Luciano Ceschia – Bronzi
Trenta pezzi tra disegni di studio e opere in bronzo per raccontare l’avventura nella materia dello scultore friulano.
Comunicato stampa
Luciano Ceschia inizia a lavorare i metalli nei primi anni Sessanta: accoglie nella sua complessiva “avventura della materia” ghisa, bronzo, acciaio, argento, ferro e rame. Continua a lavorare l’argilla, che ora spinge verso una sperimentazione inedita, carica di contenuti nuovi e forte di un piglio monumentale. Con le ceramiche si è guadagnato l’attenzione nazionale: l’esposizione presso la Galleria “La Colonna” di Milano ha incontrato il favore della critica e di un collezionismo attento e aggiornato. Sta preparando le terrecotte per la mostra di New York e, per la Biennale di Venezia, sta realizzando una Grande porta di Hiroshima, opera in ceramica greificata di grande formato, che cuoce a pezzi nel forno della sua casa-studio di Coia di Tarcento.
Le tensioni nuove di cui queste ceramiche si fanno portatrici entrano nella fusione in ghisa anzitutto, ove le possibilità della materia “ignobile” per i puristi e gli accademici, offrono all’artista ampio campo di sperimentazione. I Gong da Hiroshima (1961), i Gong solari (1962), dove alla ghisa vengono incorporati metalli diversi, evidenziano il valore autonomo della materia, che nel brutalismo del suo enunciato e della sua trattazione, rilancia la barbarie dei temi affrontati. Sempre nel 1961 Ceschia opera le prime fusioni in bronzo, e ai Dischi e agli Scudi in bronzo affida un linguaggio e un orientamento diverso che si emancipa dal canone figurale. L’artista si porta su territori forti di una tensione astratta che trova nella serie delle Sfere la sua più alta affermazione.
Nelle officine di Vicenza, Udine, Verona, Treviso, Milano nascono i Gong, i Dischi e i Soli, e le grandi Sfere girevoli, orientabili in un dialogo continuo con lo spazio, il vuoto, la luce circostante. Nascono anche, sia per fusione piena che a cera persa, i bronzetti e nel 1970 le prime medaglie, che contraggono nel piccolo formato l’ampio pensiero scultoreo dell’artista in termini di forma e superficie, spazio e luce, pieno e vuoto, concretezza materiale e astratta idealità.
La lavorazione del bronzo conosce nella seconda metà dei Settanta l’utilizzo di lamiere, come in Arrotolamento (1977), Movimento in apertura (1977), Frequenza (1977), opere che nel medio formato sostengono la riflessione naturale del farsi scultoreo; dichiarano nella mobilità percettiva, nelle tensioni di dettaglio, l’inquietudine di un pensiero espansivo teso al dominio di un universo ove gli assunti della natura e dell’uomo sono primari. Questi brani contraggono nella dimensione, nella materia e nella forma i due motivi conduttori degli anni Settanta: le Sfere e le Verticali, cui Ceschia pensa ora in crescenti termini monumentali. Preludono inoltre ai ferri curvati che condurranno negli anni Ottanta al gigantismo dei Totem che si staglieranno verso il cielo sino a 5 metri di altezza. I Totem offrono immagine del rinnovato slancio che l’artista vive nel clima di rinascita che segue il terremoto del Friuli, quando si porta in un ampio studio e si circonda di maestranze sempre più specializzate, in grado di coadiuvare l’artista nelle oramai complesse e differenziate fasi di realizzazione delle sue sculture.
Sarà nel suo studio che Luciano Ceschia sarà colto da un malore che lo porterà ad una precoce morte, nel 1991, all’età di 65 anni.
Note biografiche
Nato nel 1926 a Coia di Tarcento da una famiglia contadina, Luciano Ceschia si formò artisticamente tra la bottega del fotografo Cesare Turrin a Tarcento e lo studio dello scultore Antonio Franzolini a Udine. Nell’aprile 1944 fu internato dai tedeschi in un campo di prigionia in Austria, dove rimase fino alla fine della guerra. Dopo il suo ritorno partecipò all’attività dei circoli artistici e alle prime mostre collettive. Si iscrisse al Liceo Artistico a Venezia, ma nel 1947 interruppe gli studi e iniziò il periodo dei suoi viaggi: in Yugoslavia, in Svizzera, a Parigi e nel sud della Francia presso i vecchi maestri dell’arte ceramica. Nel 1954, dopo il suo rientro a Coia, costruì nella legnaia di casa una primitiva fornace, da cui uscirono pannelli, piatti e vasi istoriati con soggetti tratti dalla tradizione popolare, che furono esposti nella sua prima personale allestita alla Galleria La Colonna di Milano nel 1959 e nelle successive mostre a Pisa, Modena, Pescara, Firenze, Pordenone, Roma. Alla Biennale di Venezia del 1962 vinse il Premio del Ministero dell’Industria e del Commercio con la ceramica greificata “Grande porta di Hiroshima”. Nei primi anni ’60 iniziò a sperimentare nuove forme e nuovi materiali come i metalli, le resine sintetiche, la pietra, il legno e il cemento armato. Un importante momento di verifica fu la grande mostra retrospettiva tenutasi nel 1968 a Udine presso Palazzo Kechler, corredata dalla pubblicazione di un volume monografico con testi di Elio Bartolini, Amedeo Giacomini e Francesco Tentori. Nel 1970 vinse il Concorso per la medaglia ufficiale del XVIII Congresso Eucaristico Nazionale e venne in seguito invitato a ideare una medaglia per conto della Repubblica di San Marino e per le celebrazioni marconiane. Seguirono le mostre di Trieste, Labin, Padova, Villacco, Palermo, Vienna, Ferrara, Lubiana, Venezia, Zagabria, Maribor e altre ancora. Nel 1976 fu nominato cittadino onorario della città di Cividale del Friuli per aver ideato e realizzato il Monumento alla resistenza. Cento opere di Ceschia furono esposte in occasione della mostra tenutasi presso la Main Hall Gallery di New York nel 1984. L’ultima esposizione cui l’artista partecipò di persona fu quella allestita nel 1991 al Castello di Udine con oltre 100 esemplari di medaglie e gessi realizzati negli ultimi diciotto anni. Si spense infatti il 4 novembre 1991.
La più completa mostra realizzata dopo la sua scomparsa è stata l’antologica presso Palazzo Frangipane a Tarcento nel 2000, in occasione della quale è stata pubblicata a cura del prof. Claudio Cerritelli la monografia “Luciano Ceschia” per i tipi di Casamassima editore.