Manuela Bedeschi / Tiziano Bellomi – Parole e Numeri
Il MAM (Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano) stavolta propone al pubblico non solo la cinquecentesca dimora patrizia «ritrovata», ma anche un appuntamento straordinario con le opere di Manuela Bedeschi e Tiziano Bellomi.
Comunicato stampa
Il MAM (Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano) stavolta propone al pubblico non solo la cinquecentesca dimora patrizia «ritrovata», ma anche un appuntamento straordinario con le opere di Manuela Bedeschi e Tiziano Bellomi. «Parole e Numeri»: questo il titolo di una mostra tutta particolare perché richiede un’attività immaginativa supplementare. La rassegna prende infatti inizio dal giardino con due opere che anticipano e recitano la poetica del progetto.
Ouverture: una ruvida panchina di cemento armato e un sasso dichiarano numeri, parole e considerazioni. La panchina di cui parliamo non è simile alle altre. La scritta «Pensa», appostavi da Manuela Bedeschi, è come se addentasse le natiche di chi vi si siede, stimolandone la creatività e l’elucubrazione mentale. Qui il viandante non troverà la consolazione di un riposo, né avvertirà la perdita di una rappresentazione che sia prospettica o spaziale. Avvertirà ricche eredità di concettualismi sessantottini: già, nel giardino, compaiono dunque i risultati di decenni di esplorazioni in anfratti espressivi per tanto tempo scandagliati. La staticità dell’oggetto d’uso (comunque accuratamente progettato dall’autrice) insegue una processualità post concettuale. E dopo la curiosità creata dall’oggetto arriva la forza evocatrice della parola. Sulle logge dell’antica dimora svettano, in un muto dialogo, le parole scritte al neon da Manuela Bedeschi: «guarda», «ascolta». Imperativi e mòniti: consigli per un’etica del rispetto del pianeta. Imperativi di un’arte che chiede ai materiali estranei alla tradizione, ai materiali «poveri», di tramutarsi in fonte di ispirato stupore.
Poco più in là una «Pietra numeraria» di Tiziano Bellomi, un sasso delle vicine cave veronesi, offre uno spiazzante concetto di scultura. Sopra la pietra l’artista ha scolpito, con impegno michelangiolesco, un numero in caratteri arabi: «130». L'iscrizione scultorea a bassorilievo occupa uno spazio esiguo se rapportato alla dimensione della massa rocciosa. Siamo davanti a una micro catalogazione: è l’enunciazione del progetto per cui l’intera Villa Ippoliti viene definita come opera d’arte. La pietra numerata è la traccia ideale di una azione concettuale semplice e ponderata, che rimanda a tutti i precedenti tentativi dell’autore di scoprire, ridisegnare il mondo e di appropriarsene.
Varcato l’andito che attraversa Villa Ippoliti, entrati al Mam, siamo al cospetto del miracolo dell’arte.
Installazioni e opere ci portano perciò ad osservare diversamente gli spazi e a guardare dentro, o a guardare oltre. Perché in questa residenza signorile, nella simmetrica sintesi delle sue logge, nella misura ideale che armonizza con l'ambiente circostante, si distende una sequenza di lavori che permette di accedere al mondo degli autori.
Altre pietre, altri numeri rimandano agli innumerevoli interventi di Bellomi, al loro giocare con gli stereotipi della bellezza: è l’opera della de-estetizzazione (ovvero: rigetto della tradizione) e della essenzializzazione formale. Emergono nel percorso le tracce di un interessante e costante lavoro sul proprio e l’altrui vissuto esperienziale. Sulle pareti i «Meridiani» di Bellomi, opere recentissime, rammentano, dietro le bande verticali della pittura, un esplicito e inevitabile riferimento a criteri, procedure e processi.
È il nucleo dell’operazione che offre significato al significante: la bellezza non va cercata solo nelle campiture verticali o in una seduzione che lievita dal colore. Sono certamente opere su tela quelle che osserviamo ma esse si collegano e hanno la loro matrice nelle «Linee di confine», installazioni posizionate in vari luoghi d’Italia. La pittura, infatti, nelle sue componenti di omaggio (a cominciare da Mark Rothko), di ironia, di dissacrazione e di sabotaggio linguistico, porge concetti geografici e lo fa con uno strumento efficace e ad alta temperatura evocativa. Non sono forse espressioni numeriche le coordinate dei meridiani? L’accostamento tra i nomi di città e altri «Meridiani» porta oltre l’iniziale passaggio ipnotico all’interno della pittura. Tiziano Bellomi dichiara così, palesemente, che la concezione dell'opera ha senso non tanto nell’oggetto singolo e isolato ma nel legame che, attraverso i suoi riferimenti, conduce alla progressione seriale, quella che origina dai lavori anteriori dell’autore.
