Lumpenfotografie. Per una fotografia senza vanagloria

  • P420

Informazioni Evento

Luogo
P420
via Azzo Gardino 9 , Bologna, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

mercoledi – venerdì: 15 – 19.30
sabato: 9.30 – 13.30 / 15 – 19.30
gli altri giorni e orari su appuntamento

Vernissage
04/05/2013

ore 18

Artisti
Alessandra Spranzi, Franco Vaccari, Hans-Peter Feldmann, Joachim Schmid, Peter Piller
Curatori
Simone Menegoi
Generi
fotografia, collettiva

Curata da Simone Menegoi, la mostra riunisce autori di generazioni diverse che indagano i codici linguistici della fotografia e la sua dimensione sociale, ricorrendo all’appropriazione di immagini altrui e a forme di presentazione come la serie, il catalogo, l’archivio.

Comunicato stampa

Inaugurerà il prossimo 4 maggio alle ore 18 presso la galleria P420 (Piazza dei Martiri 5/2, Bologna) Lumpenfotografie. Per una fotografia senza vanagloria, mostra collettiva degli artisti Hans-Peter Feldmann (Düsseldorf, 1941), Peter Piller (Fritzlar, 1968), Alessandra Spranzi (Milano, 1962), Joachim Schmid (Balingen, 1955) e Franco Vaccari (Modena, 1936). Curata da Simone Menegoi, la mostra riunisce autori di generazioni diverse che indagano i codici linguistici della fotografia e la sua dimensione sociale, ricorrendo all’appropriazione di immagini altrui e a forme di presentazione come la serie, il catalogo, l’archivio.

E’ di Franco Vaccari la paternità del termine Lumpenfotografie (letteralmente, “fotografia stracciona”) derivato dalla celebre definizione marxiana di Lumpenproletariat. Marx definì “lumpenproletariat” un gruppo sociale formato dagli “scarti di tutte le classi”: una plebe che vive di espedienti, del tutto privo di coscienza di classe. Trasformando la categoria socio-politica marxiana in categoria estetica, Vaccari ha parlato di“lumpenfotografie” a proposito del lavoro dell’artista tedesco Joachim Schmid, che da trent’anni, raccoglie, seleziona ed espone quella che non è, e non aspira ad essere, fotografia “d’arte”: le fotografie dei quotidiani e quelle amatoriali, le fototessere, gli scatti pornografici, le illustrazioni dei manuali… Una massa irregolare e anarchica, priva della consapevolezza estetica (e della auto-consapevolezza linguistica) che contraddistingue la fotografia“d’autore”, e che costituisce perciò l’analogo fotografico dei “lumpen”marxiani. La definizione di Vaccari ha suggerito l’idea di riunire alcuni artisti che hanno fatto della“lumpenfotografie” l’oggetto (e spesso il materiale stesso) del loro lavoro: Hans-Peter Feldmann, Peter Piller, Alessandra Spranzi, Joachim Schmid e Vaccari stesso. Fra le opere esposte: le piccole pubblicazioni autoprodotte in cui Feldmann, già alla fine degli anni Sessanta, presentava selezioni di foto banali ordinate per soggetto; alcuni estratti dall’archivio di Piller, imponente raccolta delle tipologie più diffuse di immagini della stampa quotidiana; una selezione da Bilder von der Straße di Schmid, collezione trentennale di fotografie rinvenute dall’artista per strada; le stampe della serie Vendesi di Spranzi, il cui soggetto sono le immagini, tecnicamente scadenti e talvolta dotate di fascino involontario, degli oggetti messi in vendita sulle riviste di annunci economici; e infine alcuni pannelli della serie Fotomatic d’Italia (1972) di Vaccari, sui quali l’artista italiano ha raccolto e catalogato le fototessere inviategli da persone che desideravano partecipare a un fantomatico provino. L’atteggiamento degli artisti nel confronti del loro oggetto di indagine non è uniforme: oscilla fra il distacco analitico e l’ironia, fra i modi freddi e catalogatori dell’Arte Concettuale e una percepibile simpatia estetica. In ogni caso, non sembra di riscontrare in questi autori alcuna spocchiosa pretesa di superiorità intellettuale nei confronti delle immagini che utilizzano e degli anonimi fotografi che le hanno realizzate. Sembrano tutti essere giunti, per vie diverse, alle conclusioni di un conterraneo di Vaccari, lo scrittore Ermanno Cavazzoni: la quarta di copertina di un suo libro (che lo stile fa supporre redatta dallo scrittore stesso) gli attribuisce “una scrittura serena, non vanagloriosa”, nella consapevolezza che “anche l’intelligenza e le sue pretese fanno parte di quella universale idiozia che accompagna il genere umano dalla nascita fino alla morte e forse oltre”. (Vite brevi di idioti, 1994).

