene per giorni con il fiato sospeso l’intera casa, come la morte del signor Brigge nel romanzo di Rilke. Diversamente dal pittore cinese, gli animali non lasciano nemmeno un quadro o una traccia, per scomparirci dentro. E quanto al pittore cinese, non bisognerebbe forse dire che, in quanto o poiché scompare come persona, egli appare come quadro o appare un quadro? E la frase di Eraclito, si può davvero in questo caso fare una distinzione tra nascondere e scomparire? O bisogna dare ragione a Heidegger, quando in modo un po’ pedante scrive: “Solo ciò che secondo la propria essenza si rivela e deve rivelarsi può amare nascondersi”? La possibilità di nascondersi e di scomparire, così si potrebbe
interpretare l’affermazione di Heidegger, sembra avere nell’apparire la sua condizione di possibilità. Invece di parlare della pittura o dell’arte, siamo arrivati improvvisamente proprio a quello che sembra contrapporsi alla pittura e all’arte…
L’altro: Pensavo alle immagini negli acquerelli e nei dipinti di Lino Fiorito. Più che figure vere e proprie sono schemi o forse addirittura chimere, semplici allusioni a figure, senza forma determinata, senza nome e senza riferimento. Nonostante la varietà dei colori, quelle immagini non sono veramente qui ed ora, ma sono piuttosto meri riflessi che vagano sulla retina, danzanti e giocosi, che vanno e vengono, balenano e si spengono, fissati per un attimo in uno spazio sconosciuto. Appaiono e scompaiono, senza che si sappia da dove provengano e dove finiscano. Fort und da, c’è, non c’è.
L’uno: Sì, proprio così.
L’altro: Forse l’agire dell’artista non va inteso sul modello del pittore cinese ma piuttosto su quello del gioco infantile di cui parla Freud in Al di là del principio di piacere. Un bambino di un anno e mezzo lancia un rocchetto di legno, legato con una cordicella al lettino, oltre la sponda del letto, finché non scompare e diventa invisibile, e un attimo dopo lo tira di nuovo
fuori dal suo nascondiglio. Non solo la mano ma anche il linguaggio prende parte al gioco. La soddisfazione per la scomparsa del rocchetto si esprime in un o-o-o-o prolungato, in cui Freud riconosce la parola fort, la sua ricomparsa in un allegro da… Non voglio qui soffermarmi sulle diverse interpretazioni con le quali Freud cerca di comprendere l’osservazione di quel gioco.
È sorprendente il fatto che egli intenda lo scomparire “come condizione che prelude alla piacevole ricomparsa” e consideri quella ricomparsa come “il vero scopo del gioco”. D’altra parte, però, egli nota che il primo atto, quello di far scomparire, spesso “era inscenato come gioco a sé stante”.
L’uno: Sembra quindi che la prospettiva di Freud sia diversa da quella di Heidegger. Decisivo è il piacere, il gioco. Per poter provare piacere nel nascondere e nel nascondersi, la natura, così afferma Heidegger, deve essere situata nel regno dell’apparire, della luce, del mostrarsi. Freud suggerisce invece che il piacere del gioco e della sua ripetizione – e che cosa sarebbe mai un
gioco che non genera da sé il piacere della ripetizione? – rende secondaria la differenza tra apparire e scomparire.
L’altro: Non succede qualcosa di simile anche quando si dipinge o si disegna? Leggere,
arbitrarie e anonime così come appaiono, le immagini di Lino Fiorito sembrano scaturire da un gioco nel quale si mescola appunto una particella di piacere, perché esso oscilla con apparente noncuranza fra il far apparire e il far scomparire e continuamente torna a inscenare quell’oscillazione. Nella loro molteplicità, quelle immagini mostrano il godimento di
quell’oscillazione. Si tratta quasi di figure residuali o evanescenti. La virtualità della loro assenza permane anche nell’attualità della loro presenza, tanto che l’attualità di quella presenza finisce per diventare a sua volta una pura virtualità.
L’uno: Questo vale probabilmente per gli acquerelli e i dipinti. Ma le ceramiche? Con la loro materialità, non sono forse situate nello stesso spazio dell’osservatore, che può quasi afferrarle con le mani? Non è insita in loro la gravità, propria di ogni corpo, tanto più che l’elemento orizzontale, la posizione distesa si manifesta con più forza dell’elemento verticale,
dell’elevazione?
L’altro: Le sculture sono un caso limite. Nascono, mi sembra, dallo sforzo di far valere la forza seduttiva dello scomparire, la semplice allusione a una presenza, anche là dove un tale tentativo appare fuori posto o addirittura disperato. Le ceramiche di Lino Fiorito sono messaggi provenienti da un altro mondo capitati nel mondo opaco delle cose, schegge di colore e di forme, evanescenti e bizzarre, finite nel mondo delle esistenze inerti, mute e utili che non conoscono la leggerezza, l’inutilità, il gioco.