Lorenzo Castore / Housing di Evol
La Galleria del Cembalo ospita Ultimo domicilio di Lorenzo Castore e Housing di Evol. Le due mostre, confrontandosi sui temi dell’architettura residenziale e delle dimensioni abitative, suggeriscono possibili connessioni tra interno ed esterno, tra silenzio e assenza.
Comunicato stampa
Dall’8 febbraio al 31 marzo 2018, la Galleria del Cembalo ospita Ultimo domicilio di Lorenzo Castore e Housing di Evol. Le due mostre, confrontandosi sui temi dell’architettura residenziale e delle dimensioni abitative, suggeriscono possibili connessioni tra interno ed esterno, tra silenzio e assenza.
Ultimo domicilio (2008-2017)
Fotografie di Lorenzo Castore
a cura di Mario Peliti e Laura Serani
Le fotografie di Ultimo domicilio sono una riflessione sull’esistenza e l’esistito, sinonimi visivi del concetto di passaggio. La Galleria del Cembalo propone per la prima volta dodici opere di grande formato, ognuna delle quali dedicata ad una abitazione.
Le case raccontano dei propri abitanti anche quando questi smettono di occuparle. “I quadri alle pareti, le fotografie, gli oggetti sul comò e i libri nella biblioteca, in risonanza tra loro, riflettono i desideri e le aspirazioni, gli affetti e i ricordi” scrive Laura Serani a proposito de La petite recherche di Castore, che si insinua negli angoli più remoti del luogo privato per eccellenza.
Per circa nove anni Lorenzo Castore ha lavorato in case silenziose, quelle in cui la vita “sembra come evaporata”. Afferma l’autore: “Ho conosciuto queste case per varie ragioni. Sono case dove ho vissuto e che sono state abbandonate, case che ho visitato, le mie case o quelle di qualcun altro. Dicono tutte di qualcosa che ho cercato in anni di girovagare”. Castore ha lavorato tra Torino, Firenze, Casarola, Sarajevo, Cracovia, New York, inseguendo il desiderio di rinvenire le tracce di vite vissute intensamente. Come quelle di Giacomo e Maria, nonni dell’autore, protagonisti di “una normale storia italiana”, presenti negli oggetti della loro casa di Via Masaccio a Firenze, liberata un mese dopo la scomparsa della donna.
Analogamente, il domicilio di Casarola narra della famiglia Bertolucci. A questo luogo, che Attilio stesso descriveva come “staccato non solo dalla pianura ma dal mondo”, i Bertolucci resteranno legati anche dopo il loro trasferimento nella capitale nel 1951. Attraverso le fotografie sapientemente acquerellate e un film breve dello stesso autore, scorgiamo le ragioni del legame a Casarola.
E ancora, attraversato l’oceano, Ultimo domicilio conduce a Brooklyn, nell’appartamento che è stato di Adam Grossman Cohen, filmmaker, figlio del fotografo Sid. Di suo padre, Adam perpetua la tensione verso una bellezza pura e metafisica e la casa di New York, dismessa nel 2010, è la tangibile testimonianza del suo tumulto interiore.
Lorenzo Castore ci racconta di New York, ma anche di Sarajevo e Mostar, di Fontenay-Mauvoisin, di Roma, Milano, Finale Ligure e di Cracovia, casa sua per sei anni, luogo di libertà e di sperimentazione, “un vero inizio” per il consolidamento delle proprie ricerche personali. Ritrae case che sono al contempo esperienze e parla di esperienze, che divengono case, che ognuno si porta dentro.
Lorenzo Castore fiorentino, classe 1973, comincia a fotografare per le strade della New York dei primi anni Novanta. Viaggia e fotografa l’India, l’Albania e la guerra del Kosovo. Qui, un lavoro su un gruppo di serbi costretti a vivere in un monastero ortodosso, direzionano la sua ricerca verso le identità e il rapporto tra il quotidiano e la storia. La Polonia sarà per lungo tempo un luogo importante per lo sviluppo della sua visione. Tra il 2008 e il 2017 lavora alla serie Ultimo Domicilio, progetto fotografico che sfocia anche in un film corto, Casarola, realizzato nel ventre dall’Appennino parmense, a casa dei Bertolucci.
Housing
Opere di Evol
A cura di Donatella Pistocchi e Alessia Venditti
Torna nelle opere dello street artist berlinese il tema dell’abitazione, non come luogo del vissuto privato, ma come elemento identificativo e di scansione di spazi più complessi. A partire dall’ossessiva ripetitività dei moduli prefabbricati dell’edilizia residenziale dell’ex Germania dell’Est, Evol ripropone nelle sue opere le griglie grafiche delle facciate sempre identiche a se stesse, provocando nell’osservatore fascinazione e straniamento, costringendolo a riflettere sul rapporto tra identità personale e concezione collettivista della pianificazione territoriale.
Evol trasforma elementi di materia urbana in edifici in scala ridotta, utilizzando bombolette spray e stencil. Predilige le installazioni, perlopiù collocate in reali contesti urbani, per le quali utilizza, ad esempio, scatole di derivazione delle linee telefoniche che trasforma in edifici in miniatura. In altri casi, oggetti di arredo, come alcune vecchie cassettiere da ufficio, diventano per opera dell’artista quartieri residenziali ripetitivi e degradati di anonime periferie. Parallelamente utilizza materiali di recupero, con una particolare predilezione per i cartoni trovati per strada. Il colore dei diversi materiali diventa quello della facciata del palazzo, a cui vengono aggiunte finestre, balconi, impalcature, antenne e cavi elettrici con una resa iperrealistica. Vecchie etichette, nastro adesivo o timbri sopravvissuti testimoniano l’originaria provenienza delle superfici pittoriche.
Evol non sottovaluta la relazione con i viventi. Essi non sono soltanto citati negli oggetti che inserisce nelle proprie composizioni: all’uomo è, infatti, riservato un ruolo “gigante” quando, in occasione del MS Dockville Festival di Amburgo, realizza una underground city in miniatura, scavata al di sotto del piano di calpestio, con strade tra gli edifici abbastanza grandi da permettere alle persone di camminarvi dentro, proprio come giganti.
Evol, il cui nome vero è Tore Rinkveld, classe 1972 è un artista berlinese che utilizza elementi del tessuto urbano, di recupero, come fondali per riproporre in miniatura le caratteristiche strutturali delle grandi città. Con stencil e aerografo, opera sul cartone, sul cemento delle fioriere e sulle recinzioni elettriche per creare l’illusione di edifici in scala ridotta.