Luca Federico Ferrero – 4ever

Informazioni Evento

Luogo
SOCIÉTÉ INTERLUDIO
Via Torino, 3, Cambiano, TO, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
16/02/2025

ore 18

Artisti
Luca Federico Ferrero
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale.

Comunicato stampa

“Per memoria di ciò che non dimenticheremo mai”*
Luca Federico Ferrero da Société Interludio

Ricordo ancora la prima volta in cui provai a decodificare quella stra-
na parola composta da un numero e da una serie di lettere: 4EVER.
Conoscevo un po’ la matematica, ignoravo l’inglese; per questo, quel-
la scritta incisa sul banco che avevo ereditato da qualcuno che aveva
frequentato la quinta elementare in quella stessa aula – l’anno prima
o chissà quando – era per me indecifrabile. Dovetti ricorrere alla sapi-
enza di un mio compagno evidentemente più esperto delle cose della
vita: «si legge “forever”, significa “per sempre”».
I due nomi propri di persona che precedevano il “4EVER”, uniti da
un “+”, annunciavano una promessa di eternità, una formula tanto
semplice quanto perfetta. Non me li ricordo, quei nomi; anche l’autore
della scritta, così come la data di esecuzione, è rimasto ignoto.
Non posso fare a meno di pensare a questo piccolo episodio – incontro
infantile con l’eterna lotta tra la durata delle cose e la loro inevitabile
impermanenza – di fronte alle opere di Luca Federico Ferrero. La se-
rie, presentata in occasione della mostra da Société Interludio, chiama
in causa uno spettro piuttosto ampio di considerazioni: sul passaggio
del tempo, sullo statuto dell’opera d’arte, sull’autorialità. Ma procedi-
amo con ordine.
Le opere si manifestano con i segni di un evidente atto vandalico. De-
gli sfregi solcano la superficie di pitture murali – perlopiù affreschi in
stile pompeiano –, compromettendone la visione: sono le stesse scritte
che talvolta riescono a guadagnarsi le cronache agostane, con il tu-
rista di turno pizzicato in qualche sito archeologico intento a lasciare
il proprio sigillo. Un piccolo fremito mi percorre, osservando queste
superfici graffiate, deturpate. Come si fa a voler marchiare in questo
modo un così antico splendore? Si tratta, tuttavia, di una manomis-
sione calcolata. I dipinti sono sì degli affreschi staccati, ma la loro
realizzazione è recente; e i segni che li schermano sono stati prodotti
per volontà dell’artista stesso.
L’idea nasce da un’osservazione quotidiana, quella delle tante bellezze
sfregiate da un istinto atavico, dal desiderio dell’uomo di lasciare una
traccia, di esserci. Lo stesso che probabilmente ha portato ognuno di
noi a intarsiare sul banco di scuola le proprie iniziali, il nome di una
persona amata, un passo tratto dal testo di una canzone, un improper-
io. Ferrero ha deciso di sovvertire in maniera sottile questa pulsione
irrefrenabile e i contenuti istintivi da essa generati. Oltre a cuoricini e
segni che simulano quelli lasciati da uno studente delle medie in gita
scolastica, le scritte che danno voce a questi muri sono infatti citazioni
colte: “le cose nascono dalla necessità e dal caso”, frase ricamata da
Alighiero Boetti su un arazzo; il celebre motto ottocentesco “épater
les bourgeois”; un disegno di Enrico Baj; uno scarabocchio ripreso
dal dipinto Fallimento, di Giacomo Balla; il “truismo” – “non scrive-
re mai cazzate” – che Alighiero Boetti aggiunse a penna a un poster di
Jenny Holzer, regalato poi a Maurizio Cattelan nel corso di un incon-
tro alla Biennale di Venezia nel 1990. E qua c’è un primo paradosso:
la scritta sgraziata e autoreferenziale viene elevata a messaggio sapi-
enziale, persino erudito. Una saggezza che evidentemente, nel mondo
ideale di Ferrero, dovrebbe viaggiare sui muri e persino sovrapporsi
all’arte del passato. Mi piace immaginare i vari autori che, come dei
ragazzini alle prese con le prime uscite di gruppo, si danno appunta-
mento per incidere le loro massime su queste superfici.
Tutti gli affreschi, dicevamo, sono puntellati da questi e molti altri
riferimenti, come degli appunti – dei promemoria – che Ferrero vuole
condividere col resto del mondo, allo stesso modo in cui l’innamorato
