Looking Glass
La mostra Looking Glass: Three Feminist Ways to Self-Portrait propone una riflessione sull’autoritratto fotografico nell’arte femminista italiana degli anni Settanta, a partire dalle opere di tre protagoniste di quella stagione, Tomaso Binga, Nicole Gravier e Paola Mattioli.
Comunicato stampa
La mostra Looking Glass: Three Feminist Ways to Self-Portrait propone una riflessione sull’autoritratto fotografico nell’arte femminista italiana degli anni Settanta, a partire dalle opere di tre protagoniste di quella stagione, Tomaso Binga, Nicole Gravier e Paola Mattioli. Tre donne si riappropriano della rappresentazione del corpo e della sessualità, libere finalmente dalla visione e dal desiderio maschili: i lavori di Binga, Gravier e Mattioli muovono dal privato per dare voce a una storia collettiva, rimasta fino a tempi assai recenti esclusa dal sistema dell’arte.
Per le donne, da sempre oggetto dello sguardo e della rappresentazione altrui, l’autoritratto serve infatti a raccontarsi, mettendo in gioco la propria identità e criticando gli stereotipi legati al femminile e al maschile. L’autoritratto fotografico, in particolare, concentra l’attenzione sul doppio ruolo della donna come soggetto e oggetto della rappresentazione: stare nello stesso tempo davanti e dietro l’obiettivo mette a nudo lo scarto esistente tra identità reale e fittizia, e la fotografia diventa il mezzo attraverso il quale scegliere la veste in cui raccontarsi agli occhi dell’altro, assumendo un ruolo attivo nelle dinamiche dello sguardo.
Nell’installazione Mater (1977) Tomaso Binga parte dal proprio corpo nudo, ritratto mentre assume la forma delle lettere che compongono, appunto, la parola Mater: crea così un alfabeto gestuale alternativo alla lingua corrente, considerata come una forma di espressione inautentica dalla cui costruzione la donna è rimasta esclusa. Le scritture viventi di Binga costituiscono perciò una radicale alternativa al linguaggio maschile. In Donna in gabbia (1974), poi, Binga denuncia la condizione di subalternità e la mancanza di libertà della donna: si rappresenta infatti dietro le sbarre, come un uccello prigioniero, imboccata da mani maschili, stigmatizzando così il controllo e il potere esercitati dall’uomo, troppo spesso contrabbandati come una forma di cura e protezione volta a tutelare il «sesso debole».
Gli autoritratti della serie Mythes et Clichés (1976-1980) di Nicole Gravier sono una critica agli stereotipi visivi della cultura dominante: l’artista si raffigura mentre simula pose e atteggiamenti tipici del fotoromanzo, appropriandosi dei canoni linguistici e delle inquadrature di questo genere popolare nato in Italia nell’immediato dopoguerra. Così facendo da un lato Gravier esaspera, criticandoli, non solo la banalità e il sentimentalismo del fotoromanzo, ma anche e soprattutto i luoghi comuni della rappresentazione del femminile trasmessi dai media; dall’altro, allo stesso fine, mette in primo piano elementi détournanti che stridono con l’atmosfera «rosa» della foto. Tutto è rappresentato in ambienti intimi come la camera da letto; le pose assunte dall’artista sono rilassate e lo sguardo non è rivolto in camera: lo spettatore è messo nella posizione del voyeur che ha accesso di nascosto a uno spazio privato, sottolineando quanto il processo fotografico, nel rappresentare il corpo, lo oggettualizzi.
La distanza tra l’immagine di sé e quella percepita dagli altri è, anche, al cuore della sperimentazione fotografica condotta da Paola Mattioli a metà degli anni Settanta: la sequenza in mostra, Diana (1977) – che ritrae Diana Bond allo specchio e mentre si toglie una maschera bianca dal volto – si lega alla pubblicazione del libro Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci immaginiamo, raccolta di materiali individuali ed esperienze collettive di un gruppo di donne impegnato a lavorare sull’immagine del femminile. Nel volume Mattioli presenta anche Donne allo specchio (o Faccia a faccia), una serie che indaga il rapporto della donna con l’immagine riflessa, concepita come un autoritratto corale, in cui l’autrice si identifica con i soggetti ritratti: «In ognuna di loro mi rispecchio anch’io, perché è nell’altra che ritrovo frammenti diversi del mio stesso guardarmi». Lo specchio diviene dunque strumento di un viaggio identitario pensato al plurale.
