Magnificat. Donne e Madonne nell’arte dal XV secolo a oggi
Raffinate sculture icona della raccolta di Bruno Albertino e Anna Alberghina, collezionisti di arte africana, dialogano con opere di importanti maestri della pittura dal XV secolo a oggi sul tema universale della donna e madre.
Comunicato stampa
L’arte africana tradizionale incontra l’arte antica e contemporanea nella cornice di Palazzo Lomellini a Carmagnola (TO).
Raffinate sculture icona della raccolta di Bruno Albertino e Anna Alberghina , studiosi e collezionisti di arte africana, dialogano con opere di importanti maestri della pittura appartenenti a collezioni private torinesi datate dal XV secolo ai giorni nostri sul tema universale della donna e madre.
Tra gli oltre 80 artisti presenti ricordiamo: Francesco Cairo, Mattia Preti, Carlo Dolci, Lorenzo Delleani, Celestino Turletti, Felice Casorati, Carlo Levi, Francesco Tabusso , Antonio Carena.
Assonanze formali e contaminazioni artistiche storiche fanno da elemento guida dell’esposizione, dove il tema della donna e madre trova la sua sublimazione tra suggestioni plastiche ed estetico-formali.
Organizzata dal Comune di Carmagnola e dall’Associazione Amici di Palazzo Lomellini.
Catalogo in Mostra.
LA DONNA NELLE ARTI AFRICANE
di Bruno Albertino e Anna Alberghina
Produzione plastica e scultorea dell’Africa a sud del Sahara, frutto di innumerevoli culture, etnie e tradizioni religiose, l’arte africana proprio nell’accordo profondo tra percezione universale e realizzazione particolare, ha trovato la sua sublimazione in una visione non solo etnografica ma soprattutto estetico-formale. L’ingresso al Metropolitan Museum of Art di New York ed al Pavillon des Sessions del Louvre di Parigi nel 2000, ha segnato la definitiva consacrazione dell’arte africana nel mondo occidentale.
La donna riveste da sempre un ruolo fondamentale nelle società tradizionali africane. Oltre alle attività casalinghe e di assistenza, anche il lavoro agricolo e la cura degli animali domestici sono istituzionalmente affidati a donne e bambini. Dunque, per sopravvivere e, talvolta prosperare, le comunità devono assicurarsi la più ampia disponibilità della principale risorsa: la forza lavoro umana. Il destino di ogni lignaggio dipende dalla sua capacità di non farsi mai mancare braccia giovani e sane adatte a lavorare e combattere. Per riuscire, devono essere in grado di avere molti figli e di generarne in continuazione poiché la mortalità infantile è altissima e la durata della vita molto breve. Ciò spiega perché la figura femminile rappresenti uno dei cardini dell’iconografia africana come, peraltro, si osserva in tutte le arti figurative delle società umane. Tuttavia, l’Occidente ammira la scultura dell’Africa nera per la sua ricchezza stilistica e inventiva formale, perdendo di vista il valore rituale che essa ha, invece, per i popoli che la producono. Si tratta, infatti, di oggetti di culto, creati per favorire il rapporto con il sovrannaturale. E’ bene tenere sempre in considerazione questo aspetto per non osservare le sculture africane come mero oggetto di contemplazione.
In tutte le civiltà l’evento della maternità è sacralizzato, spesso divinizzato, fino a diventare la metafora della genesi. Per magnificare questo gesto millenario l’artista africano, utilizzando infinite soluzioni formali, sa sempre sorprenderci, esprimendo sentimenti e sensazioni frutto dell’amore materno. Troviamo figure femminili e bamboline che evocano la donna e madre. Le donne ancora nubili attirano l’attenzione degli scultori che le rappresentano in modo armonioso, sublimando il seno e l’addome, promessa di una gravidanza. Il corpo è valorizzato come ricettacolo di fecondità e rappresentato con scarificazioni che rimandano alle cerimonie di iniziazione. Troviamo sculture di madre con bambino in differenti posizioni, spesso in atteggiamento ieratico e regale. Nelle sculture di maternità il bimbo è spesso scolpito in modo amorfo e schematico a supporto del ruolo della madre che invece è scolpita in modo assai definito e raffinato in quanto generatrice di vita. Abbiamo esempi di madre con bambino in piedi, in ginocchio e seduta. Il bimbo può essere attaccato al seno, adagiato sulle ginocchia oppure portato sulla schiena o sul fianco. Tutte queste opere sono avvolte dal mistero e dalla sacralità di un profondo animismo. L’artista può esprimere tutta la sua immaginazione creativa senza cessare, però, di rispettare i canoni tradizionali dell’etnia di appartenenza, come accade nei grandi capolavori.
Grande impulso alla conoscenza e alla divulgazione delle arti africane venne dalle avanguardie artistiche dei primi anni del ‘900 e soprattutto dagli ambienti artistici parigini. L’inizio dell’interesse per l’ ”art nègre” si fa ufficialmente risalire al 1906, quando Henri Matisse, sollecitato da Derain, si reca nel negozio parigino di Emile Heymann (Le père sauvage) per acquistare una statuetta Kongo/Vili, che mostrerà a Picasso e Gertrude Stein i quali ne resteranno entusiasti. Negli stessi anni Paul Gaugin, Georges Braque, André Lhote, Maurice de Vlaminck e Alberto Magnelli acquistano sculture africane che sono documentate da fotografie dell’epoca nei vari atelier dei singoli artisti. L’interesse per il valore plastico e formale delle opere africane li spinge ad intraprendere un percorso di ricerca che porterà ad alcune tra le più rivoluzionarie correnti artistiche dell’epoca moderna, prima fra tutte il cubismo che vede in Picasso il suo fondatore. L’opera che diede ufficialmente inizio al movimento cubista è ritenuta “Les demoiselles d’Avignon” di Picasso del 1907.
Esiste, tuttavia, anche una controversa ma interessante questione sull’influenza dell’arte europea sull’arte africana tradizionale e, in particolare, sulle sculture di maternità. Due teorie opposte sulle influenze tematiche e stilistiche dell’arte europea su quella Kongo e Yombe sono molto interessanti. Douglas Fraser (1962) ha sostenuto che le maternità “phemba” della Repubblica Democratica del Congo sono un adattamento africano alle figure europee di Madonna con bambino (cosiddetta Madonna d’umiltà) dove la Vergine porge il seno al piccolo Gesu’ tenendo una posizione modesta. Questa tesi è basata sul contesto storico e sulle somiglianze iconografiche. Quindici anni più tardi (1977) Raoul Lehuard contesta la tendenza generale dei ricercatori a vedere delle influenze europee nelle opere d’arte africana e rifiuta completamente la tesi “eurocentrica” che vedrebbe le “phemba” come una copia della Madonna d’umiltà. Va comunque sottolineato che i Kongo ebbero prolungati contatti con gli europei. Non esistono in ogni caso evidenze scientifiche sicure di un’influenza dell’arte europea su quella africana.
Le opere in mostra, provenienti dalla nostra collezione privata, sono prevalentemente lignee e risalgono ad un periodo che va dalla fine dell’800 alla prima metà del ‘900. Appartengono a svariate culture dell’Africa occidentale e centro-equatoriale e compaiono in numerose pubblicazioni di settore.