ll Pavone – Abaco
Tra le maglie di una florida Palermo che, di contro ad una marginalità geografica, mantiene da sempre una posizione di spicco nel panorama culturale ed artistico, nasce il collettivo Il Pavone.
Comunicato stampa
“ Costruire un labirinto ideale significa ragionare e relazionarsi ad uno spazio, significa attraversarlo, distruggerlo, significa aggiungere un significato”
ll Pavone
Tra le maglie di una florida Palermo che, di contro ad una marginalità geografica, mantiene da sempre una posizione di spicco nel panorama culturale ed artistico, nasce il collettivo Il Pavone.
Il gruppo, composto da Genny Petrotta, Emilio Orofino, Sergio Minaldi e Domenico Palmeri, è impegnato da molti anni nel costruire installazioni ed esperienze audiovisive che indagano, attraverso una forte relazione col territorio/i, il rapporto tra naturale e artificiale, seguendo molte differenti traiettorie.
Muovendosi abilmente tra vari mezzi espressivi, la loro ricerca tende a leggere in filigrana gli aspetti sociali che costituiscono la relazione tra paesaggio naturale e paesaggio urbano.
Per la prima volta a Roma, Il Pavone realizza ABACO, un intervento site-specific che, prendendo le mosse dagli stimoli offerti dalle caratteristiche sociali e architettoniche di Spazio Y e del contesto in cui si trova, si allarga ad una riflessione più generale sulle forme di resilienza/resistenza che la materia vivente mette in atto.
Partendo dal presupposto secondo il quale i modelli naturali, sia di carattere spaziale che dinamico e sociale, si differenziano fortemente dai modelli umani, il collettivo il Pavone riflette su questi ultimi, nella tendenza a formulare e realizzare forme sociali e architettoniche che hanno determinato il nascere di un sistema in antitesi con l’ecosistema e lontano dalle logiche armoniche presenti in natura.
Il titolo del progetto: ABACO si riferisce infatti al primo sistema di calcolo inventato dall’uomo, volto a sottolineare la tendenza ad avere un controllo di ciò che lo circonda, sottolineando al contempo la limitatezza delle sue capacità rispetto alla natura.
Scegliendo il labirinto come segno tutto umano di una modalità di costruzione/costrizione, opposta ai pattern “resilienti” (modulari, frattali, a rete, lineari o lobali ecc.) specificamente naturali, gli artisti traducono in una metaforica narrazione per immagini questa netta discrepanza.
Obiettivo dell’azione è stato realizzare un simbolico labirinto, dargli fuoco nella campagna di Palermo e portarne i resti a Roma. Il labirinto, rigido disegno geometrico emblema della complessità, della sfida, dello spaesamento e del limite, è in questo caso un riferimento alla città, all’architettura contemporanea e alla costrizione che comporta viverci.
La scelta dei materiali per la costruzione della struttura, reperiti in una discarica, è infatti ricaduta su elementi che richiamassero le anguste abitazioni umane; frammenti di porte, finestre, elementi in marmo e divisori spaziali, sono andati a ricomporre in uno spazio di 12 mq (estensione identica a quella di Spazio Y) un’intricata e rudimentale struttura spaziale.
Il drammatico fuoco, che nell’azione proposta dal collettivo, distrugge il labirinto, si pone allora come una sorta di catarsi liberatoria dalla rigidità dei sistemi antropici, favorendo una riflessione sulla dicotomica relazione uomo/natura.
Finito l’incendio, come archeologi dell’effimero, gli artisti hanno raccolto i frammenti sopravvissuti e dopo averne catalogato i resti, ne hanno selezionato alcuni e trasportati a Roma, come preziose tracce del processo innescato.
La mostra, che vive attraverso la documentazione video della costruzione e della distruzione del labirinto, si completa dei pezzi sopravvissuti all’incendio e da esso trasformati, immergendoci in una poetica riflessione sul limite umano e sui concetti di resilienza e resistenza, due fulcri nodali che riallacciano l’opera al quartiere, Quadraro, un tempo chiamato “nido di vespe”.