LXV Premio Michetti
Per la 65° edizione del Premio Michetti il tema “alimento dell’anima” vuole ricollegarsi alla grande manifestazione dell’EXPO 2015, attesa a Milano per il prossimo anno, orientata sui temi ormai universali del cibo e della sua sostanziale centralità nel mondo contemporaneo.
Comunicato stampa
Sarà inaugurato sabato 26 luglio, al Museo di Piazza San Domenico, a
Francavilla al Mare, alle ore 19,00,il LXV Premio Michetti sul tema
"Alimento dell’anima" - verso l’Expo 2015.Curatrice di questa edizione
sarà Tiziana D’Acchille, direttrice dell’Accademia di Belle Arti di
Roma.Il Premio, secondo la tradizione, presenterà alcuni dei nomi più
interessanti dell’arte contemporanea, italiani e stranieri che si
confronteranno trattando un tema dalle molteplici possibilità di
lettura, in linea con quello che sarà la linea centrale dell’Expo di
Milano previsto per il 2015.I partecipanti sono, come al solito, il
frutto di una rigorosa selezione e ciascuno proporrà due opere , la
prima aderente al tema proposto, una seconda espressione della
personale cifra stilistica.
Oltre al tradizionale concorso è prevista una mostra dedicata a Franco
Marrocco, Italo Bressan e Alessandro Savelli dal tema “Call for
Papers” a cura di Giovanni Iovane.È inoltre prevista una sezione
dedicata alla conservazione dei Premi Michetti, alla quale hanno
lavorato gli allievi dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila (
diretta dalla prof.ssa Giovanna Cassese) con la docente prof.ssa
Grazia De Cesare.
Sarà pubblicato, come sempre, un elegante catalogo Vallecchi , con
tutte le sezioni dell’edizione di quest’anno.
L’Esposizione sarà aperta tutti i giorni dalle ore 18,00 alle 23,00.
Giorno di chiusura il lunedì. Ingresso gratuito.
Per informazioni:
085-4912347
Elenco artisti
Riccardo Ajossa, Giovanni Albanese, Sara Bandini, Antonio Barbagallo,
Pierluigi Berto, Marina Bindella, Daniela Bozzetto, Matteo Bultrini,
Aurelio Bulzatti, Leonardo Cambri, Alfonso Cannavacciuolo, Sauro
Cardinali, Filippo Ciavoli Cortelli, Luca Coser, Elisabetta Diamanti,
Stefania Fabrizi, Roberto Ferri, Michela Forte, Fathi Hassan, Paolo
Iacomino, Pierluigi Isola, Ana Kapor, Paolo La Motta, Alessandro Lato,
Paolo Laudisa, Andrea Lelario, Riccardo Luchini, Enrico Luzzi,
Giovanni Maranghi, Andrea Martinelli, Mauro Maugliani, Licinia
Mirabelli, Giuseppe Modica, Mariano Moroni, Stefano Mosena, Beatrice
Nencini, Giorgio Ortona, Pierfranceschi Maurizio, Giosuè Ripari,
Raffaele Rossi,Sandro Sanna, Antonio Sannino, Doriano Scazzosi,
Vincenzo Scolamiero, Elvezio Sfarra, Franco Sinisi, Anna Skoromnaya,
Giuseppe Nicola Smerilli,Gloria Sulli, Francesco Verio, Virgilio,
Antonello Viola, Andrea Volo, Cordelia von den Steinen, Alfredo Zelli.
LXV EDIZIONE PREMIO MICHETTI
LUGLIO 2014
Alimento dell’anima verso l’EXPO 2015
Per la 65° edizione del Premio Michetti il tema “alimento dell’anima” vuole ricollegarsi alla grande manifestazione dell’EXPO 2015, attesa a Milano per il prossimo anno, orientata sui temi ormai universali del cibo e della sua sostanziale centralità nel mondo contemporaneo.
L’arte è alimento dell’anima, ci suggerisce il titolo scelto per questa edizione del premio, e certamente nessuno è in grado negare all’arte la sua funzione essenziale nel corroborare l’individuo o fornire orizzonti di senso in un momento di grande ripensamento di tutti valori dell’occidente. Tuttavia la realtà dell’arte è molto più complessa di quanto una lettura immediata e forse troppo rassicurante della sua funzione oggi ci possa indicare. L’arte stessa è oggi assimilabile a una commodity, un bene trattato alla stregua di materia prima nei mercati mondiali e pertanto oggetto di un commercio spietato e regolato da leggi non scritte che ne determinano l’andamento. La riflessione sull’arte e sulla sua essenzialità, pertanto, non potrà prescindere da questo dato di partenza, che peraltro non rappresenta un unicum storico, ma ricalca le vicende dell’intera storia dell’arte occidentale.