Opening on 4 May at 18.00 at Galleria P420 (Piazza dei Martiri 5/2, Bologna) Lumpenfotografie. Towards a photography without vainglory is a group show on the artists Hans-Peter Feldmann (Düsseldorf, 1941), Peter Piller (Fritzlar, 1968), Alessandra Spranzi (Milan, 1962), Joachim Schmid (Balingen, 1955) and Franco Vaccari (Modena, 1936). Curated by Simone Menegoi, the exhibition brings together authors from different generations who investigate the linguistic codes of photography and its social dimension, making use of the appropriation of images of others and forms of presentation such as the series, the catalogue, the archive.

The term comes from Franco Vaccari, Lumpenfotografie (literally “ragged photography”), based on Marx’s famous definition of the Lumpenproletariat. Marx defined “lumpenproletariat”as a social group formed by the “outcasts of all classes”: an underworld that lives by its wits, utterly lacking in class consciousness. Transforming Marx’s socio-political category into an aesthetic distinction, Vaccari has spoken of“lumpenfotografie” with respect to the work of the German artist Joachim Schmid, who for three decades has gathered, selected and exhibited work that is not, and does not claim to be, “art” photography: pictures from newspapers, amateur snapshots, ID photos, pornography, the illustrations in manuals… A motley and anarchical mass, lacking in the aesthetic awareness (and linguistic self-awareness) typical of “art” photography, and therefore constitutes the photographic counterpart of Marx’s “lumpen”. Vaccari’s formulation suggested the idea of putting together several artists who have made “lumpenfotografie”the object (and often the very material) of their work: Hans-Peter Feldmann, Peter Piller, Alessandra Spranzi, Joachim Schmid and Vaccari himself. Among the exhibited works: the small self-produced publications in which Feldmann, already towards the end of the 1960s, presented selections of banal images, organized by subject; some items from the archives of Piller, an impressive collection of the widest range of types of images found in newspapers; a selection from Bilder von der Straße of Schmid, a collection spanning three decades of photographs found by the artist in the street; the prints of the Vendesi series by Spranzi, whose subjects are the technically shoddy images, though at times of unintentional charm, of the objects put up for sale in want-ad magazines; and, finally, some panels from the Fotomatic d’Italia series (1972) by Vaccari, on which the Italian artist has gathered and catalogued the ID photos sent to him by people who wanted to participate in a fictitious casting call. The approach of these artists to their object of study is far from uniform: it wavers between analytical detachment and irony, between the cold, cataloguing methods of Conceptual Art and a perceptible aesthetic attraction. In any case, in these artists we do not seem to see any haughty intellectual disdain for the images they use or for the anonymous photographers who made the pictures. Along different paths, they all seem to have reached the same conclusions of a countryman of Vaccari, the writer Ermanno Cavazzoni: the back cover of one of his books (which the style would lead us to believe was prepared by the author himself) points to “a serene way of writing, without vainglory”, in the awareness that “even intelligence and its pretensions are part of that universal idiocy that accompanies the human race from birth to death and, perhaps, beyond” (Vite brevi di idioti, 1994).