Luca Lagash e Alex Cremonesi – Io Puttana
La Fondazione Volume! presenta Io Puttana, un progetto di Luca Lagash e Alex Cremonesi, che il 15 settembre dalle 19, per 24 ore, trasformerà gli spazi di Volume! in un luogo di trasmissione dove alcuni televisori a tubo catodico diffonderanno immagini stranianti e ipnotiche, i cui protagonisti saranno uno spazio architettonico indefinito e le figure che lo abitano.
Comunicato stampa
Si continua a girare intorno all’oggetto del nostro amore, della nostra devozione con le parole, anziché sperimentarlo veramente.
Gli angeli trascorrono la loro esistenza facendo uno strepito che per noi è silenzio.
L’opera d’arte è l’inesplicabile dove tutto si spiega. È percepire lunghezze d’onda che alla coscienza comune non arrivano. Ciò che per tutti è muto è in realtà una voce, ciò che è silenzio è in realtà frastuono, perciò la parola che spiega è ridondante. Lo stesso Demiurgo che ha attuato la creazione non ha certo avuto bisogno di spiegarla.
In ebraico esistono due lati della parola: la amirà, la Parola che solo i Profeti possono cogliere; poi c’è il dibbur, che rappresenta quanto è detto in maniera percepibile.
C’è una formula usata di frequente dai Maestri: ki-vjakhol, “se così si può dire”. È una clausola di cautela, la quale avverte che il linguaggio raffigurando falsifica, e non può andare oltre l’allusione.
È l’idea espressa da Kafka al termine del suo breve racconto intitolato “Prometeo”: “La leggenda tenta di spiegare l’inesplicabile. Poiché nasce da un fondo di verità non può che finire nell’inesplicabile”. Nel silenzio dell’inesplicabile. È quanto esprime anche l’Infinito di Giacomo Leopardi, di cui Francesco De Sanctis scriveva: “Innanzi a lui non ci sono idee, ma ombre delle idee, non c’è il concetto dell’infinito e dell’eterno (...) perché non giunge fino al concetto e non dà alcuna spiegazione, vi alita per entro un certo spirito misterioso, proprio delle visioni religiose”.
Qui infatti non sono le lontananze dell’orizzonte a suggerire l’infinito ma anzi la loro esclusione, è la siepe che esclude l’orizzonte a darne il senso. È il limite vicino, posto dalla siepe, a preservare al nostro sguardo ravvicinato l’infinità dell’infinito. L’orizzonte sarebbe una falsa icona dell’infinito, in quanto non infinito. Così come tradizionalmente l’antico veggente non ha vista acuta, anzi è solitamente cieco; il profeta che opera con la parola non ha facilità di eloquio, anzi è balbuziente, impedito nel parlare, secondo il modello di Mosè, di Isaia, di Giona.
È l’opera e non la parola, l’eloquio, la spiegazione su di essa a raffigurare la verità.
Gogol a suo tempo scriveva: “Io non voglio insegnare per mezzo dell’arte, l’arte è già un insegnamento”. Significa che, in un certo senso, è già simbolica. Spesso noi vorremmo che nelle nostre opere l’insegnamento fosse posto in primo piano, dimenticandoci del fatto che l’Arte è già questo. Non deve essere edificante, non deve essere retorica, non deve istruire, perché non vi è niente di peggiore di un uomo che ammaestra un altro.
Testo di Alex Cremonesi