Loredana Longo – Neither here nor there
La Galleria Francesco Pantaleone è lieta di presentare in collaborazione con l’Associazione Exagonos e Bquadro eventi la seconda personale di Loredana Longo a Palermo che si terrà presso la Chiesa di San Mattia del’Ex Noviziato dei Crociferi a Palermo, all’interno del Temporary Museum.
Comunicato stampa
La Galleria Francesco Pantaleone è lieta di presentare in collaborazione con l'Associazione Exagonos e Bquadro eventi la seconda personale di Loredana Longo a Palermo che si terrà presso la Chiesa di San Mattia del’Ex Noviziato dei Crociferi a Palermo, all’interno del Temporary Museum, dal 30 aprile al 3 luglio 2011.
La violenza da vicino
Alfredo Cramerotti
I - Parto dal fondo. Penso a come la violenza sia intrinseca a ogni persona, tempo, luogo e situazione. Penso a come non sia possibile né per chi scrive né per chi legge, evitare il concetto stesso di violenza. Considero qui forme di violenza 'implicite'; quelle difficili da riconoscere come atti violenti.
Presto attenzione a quello che faccio e penso, e verifico che non ne sono immune. Fa parte di come mi muovo, di cosa scrivo o parlo, di come mi relaziono con gli altri.
C'è una parte di violenza che ha una valenza positiva, quella su me stesso quando mi forzo ad andare avanti per ottenere qualcosa, sia intellettuale che fisico, superando quei momenti d'inerzia che capitano sempre. Una piccola violenza.
C'è la violenza un po' nascosta che infliggo ad altri, magari a fini benefici (per come la vedo), oppure subisco accettandola volentieri. Per esempio, le proibizioni ai figli, l'adattarsi a un contesto di lavoro (o l'imporlo), o indurre familiari, colleghi e amici nell'attuare o progettare qualcosa. Queste sono delle strane forme di violenza, perlopiù parziali e bene accette, che vivo e negozio costantemente.
Ci sono poi le altre forme di violenza a cui sono quasi trasparente, nel senso che mi attraversano pienamente e io non le metto in discussione. Penso alla violenza fisica, psicologica, sottile o manifesta, di cui non sono consapevole e nemmeno attivamente partecipe ma che comunque caratterizza i modi del mio vivere. L'essere nato in un paese anziché in un altro, vivere in una situazione politica piuttosto che un'altra, crescere in un certo ambiente sociale invece di un altro; tutti fattori che causano violenza a partire da elementi esterni a me stesso, di cui non so, non voglio sapere, non sono in grado di conoscere o di cambiare. Questi tipi di violenza implicita sono quelli che vivo tutti i giorni quando leggo il giornale, apro internet o accendo la televisione; o che esercito obliquamente quando compro vestiti, vado in ufficio o mi sposto con un mezzo. Forme di violenza specifiche ma remote, perciò impercettibili o quasi.
II - Vado avanti. Esistono delle chiavi valide per leggere i modi in cui questa violenza non riconosciuta si espleta, dal microcosmo personale ai flussi globali. Prendo in prestito a riguardo un'opera letteraria tra le più conosciute in Italia e all'estero, le Lezioni Americane di Italo Calvino. Mi serve per concretizzare questa possibilità di lettura e più avanti spiegherò perché. Prendendo spunto dalla letteratura, nel 1985 Calvino individuò sei parametri che, secondo la sua visione, avrebbero caratterizzato la cultura del ventunesimo secolo.
Preparò i saggi per un ciclo di conferenze negli Stati Uniti ma morì prima di poterle tenere. Le note per quelle letture costituiscono le Lezioni Americane, un libro pubblicato postumo nel 1988, la cui importanza è data dal connettere linguaggio (scritto) ed esperienza (vissuta). Questi sei parametri, leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza (quest'ultima lettura Calvino è riuscito solo a progettarla, ma non a scriverla), vanno ben oltre il caratterizzare le forme culturali del presente, e occupano una posizione preminente nel modo di vivere attuale, 'globalizzato', dell'essere umano.
Queste 'sei proposte per il prossimo millennio' (sottotitolo del libro) costituiscono l'ossatura dell'attuale era dell'informazione. Dal momento che la violenza è uno degli elementi costanti e impliciti del nostro modo di vivere, mi sono chiesto se le riflessioni di Calvino potessero funzionare come strumenti di lettura della maniera in cui l'azione e il pensiero violento si cristallizzano nella nostra esistenza.