Fatta questa necessaria premessa che accosta paradossalmente il cibo all’arte come beni di consumo, è utile sottolineare che il rapporto tra cibo e arte in epoca contemporanea non è sereno, né solare: gli aspetti problematici che connotano la relazione tra gli esseri umani e gli alimenti sono tutti stati evidenziati, se non precorsi, dalle ricerche degli ultimi decenni. Il cibo connota l’essere umano e la manipolazione degli alimenti è prerogativa unica, tra tutti gli esseri viventi, dell’uomo. La storia del pensiero speculativo e dell’evoluzione umana è strettamente collegata alla scoperta, da parte delle prime comunità, della cottura del cibo. La maggiore digeribilità del cibo cotto, secondo la scuola della moderna antropologia culturale, ha determinato da parte dell’animale uomo una maggiore disponibilità di tempo residuo perché il pensiero in tutte le sue forme più articolate potesse svilupparsi e questo, sembra, ha fatto degli esseri umani quegli animali pensanti che hanno potuto imporsi sul resto degli altri organismi viventi aspirando a un ruolo di supremazia assoluta sul creato. Oggi il cibo è al centro di una profonda riflessione culturale e sociale che ne sta valutando l’importanza in tutte le sue possibili componenti, come forse non accadeva dalla tarda antichità, quando sui suoi eccessi fu posto, da parte dei padri della Chiesa, uno stigma ancora oggi potente e drammatico. Basti pensare alla creazione, nei primi secoli della cristianità, del peccato di gola e degli altri vizi capitali. La gola, unitamente alla lussuria, è descritta nella patristica come la prima tra le molte tentazioni ad assalire gli eremiti nel deserto e rappresenta pertanto il legame più immediato con il corpo che ascolta le proprie esigenze. La gola è il simbolo dell’incontinenza del corpo, ed è il meno raffinato ed ‘evoluto’ tra i peccati. La sua mancanza di astrazione lo porterà rapidamente, insieme al pendant della lussuria, al centro delle rappresentazioni medievali degli eccessi nelle scene del Giudizio Universale o di altre immagini demoniache. In questi primi tentativi di descrivere l’orrore dell’aldilà la tavola imbandita che conduce all’inferno è ricca di cibo e bevande e i dannati sono dei ghiottoni che vanno incontro a punizioni corporali atroci, divenendo loro stessi cibo per i demoni. Questo immaginario così fortemente connotato attribuisce ai peccati in generale e al cibo in particolare quel senso di colpa che ha determinato da parte della Chiesa la scansione precisa di tempi e quantità degli alimenti da ingerire, limitandone gli eccessi attraverso un sistema rigido di prescrizioni e privazioni. Le pratiche dell’astinenza portano Sant’Ambrogio nel IV secolo a scrivere: Che cos’è il digiuno se non l’essenza e l’immagine del cielo? Il digiuno è il nutrimento dell’anima, l’alimento dello spirito, la vita degli angeli, la morte della colpa…
Dalle parole di Sant’Ambrogio e dalle teorizzazioni successive si sviluppa un filone di pensiero teologico che
vuole affrancarsi dalle incontinenze orgiastiche della tarda romanità, peraltro transitate senza troppi traumi
anche nel mondo delle prime èlite cristiane, per giungere a una cultura sociale e religiosa della mortificazione dei sensi che non ha mai smesso di esercitare il suo potere censorio. Aspetti moralizzanti sono ancora oggi associata al cibo nei modi più diversi: la scarsità di nutrimento nelle società in via di sviluppo contrapposta allo spreco eccessivo in alcune parti del pianeta, la manipolazione degli alimenti e la loro perdita di “naturalità”, la ricerca di una nuova forma di igiene, ai limiti dell’ascesi, nelle società complesse come l’occidente industrializzato, la mancanza di un’etica alimentare nelle economie orientali mirate alla massima produttività, le nuove patologie psichiatriche legate all’eccessivo consumo di cibo e all’ossessione legata al suo controllo. Molti di questi aspetti speculativi sono indissolubilmente legati all’arte contemporanea e alle ricerche degli ultimi decenni. Basti solo pensare al tema della corporeità modificata in relazione al rifiuto o all’eccesso di cibo, e potremo subito elencare una numerosa serie di artisti, dagli anni sessanta a oggi, che lo hanno considerato come uno degli elementi centrali della propria ricerca, senza peraltro