incide il nome della persona amata sulla prima superficie disponibile,
e poco importa che si tratti o meno di patrimonio artistico. Anzi, più
il supporto è antico e meglio è. Chi esegue lo sfregio, spesso in nome
di qualcosa in cui crede ciecamente, vuole competere con il passato,
ambisce alla stessa durata, alla stessa resistenza al tempo. La scritta
vuole aggrapparsi al monumento come un tatuaggio alla pelle. Ferrero
sembra animato da un desiderio analogo, che ha deciso di sublimare
attraverso un crossover tra epoche, con la simulazione di temporalità
diverse riproposte nel qui e ora. È questo il secondo paradosso della
serie in mostra. Ferrero ci investe proiettando sulle opere (e sui di
noi) una doppia nostalgia: da una parte quella dell’affresco datato, del
sito archeologico, della classicità, del dipinto murale scovato in una
qualche abbazia medievale; dall’altra quella del vandalismo vintage,
un vandalismo dal sapore anni Settanta, oserei dire quasi dolce, che ci
rimanda alle calligrafie incerte di tempi andati, a gite scolastiche e in-
genui bravate adolescenziali. È come se la storia con la esse maiuscola
entrasse in collisione con una storia più a misura d’uomo, imperfetta
e sghemba, in una gara di protagonismo impari e, forse proprio per
questo, goffamente tenera.
Ferrero sembra credere a questa sfida tra temporalità lontane, al punto
da ribaltare la scritta, nobilitarla, non attraverso la calligrafia – quella
rimane piuttosto basilare e brutale – bensì grazie al senso delle frasi e
dei disegni. D’altra parte, non è la prima volta che allo “scarabocchio”
viene riconosciuto un potenziale creativo, se non un vero e proprio
statuto artistico. Il pastorello Giotto sorpreso dal maestro Cimabue
mentre dà sfogo al suo impulso grafico disegnando liberamente su
pietre e altre superfici “naturali” ne è un esempio; così come l’es-
altazione di grafie e segni automatici e spontanei, espressione di un
fare arte libero da condizionamenti. Nel disegno dei bambini e nel-
lo scarabocchio molti artisti e intellettuali tra fine Ottocento e inizio
Novecento hanno visto la possibilità di una “rigenerazione dell’arte”,
con le avanguardie pronte ad accogliere l’impulso vitale della crea-
zione infantile, per disimparare e trovare una nuova origine. Ne è un
esempio la serie che il fotografo Brassaï, vicino ai surrealisti, realizzò
negli anni Trenta, “ritraendo” i graffiti sui muri di una Parigi tutt’al-
tro che Ville Lumière.
Nel processo di creazione delle sue opere, Ferrero si avvale di maes-
tranze qualificate. Gli affreschi strappati sono riprodotti attraverso una
tecnica fedelissima all’originale (al punto da poterci trarre in ingan-
no). Pur mantenendo salda la propria autorialità, l’artista fa propria
quella strategia di condivisione e delega dell’atto creativo, una strada
aperta – in forme diverse – da alcuni degli idoli di Ferrero (Boetti,
Cattelan…). Nel proporre una pittura non praticata e nell’invenzione
di passati che interagiscono tra loro, Ferrero manifesta la propria ap-
partenenza a una linea profondamente concettuale dell’arte italiana,
nella quale mi sembra di scorgere alcune nobili filiazioni, più o meno
consapevoli: il richiamo alle temporalità stratificate di Flavio Favelli,
il sense of humor di Piero Golia, Vedovamazzei e Paola Pivi, la po-
tenza selvatica della parola scritta (ancorché presentata sotto forma di
citazione) delle Martellate di Marcello Maloberti.
Ferrero mi sembra tenere assieme queste matrici in maniera del tutto
personale, puntando sulla capacità da parte delle proprie opere – non
solo quelle esposte da Société Interludio – di suscitare insieme attrazi-
one e repulsione, di essere piene di grazia e al contempo stridenti,
controllate e viscerali. La serie 4EVER ne è una dimostrazione piut-
tosto emblematica, con i tanti pensieri che riesce a muovere e con-
densare. In genere è un buon segno quando, nello spazio di pochi
centimetri, un’opera sa essere così eloquente.

Testo di Saverio Verini
*La frase è tratta dalle lettere di Mario Sironi inviate dal fronte durante la Prima guerra mondiale.