Marcia Hafif – Tra consapevolezza linguistica e risultati oggettuali
“Consapevolezza linguistica” e “risultati oggettuali” si riscontrano in tutto il percorso di Hafif e questa mostra, inquadrando un arco temporale che va dal 1974 al 2008, lo dimostra ampiamente.
Comunicato stampa
La galleria Tiziana Di Caro inaugura la prima mostra personale a Napoli di Marcia Hafif (Pomona, USA, 1924 – New York, USA 2018), che si intitola Tra consapevolezza linguistica e risultati oggettuali, venerdì 13 dicembre 2024 dalle ore 11:00 alle ore 19:30
Il titolo è tratto da un articolo scritto da Marisa Volpi Orlandini, pubblicato nel 1974 su Data , in cui si delinea il metodo di Marcia Hafif, basato fin da subito su una pratica pittorica accompagnata da una riflessione scientifica che afferisce in modo particolare all'uso del colore.
Marisa Volpi Orlandini fa il punto su un'attitudine che consiste nell'isolamento di un elemento da un contesto e la sua messa a fuoco in profondità, con una tecnica che arriva a dare a lei (e altri altri) la lucida percezione di un'esperienza. Un'esperienza visiva, ma che a forza di intensità e di perseverante attenzione a tutti i dati della vita, diviene della << coscienza>> .
“Consapevolezza linguistica” e “risultati oggettuali” si riscontrano in tutto il percorso di Hafif e questa mostra, inquadrando un arco temporale che va dal 1974 al 2008, lo dimostra ampiamente.
Marcia Hafif è nata a Pomona, in California nel 1929. Dopo essersi diplomata, si trasferisce in Italia, a Roma, dove vive dal 1961 al 1969. Qui frequenta l'ambiente intellettuale e artistico, realizzando circa 500 opere tra disegni, dipinti, collage e serigrafie. I dipinti di questo periodo vengono da lei stessa definiti come “a figura unica”.
Tornata in America nel 1969 si stabilisce in California. Al tempo il dibattito dell'arte era incentrato sul superamento della pittura, motivo che spinge Hafif a spostarsi a New York, nella speranza di trovare un clima più favorevole alla sua pratica. Ma non fu così. Di fatto lei stessa si rende conto che tutto quello che produce non ha nulla di innovativo, e risulta come già visto, per cui continua a chiedersi “che cos'è la pittura?” e a immaginare un modo per “andare avanti”. Decide di dedicarsi alla più semplice delle espressioni artistiche: prendendo matita e foglio inizia a tracciare linee verticali. La serie di disegni realizzati in questo periodo e con questo procedimento induce Hafif ad approfondire la sua riflessione sullo spazio. Ed è da qui che scaturisce un'intuizione semplice che la porta a indagare la superficie della tela riempiendola con pennellate verticali, esattamente come aveva fatto con i disegni, partendo dall'alto verso il basso e procedendo come nella scrittura, da sinistra verso destra. Questa pratica converge nella pittura monocroma a cui lei ha dedicato tutta la produzione successiva. Ma la pittura monocroma va al di là del semplice esercizio di stile. Essa è il risultato di un complesso sistema dato da pensieri, tecniche, da gestualità che si ripetono come in una meditazione, colori che attraversano le tele generando variazioni nelle singole opere. Infatti, ognuna di esse cambia, perché cambiano l'impasto, le pennellate, i giorni, come anche l'artista stessa e cambiando sempre producono differenze nell'identità di ogni dipinto.
Nel 1974 Marcia Hafif inizia The Inventory, organizzando le sue opere per serie e in ordine di realizzazione. Ognuna delle serie è descritta per caratteristiche e specificità, con l'obiettivo di trasferire quella che è la consapevolezza di ciò che accade nell'atto del dipingere.
I Mass Tone Painting a cui inizia a dedicarsi nella prima metà degli anni Settanta sono realizzati con pigmenti singoli, escludendo di mescolarli tra loro. Ogni pigmento viene macinato con olio di lino per essere poi applicato sulla tela procedendo sempre con lo stesso andamento: dall'alto verso il basso e da sinistra verso destra.
Dalla fascinazione per Pompei derivano i Late Roman Painting, iniziati in realtà già nel 1976 in occasione della mostra “Rooms” al Ps1 di New York. L'idea è di scegliere i pigmenti che sarebbero stati comuni nelle pitture murali di Pompei. Per ottenere l'effetto giusto mescola tali pigmenti col bianco fino a ottenere dei colori pastello che applica su piccole tele.
Nei Fresco Painting avviene un processo di ripartizione della tela in due aree di colori diversi. L'ispirazione è la pittura di Piero della Francesca che guida la scelta di abbinare colori che richiamano le tinte del cielo con quelle della terra. Per cui da un lato c'è il colore indaco più chiaro, dall'altro si alternano i colori della terra, che vengono stesi con un pennello più piccolo facendo emergere la consistenza delle pennellate che si contrappone all'indaco che rimane più omogeneo.
All'inizio degli anni Novanta realizza la serie dei Red Painting, dipinti di piccolo formato in cui utilizza varie tonalità di rosso. Ad essi si affiancheranno i Black Painting, i Pale Painting, come anche i Glaze Painting o gli Shade Painting. Ogni gruppo, e ogni momento corrispondono a una specifica sperimentazione pittorica.
La pratica di Marcia Hafif non si definisce solo con il colore e la pittura, ma anche attraverso i supporti. Alla fine degli anni Ottanta indaga quelli lignei. Realizza quindi opere su tavole di legno che distanza leggermente dal muro rimarcando il senso della pittura nella sua relazione con lo spazio, che viene evidenziata dall'uso di smalti di colori eterogenei.
Macia Hafif ha costantemente ricercato le ragioni e il senso della pittura senza mai dare nulla per scontato. Ha sempre considerato ognuno dei suoi lavori come “esperimenti”, volti “allo scopo di vedere più da vicino”.
Negli anni Sessanta è stata presente in diverse gallerie italiane e poi fatta eccezione per la mostra da Ugo Ferranti a Roma nel 1975 si è verificato un inspiegabile silenzio intorno al suo lavoro.
Vista l'importanza della sua posizione e la relazione che ha avuto con il nostro paese riteniamo sia necessario dedicarle uno spazio partendo, come già spiegato all'inizio di questo testo, da un pensiero di Marisa Volpi che oltre a essere stata amica di Marcia Hafif, frequentandosi per tutto il periodo in cui lei è stata in Italia e oltre, è stata anche colei che ha iniziato molti di noi allo studio scientifico dell'arte contemporanea. Questa mostra quindi è la testimonianza di quanto le relazioni e gli insegnamenti possano avere rilevanza al di là del tempo.