tralasciare il ruolo giocato dalle artiste della body art che davvero può rappresentare un capitolo a parte per importanza e corposità nella storia del rapporto tra arte e cibo. Senza addentrarsi in analisi storico-antropologiche troppo approfondite per il contesto di questa rassegna, non è superfluo ripercorrere, anche molto brevemente, alcune tappe fondamentali del tema del cibo nell’arte per comprendere le sue evoluzioni contemporanee che abbiamo appena citato. E’ infatti curioso vedere come temi antichissimi come quello della natura morta o del convivio riappaiono, modificati alla luce di un linguaggio contemporaneo, anche tra molte delle opere presenti in questa mostra. Nella storia dell’arte occidentale la presenza del cibo e dei suoi significati simbolici corrisponde a uno dei temi tra i più rappresentati. Al cibo è legata una componente vivificante e mortifera al tempo stesso: le prime nature morte sono infatti composizioni di fiori e frutta, spesso raggruppate in forma di festoni, come offerte funerarie a coloro che si percepiscono come ancora presenti. Gli effluvi dei cibi freschi sono alimento dell’anima dei defunti nella religione dell’antico Egitto. Il profumo dei fiori appena recisi e del pane caldo nutre i trapassati e le loro anime ancora legate alla terra, e da questo importante elemento si sviluppa lungo i secoli un fecondo filone delle arti visive che ancora oggi suscita una forte attrattiva. La presenza di alcuni cibi sulle tavole imbandite delle opere d’arte dal primo Rinascimento in avanti non è casuale: alcuni alimenti sono indissolubilmente legati a significati simbolici di matrice religiosa, altri sono ‘segnali’ significanti per raccontare storie legate alla committenza dell’opera. E’ il caso della ‘Fiscella’, la celeberrima canestra di Caravaggio commissionata dal Cardinal del Monte, dove la frutta assume significati simbolici legati al sacrificio di Cristo, o dell’altrettanto celebre ‘Cena in Emmaus’ dove le vivande, con un pollo arrosto in primo piano, alludono ugualmente al supremo sacrificio del Redentore. Caravaggio, in realtà, non è che uno dei maggiori interpreti italiani di una tendenza che si svilupperà, con eccezionale fortuna, nell’Europa del nord e nelle Fiandre in particolare, dove il divieto di rappresentazione delle immagini sacre sposterà inevitabilmente negli oggetti inanimati tutto il valore di racconto che era stato fino a quel momento prerogativa esclusiva delle figure dell’arte sacra. Ecco la ragione della diffusione così capillare e dagli altissimi livelli pittorici del tema della natura morta nell’arte fiamminga. L’affermarsi della natura morta come nuovo genere borghese è stato correttamente interpretato come il vero e proprio inizio di un’arte che dai criptici significati cristologici diviene in un paio di secoli un genere autonomo svincolato definitivamente dalla rappresentazione sacra. Il linguaggio di quei quadri, oggi, è per molti aspetti incomprensibile, se non fermo a un livello superficiale di significato. I cosiddetti ‘banketjie’ fiamminghi, ossia le tavole imbandite, ricolme di vettovaglie opulente e apparecchiate con stoviglie lussuose, mostrano la tentazione della ricchezza e i piaceri della gola lussureggiante di cui la nuova classe borghese è espressione, e al contempo ne dichiarano la peribilità. I beni terreni non sono eterni, sembrano sussurrare questi straordinari quadri, e la caducità dell’essere umano è dichiarata da elementi iconografici apparentemente casuali come un bicchiere rovesciato, come il piatto di peltro rappresentato in equilibrio instabile sul bordo della tavola, come l’orologio o la clessidra, marcatori di un tempo terreno inevitabilmente destinato ad esaurirsi. Oggi il tema della natura morta è certamente lontano dalle complesse interpretazioni di ‘memento mori’ di secentesca memoria, ma il fascino della quotidianità e il dialogo muto con gli oggetti che circondano le nostre vite è ancora fonte inesauribile di ispirazione, pertanto la natura morta contemporanea si alimenta di una nuova energia mediata da movimenti e correnti del Novecento come il surrealismo o il realismo magico. Il cibo è elemento di rilievo anche per temi iconografici come l’Ultima Cena, il Banchetto Rinascimentale o Le Allegre Compagnie di matrice fiamminga.