III - Prendo in prestito. Comincio con il primo di quei sei termini, leggerezza. Quello di cui sono fatto oggi, leggero per (tele)trasportarmi meglio e convenientemente. Più violenza assorbo e meno ne acquisisco, e più distolgo l'attenzione da quello che mi succede. Vedo, sento, prendo atto ma non 'processo' le informazioni, mi limito alla funzione di scansione. Viaggio leggero.
La rapidità è quella di cui mi nutro. Passo dalla moda alla guerra in un click, un voltapagina. La cosa non mi scompone perché consumo informazioni che è possibile intitolare ma molto meno contestualizzare, visto il ritmo incessante. La rapida successione entra a far parte della mia giornata, e questo mi serve da anestetizzante per andare avanti.
L'esattezza è quella a cui aspiro ma che non raggiungo mai. Non impegnandomi, per voglia, tempo e necessità, a valutare bene la mia posizione e l'effetto delle mie azioni o non-azioni, rifiuto di assumere responsabilità e affido la precisione della valutazione agli altri, ad altri 'sistemi' (vedi media) e procedure (vedi lavoro). Ogni giorno espleto violenza da vicino, attraverso mancate, esatte connessioni.
L'essere visibile permette di 'fare' la storia, a cui mi attengo e in cui cresco dentro, salvo dimenticarmi che quella visibile è solo una parte di quello che succede. Forse neanche la più importante o vera; è solo quella che è stato deciso di portare in superficie, e che mi porterò dietro da ora in poi. Dovrei ri-capire cosa sto guardando.
La molteplicità è la capacità di pensare e mettere in atto molte cose tutte assieme; questo vale anche in maniera reciproca, in relazione alle conseguenze multiple di una attività. Qualsiasi atto di violenza subito o perpetrato non è mai chiuso in se stesso, ma si ripercuote a macchia su tutto quello che c'è intorno. Ogni violenza multipla che commetto ha conseguenze multiple che ignoro.
La caratteristica della consistenza, per ultima. La testimonianza muta di Calvino, mai scritta e perciò quella con più possibilità di interpretazione; ognuno la legge come gli pare. In rapporto alla violenza è particolarmente interessante: la violenza è consistente perché applicata sistematicamente ad azioni e approcci ripetuti, ma che di volta in volta producono risultati differenti. Forse punibili forse no. La spirale di violenza si allarga perché diventa una pratica 'sostenibile', che porta effetti previsti ma anche inattesi, e non lascia altro spazio se non quello di continuare.
IV - Mi espando. I modi di violenza implicita sfuggono quindi all'auto-riflessione e analisi perché travestiti da senso comune, vita sociale, impegno professionale e le loro varianti incrociate. Entrano in gioco parametri che non attivo in modo cosciente, ma che costantemente declinano la mia posizione individuale e collettiva attraverso contesti specifici.
Per esempio, la condizione (relativamente) remota della violenza a cui assisto; il più appare come il meno, o minore, trascurabile, semplicemente per via della distanza. Se lo stesso impatto di un'azione violenta da qualche parte nel mondo mi investisse qui e ora, ovviamente le conseguenze fisiche e psicologiche sarebbero ben altre. C'è un problema di traduzione del contesto: se non manca la traduzione letterale degli atti violenti (da una lingua all'altra, da un'immagine all'altra, e simili), c'è piuttosto poca attitudine a contestualizzare quella violenza che accade in un certo spazio e tempo, e porla in prospettiva con quello che succede nell'ambiente che la riceve. Assorbo la descrizione spesso grafica del male degli altri ma non sviluppo gli strumenti per gestirla in relazione alla mia vita. Rimuovendo lontano, individuando un altrove, il tutto appare meno complicato.
Parlando di complessità, i modi impliciti di violenza sono mascherati inoltre dal fatto che una certa apertura mentale e sociale è presentata come baluardo a difesa di culture retrograde e repressive, e questo dichiarato 'spazio aperto' agevola e risolve due tipi di violenza: quella perpetrata da un'altra parte, come prova che quello è il risultato da aspettarsi se non si abbraccia la suddetta mentalità aperta; e quella applicata normativamente qui e adesso, come sistema necessario e sufficiente per evitare la prima. In ambedue i casi, invece di trovare il tempo e i mezzi per verificare, mi attengo a quanto mi viene prescritto. Ogni qualche anno succede che qualcuno provi a scardinare questa semplificazione strategica, e a volte ci riesca – vedi il caso dei file criptati di Wikileaks sparsi per il mondo che rilasciano periodicamente dati e storie per il lavoro di analisti e commentatori.
