Lino Selvatico – Mondanità e passione quotidiana
A Padova, la più ampia retrospettiva mai realizzata sul pittore veneziano.
Esposte per la prima volta anche numerose opere grafiche, rinvenute da meno di un decennio, che segnano l’assoluta originalità dell’artista.
Comunicato stampa
Tra i più richiesti e apprezzati ritrattisti del primo Novecento italiano, “squisito indagatore dell’anima attraverso le fattezze del volto umano” come lo definì Pompeo Molmenti, Lino Selvatico (1872-1924) è stato recentemente riproposto all’attenzione della critica e del pubblico e sarà ora protagonista a Padova della più ampia retrospettiva mai realizzata sull’artista, destinata - con oltre cinquanta dipinti e sessanta opere di grafica, esposte queste ultime per la prima volta - a imporsi come momento cardine nella rivalutazione della sua figura.
Prodotta dal Comune di Padova con il Comitato Celebrazioni Lino Selvatico Pittore, allestita ai Musei Civici agli Eremitani dal 29 settembre al 10 dicembre 2017,
curata da Davide Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi e Federica Millozzi, l’esposizione metterà in luce non solo l’abilità dell’artista nei ritratti di tono mondano, ma anche le sue note di maggiore intimità,
l’attenzione a spunti di verità derivati dalla vita quotidiana che egli sapeva cogliere
con spirito familiare e affettuoso e rendere con
“scintillante perizia nella stesura di un colore vivo e vibrante”.
Mondanità e passione quotidiana dunque:
due tratti che connotano il percorso artistico e umano del Selvatico negli ambienti borghesi e aristocratici lagunari, milanesi o parigini,
così come nelle dimensioni familiari delle sue abitazioni,
a Mira e Biancade (la celebre Villa dell’Orso),
nel cruciale passaggio tra Otto e Novecento.
Figlio del poeta e commediografo Riccardo - che fu sindaco di Venezia e ideatore della Biennale Internazionale d’Arte - nato incidentalmente a Padova,
ove la famiglia aveva forti interessi commerciali, e laureato in legge all’ateneo patavino, Lino fin dal suo esordio
alla III Mostra Internazionale d’Arte del 1889 aveva mostratole grandi potenzialità
che lo avrebbero presto condotto al successo.
Come ritrattista era dotato di mezzi tecnici ed espressivi personali e sicuri, con un’abilità del tutto inedita nel rendere l’aura
e la personalità del personaggio effigiato. Così - grazie anche a una rete di relazioni di primo piano – le commissioni da ambienti alto borghesi e nobili divennero sempre più numerose, giungendo in qualche caso anche da esponenti di case reali, come fu per il ritratto di Alfonso III di Borbone giovane re di Spagna, realizzato nel 1922.
Frequentatore di intellettuali e artisti, ben introdotto
nei circoli di Venezia e Milano, amico dei Sarfatti, Selvatico raggiunse con la fama anche il riconoscimento da parte di critici autorevoli come Primo Levi,
Pompeo Molmenti, Vittorio Pica e il potentissimo Ugo Ojetti,
partecipando a numerose esposizioni nazionali (dall’Esposizione di Belle Arti
a Roma nel 1907 a quella Nazionale di Brera nel 1908) e internazionali,
da Monaco, a Dusseldorf, da Buenos Aires a Dresda.
“Selvatico era però un artista sensibile e attento anche ad altri aspetti – scrive Davide Banzato nella sua introduzione al catalogo della mostra, edito da Grafiche Turato - in continua evoluzione, capace di combinare a una visione sostanzialmente realistica spunti dal simbolismo e dal liberty e seguire il nuovo vento che spirava sulle arti durante e dopo gli anni travagliati del primo conflitto mondiale”.
In particolare è nei nudi che il pittore riesce a trasfondere stati d’animo
che vanno dalla semplice ammirazione formale, all’eleganza
della linea e delle forme, no a una vera passione per il femminile.
Le donne rimangono protagoniste dei suoi dipinti,
anche descritte nella loro nudità ma sempre come icone moderne:
nelle loro pose, con le loro sigarette e il loro languore.
Aspetti emblematici dell’arte di Selvatico, che emergono anche nella ricca
e ancora poco nota produzione grafica,
esposta in questa mostra per la prima volta.
Nel percorso espositivo a Padova, ci saranno infatti, in dialogo con i dipinti,
anche i disegni e le stampe dell’artista (rinvenuti solo nel 2008):
studi preparatori e interpretazioni grafiche dei soggetti a lui più cari, rivelatori della sua altissima qualità di disegnatore e incisore, sperimentatore di tecniche raffinate in particolare, appunto, negli stupendi nudi femminili.
UNA ASSOLUTA NOVITA'
PER IL PUBBLICO E PER LA CRITICA
Selvatico si scopre dunque ricercatore di perfezione tanto nella pittura,
con colori corporei ma allo stesso modo evanescenti,
quanto nello studio del segno e soprattutto nell’opera incisoria,
una tecnica che non ammette errori e che egli aveva appreso
da Emanuele Brugnoli, fondatore della libera scuola di incisione - dopo la chiusura della relativa cattedra all’Accademia di Belle Arti nel 1875 - che regalerà a Lino il torchio ricevuto anni prima da Whistler.
Nella grafica sono evidenti i richiami all’espressionismo di area tedesca e in particolare al simbolismo di von Stuck.
Era certamente difficile, nell’epoca in cui in Europa s’imponevano le avanguardie, essere innovativi, soprattutto in ambito italiano, ma Selvatico nel suo
corpus grafico esprime originalità, sperimentando diverse tecniche - carboncino, graffite, gessetti, pastelli, sanguigna, acquarelli – e raggiungendo
notevoli effetti chiaroscurali e luministici.
Quella grafica è comunque una produzione più intima, in cui il pittore ricerca e libera la fantasia nel fissare i gesti del piccolo Riccardo come nel ritrarre le sue modelle nude, spesso erotiche ma mai volgari, mantenendo armonia ed eleganza compositiva: una produzione che egli volle tenere con sé no alla morte, giunta prematuramente nel 1924, a soli 52 anni.