Su questi temi la contemporaneità ha sviluppato un vero e proprio filone a parte di riflessione: dai tableaux vivants di Cindy Sherman alle innumerevoli Last Supper, da Andy Warhol a David LaChapelle a Sam Taylor-Wood, alle immagini pubblicitarie di Brigitte Niedermair, solo per citarne alcuni.Il cibo slegato da temi specifici, e invece associato alla sua valenza socioantropologica è stato oggetto di acuta analisi da parte di alcuni esponenti della performance e della body art. Indimenticabile Janine Antoni in Gnaw, performance in cui l’artista mastica enormi quantità di lardo o di cioccolato, esponendo se stessa a un tormento corporeo ai limiti del disgusto e del soffocamento, o il trashy Bossy Burger di Paul McCarthy unitamente al conturbante Flesh dress di Jana Sterback con tutte le sue derivate contemporanee. Indubbiamente questi esempi confermano la valenza ambigua, doppia del cibo: dalla freschezza frugifera ai miasmi putrescenti l’alimento è indissolubilmente legato alla sopravvivenza, sia che se ne soffra la mancanza, sia che la sua soverchia presenza determini, comunque, un esito fatale. La necessità, infine, emersa negli ultimi anni, di ricostruire con il cibo un rapporto meno mediato dalla cultura e più vicino alla “natura” non può che rivelare la sua intrinseca votazione al fallimento: categorie come naturale, biologico, biodinamico, organico, vegetariano, faticano a trovare una definizione anche presso la comunità scientifica e rimandano piuttosto al sogno di un eden incontaminato dalla corruzione del peccato, a una mitica età dell’oro dove i cibi sono tutti salutari e vivificanti e dove l’inferno assume i connotati agghiaccianti di un mattatoio.Le opere in mostra, scelte sia dal comitato scientifico, sia dalla curatrice, sia da una serie di gallerie d’arte contemporanea, raccontano, in modi e linguaggi molto diversi tra loro, di un cibo non solo come elemento unificatore, ma anche e soprattutto come riflessione sulle inevitabili ripercussioni determinate da un approccio problematico nei confronti dell’alimentazione. Tutti gli artisti sono presenti con due opere ciascuno, di cui una specifica sul tema, realizzata attingendo dal repertorio iconografico e poetico personale e declinando l’ampio tema del nutrimento, materiale e immateriale, con un linguaggio proprio, mentre un’altra opera è più genericamente rappresentativa del percorso e dello stile personale di ciascun artista.Dagli ironici e allusivi assemblaggi dei Motociclisti affamati di Giovanni Albanese, e gli animali fantastici scarnificati di Gloria Sulli, al mondo lirico ed evocativo di quell’eden perduto di Sara Bandini, Ana Kapor, Elisabetta Diamanti, Fathi Hassan, si passa alla leggerezza disincarnata delle opere di Alfredo Zelli, Stefania Fabrizi, Pier Luigi Berto, Riccardo Ajossa e Paolo Laudisa. Giuseppe Modica, vincitore della scorsa edizione, è il poeta di un mondo ‘altro’ cui appartengono anche l’immaginario e la poetica di Enrico Luzzi e Luca Coser.Al contrario, esprimono la carnalità opulenta del corpo tutto da consumare la Salomè di Roberto Ferri, il Fiore di Andrea Martinelli, il Marchio di Mauro Maugliani, unitamente ai surreali riferimenti a un nuovo sacro di Virgilio Rospigliosi, e Anna Skoromnaja. I banketje contemporanei di Doriano Scazzosi, Michela Forte, Andrea Volo, Licinia Mirabelli, Paolo Iacomino, Pierluigi Isola, Paolo La Motta, Riccardo Luchini, Giovanni Maranghi, Filippo Ciavoli Cortelli, ci riportano al tema della natura morta, mentre i tanti riferimenti alla terra, arida matrigna o madre feconda, di Marina Bindella, Cordelia von den Steinen, Giuseppe Nicola Smerilli, Sandro Sanna, Antonello Viola, Vincenzo Scolamiero, Matteo Bultrini, Alessandro Lato, Elvezio Sfarra, Leonardo Cambri, Daniela Bozzetto, Antonio Barbagallo, Antonio Sannino, si contrappongono alle digressioni tassonomiche sempre sul tema della natura morta come le zucche di Giorgio Ortona, o il bucranio di Alfonso Cannavacciuolo, o ai riferimenti inevitabili dei codici a barre di Franco Sinisi, come pure al post naif di Francesco Verio e alle spazialità tridimensionali di Beatrice Nencini, Mariano Moroni e Giosuè Ripari.Raffaele Rossi, Andrea Lelario, Maurizio Pierfranceschi, Sauro Cardinali, ci descrivono mondi immaginari e territori inesplorati evocativi di quell’età dell’oro dove il nutrimento è sempre vitale, mentre Stefano Mosena gioca con il contrario della gola descrivendo un avaro contemporaneo. Aurelio Bulzatti, infine, non potrà che concludere questa rassegna con il racconto magico e al contempo disincantato di un abitante di una sperduta metropoli alla ricerca di ciò che resta della Grand Bouffe.
Tiziana D'Acchille