Tomaso Binga (Bianca Pucciarelli in Menna) è un’autrice di poesia visiva, sonora e performativa. Negli anni Settanta ha assunto un nome maschile in segno di protesta contro le disparità che caratterizzano la relazione uomo-donna. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive; tra queste si ricordano le esposizioni al femminile curate da Romana Loda (Coazione a mostrare, Magma, Il volto sinistro dell’arte), le mostre e le performance realizzate con Verita Monselles (Litanie Lauretane, Poesia Muta, Ti scrivo solo di domenica), la mostra Materializzazione del linguaggio, curata da Mirella Bentivoglio in occasione della Biennale di Venezia del 1978. Tra le mostre recenti si segnalano la retrospettiva Autoritratto di un matrimonio (Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea di Roma), le personali alla Fondazione Federico J. Klemm a Buenos Aires (2006), Viaggio nella parola a La Spezia (2007), Scritture viventi (2013) alla Galleria Galeotti, in collaborazione con la Fondazione Filiberto Menna di Salerno e La Fondazione Carima di Macerata, Zitta tu... non parlare! alla Sala Santa Rita di Roma (2014). Dal 1974 dirige l’associazione culturale Lavatoio Contumaciale, che si occupa di poesia, arti visive, letteratura, musica e multimedialità; dal 1992 partecipa, in qualità di vice Presidente, alla gestione della Fondazione Filiberto Menna.
Nicole Gravier ha studiato all’Académie des Beaux-Arts di Aix-en-Provence, dove nel 1971 si è diplomata in Pittura. Si trasferisce definitivamente in Italia nel 1976. A Milano frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera dove si diploma in Pittura. Nel 1979 espone a New York alla Franklin Furnace e in Svezia alla Galerie St. Petri (Lund). Partecipa alla mostra La Pratica Politica alla Galleria d’Arte Moderna di Modena; nello stesso anno il «Corriere della Sera Illustrato», «HERESIS» e «Progresso Fotografico», le dedicano importanti articoli. Nel 1981 è invitata a Kunst in Sozialen Kontext al Museo di Karlsruuhe e la rivista «KunstForum» le dedica la copertina; nello stesso anno partecipa alla mostra Typish Frau (Kunstverein di Bonn, Galerie Philomena Magers e Stadtische Galerie Regensburg). Il Museo di Vancouver (Canada) la invita a Mannerism. A Theory of Culture. Nello stesso anno partecipa ad Art Socio-Critique (Festival de La Rochelle). Nel 1997 è invitata a Vraiment: Féminisme et Art al Centre International d’Art Contemporain a Grenoble, con trenta artiste donne operanti in Europa e in America negli ultimi vent’anni. Nel 1999 partecipa alla rassegna Beyond the Photographic Frame all’Art Institute of Chicago, che acquista un suo lavoro.
Paola Mattioli si è laureata in filosofia con una tesi sul linguaggio fotografico; è tra i soci fondatori dell’associazione AMICI del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo; collabora per le immagini alla rivista «Via Dogana» della Libreria delle Donne di Milano. Ha esposto fotografie in numerose mostre personali e collettive. Tra le principali: Immagini del no (1974); Donne allo specchio (1977); Cellophane (1979); Ritratti (1985); Statuine (1987); Ce n’est qu’un début (1998); Trieste dei manicomi (1998); Un lavoro a regola d’arte (2003); Regine d’Africa (2004); Per-turbamenti (2005); Consiglio di Amministrazione (2006); Oltre Lilith (2006); Arte dell’altro mondo (2006); Alfabeti (2007); Sguardi nella città (2011); Donne Donne Donne (2012). Tra le sue pubblicazioni: Ungaretti (1972); Ci vediamo mercoledì (1978); Cattivi sentimenti (1991); Donne irritanti (1995); Tre storie (2003); Regine d’Africa (2004); Fabbrico (2006); Dalmine (2008); Una sottile distanza (2008); Passi di un’oca sperduta nella neve (2012); Mémoires d’Afrique
Nicole Gravier, Mythes et Clich+®s. Fotoromanzi, serie Attesa, 1976-1980
The exhibition Looking Glass: Three Feminist Ways to Self-Portrait is meant as a reflection on self-portrait in the Italian feminist art of the Seventies, starting from the works of three important artist photographers of that season: Tomaso Binga, Nicole Gravier and Paola Mattioli, three women who reclaim the representation of female body and sexuality, in order to free them at last from the vision and desire of men. The works of Binga, Gravier and Mattioli move from a private to a collective history that, until very recently, was excluded from the art system. For women, who are always the object of the gaze and the representation of male, the self-portrait is a means of self-expression: it is a way to put at stake women’s own identity and to criticize the stereotypes associated with the feminine and the masculine. In particular, the photographic self-portrait focuses on the dual role of women as both the subject and the object of representation: the fact of being, at the same time, before and behind the camera exposes the gap between real and fictonal identities; in this way, photography becomes the means through which the artists choose the way to show themselves to the eyes of others, thus taking an active role in the dynamics of the glance. In the installation Mater (1977), Tomaso Binga starts from her own naked body, portrayed while taking the shape of the letters that form the word "Mater": thus a gestural alphabet is created, that is alternative to the current language, considered by the artist as an inauthentic expression from which women have always been excluded. Binga’s living alphabet, therefore, is the radical alternative to the masculine language. In Donna in Gabbia (Woman in Cage, 1974), moreover, Binga exposes the condition of subordination and lack of freedom of women: she is portrayed behind the bars of a cage, like a captive bird, fed by male hands; thus Binga stigmatizes the control and power exerted by men, which was often peddled as a form of care and protection designed to protect the "weaker sex."
