Loredana Grasso – Over-Soul
Le opere di Loredana Grasso invitano ad esplorare una dimensione profonda. Straniante, ma non disordinata, essa costituisce uno spazio virtuale a metà tra dimensione onirica e un mondo alla fine del mondo.
Comunicato stampa
«[...] saremmo costretti a chiederci che cosa c'è realmente davanti a noi,
a vedere la forma indipendentemente dalla sua interpretazione: e questo (ce ne accorgiamo subito) non è realmente possibile.»
E. Gombrich
Le opere di Loredana Grasso invitano ad esplorare una dimensione profonda. Straniante, ma non disordinata, essa costituisce uno spazio virtuale a metà tra dimensione onirica e un mondo alla fine del mondo. Un silenzio surreale caratterizza gli ambienti. I colori, modulati sapientemente attraverso un prisma denso di tonalità pastello quà, bianco e nero matto là, raccontano storie criptate. Creature animali abitano ogni luogo, testimoni ancora attendibili di un tempo eternamente presente, senza un prima né un dopo. Il ticchettio del quando rifugge ogni classificazione o categoria possibile. E pare ora presagio ora monito.
Come nell'Alice di Lewis Carroll, l'aria è perfetta incarnazione del perturbante freudiano, del familiare che diventa sconosciuto e misterioso; le linee dolci, avvolgenti, simmetriche diventano così perfette da sembrare ossessive, smisurate, incredibili. Tutti gli elementi contemplati nella composita struttura pittorica sono ordinari, interpretabili, conosciuti se presi uno per uno e decontestualizzati. Grasso sperimenta l'unione di contrari, e non propone soluzioni. Restituisce al fruitore opere che concedano la possibilità di ragionare, viaggiare, credere e aggiungere pezzi al puzzle ermeneutico. «L'occhio ha questa fonte di godimento nelle muraglie spirali, e nei rami serpeggianti, e in ogni sorta di oggetti, le cui forme, come vedremo in appresso, son composte principalmente di quel ch'io chiamo linee ondeggianti e serpeggianti. L'intrico nelle forme dunque lo definirò essere quella particolarità nelle linee, che lo compongono, che conduce l'occhio a una ghiotta specie di caccia.»¹ Ed è proprio così: il percorso visivo prevale sulla meta e la traccia dello sguardo in movimento è più importante dell'oggetto guardato. Il campo visivo supera la dimensione della pittura e del disegno. La linea che si dispiega davanti all'osservatore «[...] coi suoi piegamenti e ondeggiature in diverse guise... coll'avviticchiarsi in tante differenti maniere può dirsi includere (sebbene sia una linea sola) vari spazi.»²
E poi che vuol dire interpretare? A volte impoverire.
Nelle opere di Loredana Grasso la presenza umana è testimoniata da sfilate sempre discrete di oggetti d'uso quotidiano perfettamente mimetizzati in un ambiente post-urbano. Luoghi, collocabili in un moderno presente, risultano abitati da creature padrone quali lemuridi, conigli, foche, rane, scoiattoli. Solo alcuni bambini guadagnano la scena, a tratti, e se ne stanno con gli occhi sgranati ai bordi delle strade.Ciononostante, al di là di città disabitate, silenti, calme e stralunate è pregnante un aspetto esotico fortissimo. Una sorta di negativo delle atmosfere di Henri Rousseau in cui si realizza uno spazio bisimensionale che, insieme al colore irreale, trasforma i personaggi in miti ed emblemi, negando e superando la conoscenza razionale del tempo e dello spazio. Laggiù gli uomini stonano in mezzo alla natura incontaminata e selvaggia. Nelle opere di Grasso, le creature misteriose abitano luoghi comuni e sembrano piombate, ex abrupto, negli spazi senza alcuna apparente spiegazione. Sopravvivono laddove in autunno, dagli alberi, piovono sillabe umane e le finestrelle semiaperte di abitazioni immaginarie sembrano incredibili vasi di Pandora sempre carichi di rebus linguistici, donati all'osservatore attraverso spirali morbide di lingue sconosciute. Ed esse si 'incamminano' all'interno del cronòtopo pittorico.
C'è una casa su un albero, una ruota panoramica sul uno sfondo lilla matto, uno struzzo chiede venia nascondendosi sotto la sabbia e un uccello porta via con sè la volpe come se il caso volesse rapire il calcolo e i programmi, come a quel sentire di più, pensare di meno di Bukowski.
E poi c'è una dacia che si pone come un punto prospettico perfetto in un luogo al di là d'ogni luogo. Un'atmosfera pallida e tremenda attende chi verrà e non sappiamo dove siamo e perché. La stessa dacia che, per un istante, con i suoi colori e le sue forme riporta alla mente la residenza paterna di campagna dove Kris Kelvin, il protagonista di Solaris (1972) di Andrej Tarkovskij, trascorrerà alcuni giorni prima di partire per la sua missione. Coincidenza strana ma neanche tanto,in fondo. Solaris è un film di fantascienza ma anche un film filosofico in cui esistenzialismo, razionalismo e cognitivismo umano s'intrecciano in maniera più che evidente. In quest'opera pregnante è il rapporto tra l'essere umano e il luogo d'origine: la natura. E tutti gli strani fenomeni che si succedono sul pianeta Solaris dall'oceano pensante richiamano la stessa magia, intraducibile che muove gli elementi delle opere di Grasso. I suoi lavori non abitano galleria di facile comprensione. Non scorrono immediate, facili, dirette. I colori pastello si alternano a bianco e nero ossessivi, spezzati solo da gialli e blu accesissimi. Un ritmo lento e ragionato invade la scena. Talmente scelto e ricercato da dissolvere le linee e disperdere soluzioni qua e là.
E mentre ci perdiamo nel 'caos' degli elementi apparentemente chiamati a raduno in maniera del tutto aggrovigliata, risorge uno spazio silenzioso nel quale poter pensare.
Un vuoto che non è nulla. Bensì rifugio ... « [...]eppur proprio questo spazio vuoto, questo niente contiene la cosa più importante».³
di Silvia Lucia Sampugnaro
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1. W. Hogarth, L'analisi della bellezza, 1761, p.62;
2. Ibidem, p.77;
3. Citazione di Kierkegaard in esergo è in Ejzenštejn, Teoria generale del montaggio cit., p. 55.