Le luci di Manuela Bedeschi pulsano anche all’interno, quasi a creare l’aurora di un mondo primordiale. «Più rosso» e «Più arancio», due opere del 2011, mostrano, parallelamente all’installazione, lo scintillio vibratile dei riflessi dei neon che si distendono sulle pareti e che dematerializzano le due tele, con effetti di rarefazione e di evanescenza. Le parole di neon, che prima inducevano meditazioni, ora scompaginano, innanzitutto, lo spazio di due tele che, diversamente, sarebbero apparse monocrome. Il neon, in questo caso, diventa un elemento generativo, che cela, rivela e svela, che rimanda all’elemento primario della luce che era ed è cosa buona e che ci separa dalle tenebre. Manuela Bedeschi lavora sullo spazio, lo trasforma, vi interviene con la sua energia creativa sempre più forte, più efficace, più vissuta, più sentita, più concettuale. Forma e contenuto, essenzialità e minimalismo. Luce e oscurità concorrono a creare la magia del colore, la cui natura, delicata e tenue, assume la bellezza di rossi topazi, di preziosi rubini. Gli orientamenti dell’opera dell’artista sono dunque espressione dei riferimenti concettuali legati alla pittura analitica e a quella minimalista, riferimenti che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento lungo lo snodo centrale, per tradizione, dell’artistico e dell’emozione residuale del dipingere.
Poco più in là, i «City names» di Tiziano Bellomi, una installazione di piccole opere, nate sulla base del protagonismo dei luoghi abitati sui media e sulle news, portano oltre il numero sequenziale che, a partire dall’intervento sul muro Berlino, ha messo a punto un teorema di riferimenti con le coordinate di spazi, luoghi e città, fisicamente individuabili secondo ovvie coordinate. Il serialismo di Bellomi si presenta qui in forme diverse. È la dimensione inattesa, quasi onirica, a rendere lo spazio della tela il luogo d’incontro di un linguaggio possibile, che registra le incursioni del mondo nella durata della propria esistenza. Queste immagini di Bellomi costringono lo spettatore ad uno sguardo inquieto, a mettere in discussione certi fondamenti della logica. Una operazione di registrazione allusiva e all-pervading si cala nella concretezza di rapporti cromatici, dove una parola evoca un luogo.
Ma ora è il caso di mettere un punto al discorso: arriva un momento in cui l’entusiasmo crescente delle parole, dettate dalla partecipazione convinta in un progetto, deve cessare. Ogni viaggio ha un punto di partenza e deve avere un termine: il nostro punto d’arrivo, e il nostro obiettivo, era quello di presentare al pubblico due esperienze esemplari della ricerca artistica contemporanea.
MANUELA BEDESCHI
Nata a Vicenza, vive e lavora tra Verona e Bagnolo di Lonigo (Vicenza).
Diploma in Scultura presso l'Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona e secondo Diploma in Pittura, frequenta presso l’Accademia Estiva di Salisburgo un corso di arte concettuale tenuto da Roman Opalka e Gunter Uecker che segna fortemente la sua formazione artistica, oltre a vari corsi di grafica sperimentale presso la Scuola Internazionale di Grafica e il Centro Internazionale della Grafica di Venezia.
Presso Villa Pisani Bonetti a Bagnolo di Lonigo organizza visite didattiche, appuntamenti culturali e mostre di Arte Contemporanea.
È docente presso l’Università dell’Educazione Permanente di Verona con Laboratori di Pittura e Corsi di Storia dell’Arte.
Da lungo tempo opera nel campo della scultura e della pittura, esponendo in mostre nazionali e internazionali prediligendo sempre più nel tempo le installazioni e gli interventi ‘site specific’, sottolineando gli spazi con segni di luce.
Il neon, un tempo aggiunto ad altri materiali, è attualmente il suo mezzo espressivo principale, avendo indirizzato la sua ricerca artistica verso la commistione fra scultura e luce.
Tiziano Bellomi (Verona, 1960)
Vive e lavora a Verona.
Diplomato al Liceo Artistico Statale di Verona, alla Scuola Internazionale di Grafica di Venezia e in Discipline Pittoriche presso l’Accademia di Belle Arti “G. B. Cignaroli” di Verona.
Utilizza pittura, disegno, fotografia, video, incisione, scultura e installazioni per la sua ricerca artistica.
Ha avuto il piacere di partecipare a residenze artistiche, esposizioni personali e collettive in musei e gallerie italiane e internazionali.
Il suo primo ricordo è di un'anatra che lo cercava e lo seguiva nel cortile di casa.
Le persone che lo hanno influenzato di più sono state un sarto che faceva anche il barbiere e aveva sempre delle storie molto interessanti da raccontare e un amico, Paolo.
Prima di dormire pensa a forme simili a macchie colorate di giallo, come un tappeto dai contorni irregolari, che fluttuano e lentamente scompaiono all'orizzonte.
Al mattino di solito sembra un po' arrabbiato.
Non ha l'abitudine di sputare per terra.