The series of self-portraits Mythes et Clichés (1976-1980) by Nicole Gravier is a critique of the visual stereotypes of the dominant culture: the artist portrays herself while simulating poses and attitudes typical of the picture-romance story, appropriating the language and canons of the shots of this popular genre, born in Italy after the II World War. By doing so, on one hand Gravier exasperates the clichés, criticizing not only the banality and sentimentality of the picture-romance stories, but also, above all, the stereotypes of the representation of women offered by the media; on the other hand, she focuses on some elements that clash with the atmosphere of 'pink-romance' photo. Everything is displayed in intimate enviroments like the bedroom; the poses taken by the artist are relaxed and the gaze is not directed to the camera: the viewer is put in the role of a voyeur who secretly accesses to a private space, underlying also, in this way, the objectification of the representation of the body produced by the photographic process.
The distance between one’s self-image and the one perceived by others is also at the heart of the photographic works by Paola Mattioli in the mid-Seventies: the sequence Diana (1977) portrays Diana Bond reflected in a mirror and while
taking a white mask off her face and it is linked to the publication of the book “Ci vediamo mercoledi. Gli altri giorni ci immaginiamo”, a collection of materials produced individually and collectively by a group of women working on the image of the feminine. In the book Mattioli also includes Donne allo specchio (o Faccia a faccia), a series that investigates the relationship of women with the reflected image, conceived as a choral self-potrait in which the author identifies with the portrayed subjects: «Each portrait is also a portrait of myself, because in the image of the others I find different fragments of my own image». The mirror thus becomes the instrument of a journey through a singular and plural identity.
Tomaso Binga (Bianca Pucciarelli in Menna) is an author of visual, performative and musical poetry. In the 70s she took a masculine name as a sign of protest, in order to highlight the disparities between men and women. In here career Binga has taken part to many one person and collective exhibitions; among the latter three shows curated by Romana Loda (Coazione a mostrare, Magma, Il volto sinistro dell’arte); exhibitions and performances organized with Verita Monselles (Litanie Lauretane, Poesia Muta, Ti scrivo solo di domenica); the show Materializzazione del linguaggio, curated by Mirella Bentivoglio for the Venice Biennale in 1978. More recently Binga has exhibited works in the retrospective show Autoritratto di un matrimonio (Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea di Roma); the one person exhibition at Fondazione Federico J. Klemm in Buenos Aires (2006); Viaggio nella parola in La Spezia (2007); Scritture viventi (2013) at the art gallery Galleria Galeotti, in collaboration with the Fondazione Filiberto Menna in Salerno and the Fondazione Carima in Macerata; Zitta tu... non parlare! in the Sala Santa Rita in Rome (2014). Since 1974 she has managed the cultural association Lavatoio Contumaciale: it is a space for poetry, visual arts, literature music and multimedia. Since 1992 she has been the vice-president of the Fondazione Filiberto Menna.
