Manuel Fois – Flexible Distances
Manuel Fois, giovanissimo artista sardo volato a Londra per affinare gli studi e accrescere opportunità, s’infila in questo antichissimo solco per dire la sua, e lo fa straordinariamente bene.
Comunicato stampa
Il rigore e il suono nelle opere di Manuel Fois
la geometria è musica solidificata
Pitagora
Grandi arcate che curvano prismatiche per poche battute, il Liberty è tutto lì, in quelle prime note dell'Arabesque n.1 di Debussy, grandiosa potente sintesi che solo la musica sa dare, e lo fa anche visivamente: una traccia di lapis sul manoscritto, arricchita da flessuose legature d'espressione, accarezza l'udito e produce immagini. L'uomo è restato per secoli a vibrare di languori, ad imbrigliare il pensiero nel tentativo di trovare legami sinestetici, di cuore, di pancia, di testa. Da Aristotele a Newton, da Arcimboldi a Kandinsky: filosofia, scienza, matematica, suono, pittura.
Manuel Fois, giovanissimo artista sardo volato a Londra per affinare gli studi e accrescere opportunità, s'infila in questo antichissimo solco per dire la sua, e lo fa straordinariamente bene.
Il lavoro di ricerca sul rapporto tra arte visiva e suono parte nel 2016 e ancora si dimostra esclusivo e fecondo nella sua poetica.
L'artista cattura il suono dei luoghi per convertirlo in immagini attraverso un processo demandato ad un software per poi riportarlo manualmente su tela.
Possiamo intendere il progetto come un lavoro ascrivibile all'area della cimatica, ossia teoria che studia l'effetto morfogenetico delle onde sonore. Una volta ottenuta l'immagine Manuel seleziona i "momenti" più interessanti, in particolare quelli provvisti di glich ossia casi di difetti sonori imprevedibili, per riportarli su tele preparate, bianche, col solo utilizzo di matite dalle differenti durezze. Il risultato è un lavoro aniconico, asciutto e sintetico, mosso esclusivamente da calibrati chiaroscuri; la mano umana è quasi impercettibile e dimostra una chiara, assoluta volontà di controllo fisico e mentale. Un rigore, appunto, che rimanda a certa pittura analitica, minimal, concreta ma che, in realtà, interpreta molto bene i concetti cardine della New Aesthetic londinese: corrente che indaga il rapporto tra macchina (tecnologia) e uomo invertendo i pilastri teorici marxisti per svelare nuovi impensabili scenari.
Una banda più bianca del bianco si poggia sui margini della tela: il principio del colore e il rumore costante sono simili nello spettro e nella propagazione, questa la tesi, questo il luogo su cui riposare lo sguardo; seguono le pause, i vuoti, i silenzi, che in musica sono comunque suoni; in natura non esistono ma l'orecchio, che non percepisce tutto, tende a scartarli.
Anche la macchina, se vogliamo che sia così, è pronta a non percepire tutto; i segni rarefatti e distillati sulla superficie piana raccontano l'essenziale, il particolare.
Spazio, tempo, suono, si moltiplicano in tele che portano il nome del file. Il tempo della rilevazione e della rivelazione; il tempo della realizzazione e della fruizione; un processo di progressiva dis-umanizzazione che nelle variabili spazio-temporali, in realtà, rivendica e fortifica la soggettività umana. Stelle e legge morale sono sempre al loro posto, per buona pace di Kant, ma ancora fino a quando?
[Efisio Carbone]