Marco Andrea Magni – Lo Spazio Punto
Mostra personale
Comunicato stampa
J. F.: Direi di fissare la data della mostra per sabato 3 dicembre; mi piacerebbe che l’esposizione si muovesse a metà fra le idee di superficie e spazio, come se si contenessero l’una dentro l’altra.
M.A.M.: La mostra potrebbe essere concepita come un manuale di geografia privo di qualsiasi carta, un atlante cieco, perché indicare dove le cose sono significa già rispondere, in forma implicita e irriflessa, alla preliminare questione della loro natura.
Le opere potrebbero studiare la geografia dello spazio, del corpo, del sentimento, della sacralità. In questo caso Lo Spazio Punto darebbe il titolo alla mostra, essendo uno studio geografico della sensazione: il chiodo che non sostiene più nulla risveglia e indica un’urgenza.
J. F.: Un’ esplorazione dei dispositivi di orientamento. Se, come dici, la scultura non è un’astrazione concettuale ma una pratica incarnata, allora lo spazio (espositivo) si costituisce primariamente attraverso un’esperienza emotiva e plurisensoriale. Le tue opere cercano sempre in qualche modo di sedurre, di possedere un’attrattiva, intellettuale o sensoriale, astratta o materiale, una seduzione, una fascinazione, quasi fossero degli strumenti evoluti di corteggiamento.
M.A.M: Corteggiamento è la parola giusta. Lo spazio punto è una sorta di sineddoche in cui la cornice denota lo spazio espositivo, che viene incorniciato e chiuso da una superficie fredda come quella del vetro. Ma in essa si creano meccanismi seduttivi nei confronti di un corpo esterno che viene attratto e fomentato. Il chiodo punge la freddezza vitrea, cerca di avvicinarsi all’opera, la seduce, ma mantenendo sempre una certa distanza. Eppure lì, nell’infinitamente piccolo del primo approccio, si ha lo sprigionamento di un calore diffuso: la calamita dimentica la freddezza del vetro e attrae a sé il chiodo placcato oro. Ed è lui a subire l’ostacolo del cristallo, il chiodo rimane turgido, vibrante, impaziente di fronte a quel vetro… e quasi per punizione lo punge all’infinito. Quel punto indica la presenza vivente del desiderio, della tentazione, dell’infinito.
J. F.: Il corpo come linguaggio e come strumento percettivo, quindi, riconduce la questione dello spazio alla concretezza dell’incontro con l’oggetto e al contatto in cui lo spazio si configura come geografia relazionale. Per questo motivo la scultura non è nello spazio, ma è essa stessa spazio; questo, d’altra parte, assume le caratteristiche fisiche, corporali, emotive di come si svolgono gli accidenti di questo rapporto. Lo spazio non è dunque solo condizione a priori di percezione, ma anche insieme dei corpi che lo animano e lo distinguono. E non esiste spazio che non porti i segni di questa relazione; i corpi sono marcati da questa spazialità e lo spazio è il corpo su cui agisce l’umana corporeità.
M.A.M: Vorrei una mostra che traduca la storia personale, e universale, di un incontro, alla scoperta di un mondo spirituale a metà tra sacro e profano, ridotto e restituito attraverso un processo cartografico. Il segno, il punto e la griglia generano nuove figure e nuove mappe mentali. Non hanno più un rapporto con la propria funzione originaria, la rappresentazione cartografica non investe più solamente la funzione di talamo della mente con l’universo, ma prende in considerazione innumerevoli facce. Questa pluralità di facce, luoghi e incontri diventa il pretesto per ripensare il nostro presente ripartendo da una geografia dei corpi e delle sensazioni empatiche.
J. F.: Bene, direi che ci siamo. Mi piace l’idea di E. di contattare la Sinagoga per esporvi altre tue opere e annaffiare diversamente il tema dell’incontro, tra l’altro siamo a pochi passi. Ci attiviamo subito!!