Ci sono da considerare anche altri fattori che mi inducono, consciamente o meno, a vivere in uno stato di perenne connivenza con politiche, pensieri e azioni violente. Il potere è uno di quelli. Non occupo una posizione di potere tale da influenzare decisioni e scelte di altre persone, e mi assoggetto a situazioni che più o meno mi consentono di vivere secondo i miei interessi o priorità. Potrei impegnarmi per ottenere un maggior margine di potere, desiderio che di nascosto probabilmente covo; ma il non essere direttamente coinvolto in legislature, commerci o tecnologie rende la vita più lineare. Mi servo di quello che c'è, invece di provare a cambiare qualcosa attraverso l'interazione con i sistemi di cui sopra; in pratica, uso meno le potenzialità che ci sono ma ne approfitto molto di più.
Infine, l'aspetto tecnologico dei modi di violenza implicita. Come altri che leggeranno queste righe, ho un rapporto proficuo con la tecnologia e quasi mai mi pongo la questione di afferrarne gli aspetti nascosti. La tecnologia permette cose che in passato erano solo immaginate, divagazioni ed esplorazioni nel tempo nello spazio e nella mente, e un'attiva vita sociale a dispetto dei catastrofisti del social network. Eppure, mi pare ci sia qualcosa che sfugge. Quello che scarseggia è una nozione più estesa di come la tecnologia sia legata a politiche violente di carattere militare, politico o economico. Per esempio, tutti sanno che Internet è nata come rete militare Arpanet; di come si stia sviluppando pochi se ne occupano, e io non sono tra quelli. Il fatto che Facebook sia stato seminale nell'organizzazione pratica dei movimenti di massa in Tahir Square al Cairo, mi lascia ancora stupefatto e un po' incredulo. Sono ammirato dalle possibilità di appropriazione per fini diversi di un prodotto del late capitalism americano, e forse proprio questa eccezione mi distrae dall'apprezzare criticamente questi mezzi. Io 'processo' una buona parte della mia vita tecnologicamente, e non tornerei indietro, ma devo ancora diventare abile nel relazionare sistematicamente la tecnologia alle mie decisioni; e se non lo faccio, questo implica modi violenti che 'abilitano' la mia persona come agente.
V - Mi immagino. I contorni di quello che chiamo violenza non sono definiti, ma fluidi; dipendono non solo da circostanze specifiche ma anche dal momento storico e dalla situazione spaziale in cui accade. È quindi sensato concentrarsi sul come si manifesta, invece di provare a spiegare cos'è o perché accade. In quel 'come' vi è racchiuso tutto quello di cui io stesso faccio parte.
E succede che a volte, proprio per evitare di farne parte, proietto i pensieri aldilà delle mie azioni, che è un bene per un certo verso (così non sono biecamente ancorato al rapporto causa-effetto), e un azzardo per un altro (non controllo affatto, né cerco di controllare, il rapporto causa-effetto). Che io sia implicato in una serie di atti e pensieri violenti impliciti, come probabilmente lo è chiunque legga queste righe, è un fatto più che un'ipotesi; quello che cambia è il livello di violenza e di implicazione, che oltre una certa soglia diventa esplicazione.
In ultima analisi, io non sono fatto di quello che mangio, leggo o penso, nonostante me lo abbiamo insegnato in questi termini. Se considero la questione un po' più a fondo, dipendo più da chi mi vede da fuori piuttosto che da chi mi sta vicino. È una faccenda di contrappasso: più lontano mi posiziono da quello che sento non mi appartiene, più dentro ci sono. Fino al collo.
Giovedì 28 Aprile alle ore 13:30 Loredana Longo incontrerà gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Palermo in via Papireto 20 (terzo piano). L’incontro è aperto al pubblico.
La Galleria Francesco Pantaleone, l'Associazione Exagonos e Bquadro eventi
desiderano ringraziare:
Il Sindaco di Palermo
L’Assessorato al centro Storico
L’Assessore Maurizio Carta
ICAR Build
l’azienda vinicola Calatrasi