Luca Matti – Nuagessinés
In mostra una selezione di 15 opere che coniugano grafica e fotografia, tratte dalla serie che l’artista fiorentino ha dedicato al mondo delle nuvole.
Comunicato stampa
Se desideri vedere le valli, sali sulla cima della montagna;
se vuoi vedere la cima della montagna, sollevati fin sopra la nuvola;
ma se cerchi di capire la nuvola, chiudi gli occhi e pensa.
Kahlil Gibran
(dall’introduzione al Nuvolario di Fosco Maraini, Ed. Semar, 1995)
Domenica 17 aprile inaugurerà all’Osservatorio Polifunzionale del Chianti la personale di Luca Matti dal titolo Nuagessinés. In mostra una selezione di 15 opere che coniugano grafica e fotografia, tratte dalla serie che l’artista fiorentino ha dedicato al mondo delle nuvole.
Questa recente produzione artistica di Matti ci trasporta alle radici dell’immaginazione. Le nuvole sono un inesauribile esercizio di fantasia, una pratica che tutti, fin da piccoli, abbiamo sperimentato. Luca Matti ci fa riscoprire, attraverso un’antologia di nuvole antropo/zoomorfe, la creatività più pura affrancata da un’ispirazione genuina e immediata, sorretta dal tratto abile e disinvolto dell’esperto illustratore. La capacità di cogliere storie e immagini nella rapida metamorfosi di una nuvola libera i sogni e la fantasia, carica la realtà di lirica bellezza, traducendola – nel caso di Matti – in composizioni artistiche raffinate e fortemente poetiche.
La linea rapida e sicura dell’artista delimita i confini di questi esseri incorporei e ineffabili; le nuvole come anime erranti del cielo, sospinte e modellate dai venti, sono il simbolo vitalistico della trasformazione, della metamorfosi: sono l’elevazione dello spirito al godimento della vita nel suo inarrestabile divenire.
Impossibile citare esaurientemente i riferimenti artistici e letterari al soggetto delle nuvole, tra gli antichi sono sicuramente da menzionare Le Nuvole di Aristofane e merita una citazione l’interpretazione che ne dà Lucrezio (94 a.c.-50 a.c.) nel suo IV libro del De rerum natura:
Ci sono atomi che nascono in cielo, spontaneamente;
e si radunano: allora molte figure si alzano
e mutano faccia l’una sull’altra adagiandosi.
È così che vediamo le nubi ingrandirsi
e oscurare il sereno del mondo
quando sfiorano l’aria; e sembrano
giganti che volano su pesanti ombre
o grandi montagne con le cime divelte che vanno
oltre i raggi del sole o forse altri mostri sospesi
che chiamano nuvolaglia dispersa.
Tra i moderni che hanno omaggiato l’universo delle nuvole – oltre a Goethe, Shelley, Hugo, Montale, Hesse, Pessoa e tanti altri – è doveroso ricordare Fosco Maraini (1912-2004), che col suo Nuvolario. Principi di Nubignosia è stato il diretto ispiratore delle opere di Luca Matti.
Nella sua visionaria catalogazione pseudoscientifica di “nimbologia e nubignosia”, Fosco Maraini – quasi ad abbracciare la patafisica di Alfred Jarry – suddivide il regno delle nuvole in tre classi (gli Iperonti, i Perionti e gli Iponti), a loro volta suddivise in altrettanti generi e specie dai nomi più curiosi: i “Graffi e Regnatele”, le “Canizie di Patriarca”, le “Piume di Fuoco”, le “Capelveneri”, le “Figlie del Sole”, le “Matrone”, le “Tediose”, etc.
La fotografia delle nuvole – che sta alla base del lavoro di Matti – trova invece un suo illustre esponente in Alfred Stieglitz (1864-1946), il fotografo americano che cercò in ogni modo di tradurre la tecnica fotografica in arte. Tra i suoi lavori più avanguardistici vi sono gli Equivalents, una serie di fotografie di nuvole che Stieglitz realizzò tra 1922 e il 1934, ritenute da molti le prime opere fotografiche astratte. Come per Luca Matti, così Stieglitz considerava quelle immagini degli “equivalenti” dei suoi pensieri ed emozioni.
«Attraverso le nuvole volevo riportare sulla carta la mia filosofia della vita; mostrare che le mie fotografie non erano dovute al contenuto o ai soggetti, agli alberi, ai visi, agli interni, né a doni particolari: le nuvole sono lì per tutti... sono libere» .
Le Nuagessinés (fantasioso acronimo inventato dall’artista fondendo nuages + dessinés, “nuvole disegnate”) sono una fresca ispirazione, una balsamica visione se accostate alla più celebre produzione pittorica di Matti. La sua serie di Città, opere in prevalenza in bianco e nero, spesso in bitume, sono geometrie solide e compatte di anonimi palazzoni, visioni apocalittiche e claustrofobiche in cui l’esemplare umano diventa il mostro che ha creato. Nelle Nuvole invece torna il colore, il cielo blu con le sue mille sfumature. Nelle nuvole, effimere e impalpabili, il tratto si fa morbido e istintivo mentre disegna i contorni di sinuose e imprevedibili forme.
In entrambe le serie è presente una visione aerea, il concetto di elevazione dello sguardo come ascensione dello spirito (dall’alto verso il basso nelle Città; dal basso verso l’alto nei lavori sulle nuvole). Le Nuagessinés si pongono quindi in continuità con le vedute delle Città, esse rappresentano la tanto agognata ‘evasione’ dal selvaggio e asfittico intrico di grigi palazzi acuminati; sono la ‘fuga’ appena sopra l’acromatica foresta di cemento urbana, ma soprattutto rappresentano la speranza e sembrano volerci ricordare che finché l’uomo saprà sognare non sarà completamente perduto.
Questi due universi indagati da Matti richiamano alla mente una pellicola di Pierpaolo Pasolini. Nella scena finale di Che cosa sono le nuvole? Ninetto Davoli e Totò gettati nella discarica, distesi tra i rifiuti guardano verso il cielo e – come fossero appena usciti dalla caverna del mito platonico – davanti ai loro occhi irrompe l’epifania del mondo: le nuvole, così lontane e indifferenti, libere dalle catene delle misere dinamiche terrene.
OTELLO (Ninetto Davoli): Iiih! E che so' quelle?
IAGO (Totò): Quelle sono... sono le nuvole...
OTELLO: E che so' ste nuvole?
IAGO: Mah!
OTELLO: Quanto so' belle, quanto so' belle... quanto so' belle...
IAGO: Ah! Straziante, meravigliosa bellezza del creato!
(P. Pasolini, Che cosa sono le nuvole?, 1967)
(G. Rodani)