Nicole Gravier studied at Académie des Beaux-Arts of Aix-en-Provence, where she graduated in Painting in 1971. In 1976 she moved in Milan where she graduated in Painting at the Accademia di Belle Arti di Brera. In 1979 she exhibits in New York at the Franklin Furnace and in Sweden at Galerie St. Petri (Lund). She took part to the exhibition La Pratica Politica at Galleria d’Arte Moderna of Modena. In the same year the magazines «Corriere della Sera Illustrato», «HERESIS» and «Progresso Fotografico», devoted important articles to her work. In 1981 she was invited to Kunst in Sozialen Kontext at the Karlsruhe Museum, and the magazine «KunstForum» put her work on the front page; in the same year she took part to the exhibition Typisch Frau (Kunstverein di Bonn, Galerie Philomena Magers e Stadtische Galerie Regensburg. The Vancouver Museum invites her to Mannerism – A Theory of Culture. In 1981, again, she participated to Art Socio-Critique (Festival de La Rochelle). In 1997 she was invited to Vraiment: Féminisme et Art at the International Contemporary Art Centre of Grenoble with other 30 women artists from Europe and America. In 1999 participated to the exhibition Beyond the Photographic Frame at the Art Institute of Chicago, which purchased one of her works.
Paola Mattioli graduated in philosophy with a thesis on the photographic language. She is a founding member of the AMICI del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo (Milano), an association of supporters of contemporary photography. She is one of the contributing photographers to the magazine «Via Dogana», of the women bookshop in Milan Libreria delle Donne di Milano. She exhibited her pictures in many one person and collective exhibitions: Immagini del no (1974); Donne allo specchio (1977); Cellophane (1979); Ritratti (1985); Statuine (1987); Ce n’est qu’un début (1998); Trieste dei manicomi (1998); Un lavoro a regola d’arte (2003); Regine d’Africa (2004); Per-turbamenti (2005); Consiglio di Amministrazione (2006); Oltre Lilith (2006); Arte dell’altro mondo (2006); Alfabeti (2007); Sguardi nella città (2011); Donne Donne Donne (2012). Amongst her pubblications: Ungaretti (1972); Ci vediamo mercoledì (1978); Cattivi sentimenti (1991); Donne irritanti (1995); Tre storie (2003); Regine d’Africa (2004); Fabbrico (2006); Dalmine (2008); Una sottile distanza (2008); Passi di un’oca sperduta nella neve (2012); Mémoires d’Afrique (2013).
The exhibition Looking Glass: Three Feminist Ways to Self-Portrait is meant as a reflection on self-portrait in the Italian feminist art of the Seventies, starting from the works of three important artist photographers of that season: Tomaso Binga, Nicole Gravier and Paola Mattioli, three women who reclaim the representation of female body and sexuality, in order to free them at last from the vision and desire of men. The works of Binga, Gravier and Mattioli move from a private to a collective history that, until very recently, was excluded from the art system. For women, who are always the object of the gaze and the representation of male, the self-portrait is a means of self-expression: it is a way to put at stake women’s own identity and to criticize the stereotypes associated with the feminine and the masculine. In particular, the photographic self-portrait focuses on the dual role of women as both the subject and the object of representation: the fact of being, at the same time, before and behind the camera exposes the gap between real and fictonal identities; in this way, photography becomes the means through which the artists choose the way to show themselves to the eyes of others, thus taking an active role in the dynamics of the glance. In the installation Mater (1977), Tomaso Binga starts from her own naked body, portrayed while taking the shape of the letters that form the word "Mater": thus a gestural alphabet is created, that is alternative to the current language, considered by the artist as an inauthentic expression from which women have always been excluded. Binga’s living alphabet, therefore, is the radical alternative to the masculine language. In Donna in Gabbia (Woman in Cage, 1974), moreover, Binga exposes the condition of subordination and lack of freedom of women: she is portrayed behind the bars of a cage, like a captive bird, fed by male hands; thus Binga stigmatizes the control and power exerted by men, which was often peddled as a form of care and protection designed to protect the "weaker sex."
The series of self-portraits Mythes et Clichés (1976-1980) by Nicole Gravier is a critique of the visual stereotypes of the dominant culture: the artist portrays herself while simulating poses and attitudes typical of the picture-romance story, appropriating the language and canons of the shots of this popular genre, born in Italy after the II World War. By doing so, on one hand Gravier exasperates the clichés, criticizing not only the banality and sentimentality of the picture-romance stories, but also, above all, the stereotypes of the representation of women offered by the media; on the other hand, she focuses on some elements that clash with the atmosphere of 'pink-romance' photo. Everything is displayed in intimate enviroments like the bedroom; the poses taken by the artist are relaxed and the gaze is not directed to the camera: the viewer is put in the role of a voyeur who secretly accesses to a private space, underlying also, in this way, the objectification of the representation of the body produced by the photographic process.
The distance between one’s self-image and the one perceived by others is also at the heart of the photographic works by Paola Mattioli in the mid-Seventies: the sequence Diana (1977) portrays Diana Bond reflected in a mirror and while
taking a white mask off her face and it is linked to the publication of the book “Ci vediamo mercoledi. Gli altri giorni ci immaginiamo”, a collection of materials produced individually and collectively by a group of women working on the image of the feminine. In the book Mattioli also includes Donne allo specchio (o Faccia a faccia), a series that investigates the relationship of women with the reflected image, conceived as a choral self-potrait in which the author identifies with the portrayed subjects: «Each portrait is also a portrait of myself, because in the image of the others I find different fragments of my own image». The mirror thus becomes the instrument of a journey through a singular and plural identity.
Tomaso Binga (Bianca Pucciarelli in Menna) is an author of visual, performative and musical poetry. In the 70s she took a masculine name as a sign of protest, in order to highlight the disparities between men and women. In here career Binga has taken part to many one person and collective exhibitions; among the latter three shows curated by Romana Loda (Coazione a mostrare, Magma, Il volto sinistro dell’arte); exhibitions and performances organized with Verita Monselles (Litanie Lauretane, Poesia Muta, Ti scrivo solo di domenica); the show Materializzazione del linguaggio, curated by Mirella Bentivoglio for the Venice Biennale in 1978. More recently Binga has exhibited works in the retrospective show Autoritratto di un matrimonio (Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea di Roma); the one person exhibition at Fondazione Federico J. Klemm in Buenos Aires (2006); Viaggio nella parola in La Spezia (2007); Scritture viventi (2013) at the art gallery Galleria Galeotti, in collaboration with the Fondazione Filiberto Menna in Salerno and the Fondazione Carima in Macerata; Zitta tu... non parlare! in the Sala Santa Rita in Rome (2014). Since 1974 she has managed the cultural association Lavatoio Contumaciale: it is a space for poetry, visual arts, literature music and multimedia. Since 1992 she has been the vice-president of the Fondazione Filiberto Menna.
Nicole Gravier studied at Académie des Beaux-Arts of Aix-en-Provence, where she graduated in Painting in 1971. In 1976 she moved in Milan where she graduated in Painting at the Accademia di Belle Arti di Brera. In 1979 she exhibits in New York at the Franklin Furnace and in Sweden at Galerie St. Petri (Lund). She took part to the exhibition La Pratica Politica at Galleria d’Arte Moderna of Modena. In the same year the magazines «Corriere della Sera Illustrato», «HERESIS» and «Progresso Fotografico», devoted important articles to her work. In 1981 she was invited to Kunst in Sozialen Kontext at the Karlsruhe Museum, and the magazine «KunstForum» put her work on the front page; in the same year she took part to the exhibition Typisch Frau (Kunstverein di Bonn, Galerie Philomena Magers e Stadtische Galerie Regensburg. The Vancouver Museum invites her to Mannerism – A Theory of Culture. In 1981, again, she participated to Art Socio-Critique (Festival de La Rochelle). In 1997 she was invited to Vraiment: Féminisme et Art at the International Contemporary Art Centre of Grenoble with other 30 women artists from Europe and America. In 1999 participated to the exhibition Beyond the Photographic Frame at the Art Institute of Chicago, which purchased one of her works.
Paola Mattioli graduated in philosophy with a thesis on the photographic language. She is a founding member of the AMICI del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo (Milano), an association of supporters of contemporary photography. She is one of the contributing photographers to the magazine «Via Dogana», of the women bookshop in Milan Libreria delle Donne di Milano. She exhibited her pictures in many one person and collective exhibitions: Immagini del no (1974); Donne allo specchio (1977); Cellophane (1979); Ritratti (1985); Statuine (1987); Ce n’est qu’un début (1998); Trieste dei manicomi (1998); Un lavoro a regola d’arte (2003); Regine d’Africa (2004); Per-turbamenti (2005); Consiglio di Amministrazione (2006); Oltre Lilith (2006); Arte dell’altro mondo (2006); Alfabeti (2007); Sguardi nella città (2011); Donne Donne Donne (2012). Amongst her pubblications: Ungaretti (1972); Ci vediamo mercoledì (1978); Cattivi sentimenti (1991); Donne irritanti (1995); Tre storie (2003); Regine d’Africa (2004); Fabbrico (2006); Dalmine (2008); Una sottile distanza (2008); Passi di un’oca sperduta nella neve (2012); Mémoires d’Afrique (2013).