Marco Brandizzi / Laura Palmieri – Concettuale animale

Informazioni Evento

Luogo
ANTICA LIBRERIA CASCIANELLI
Largo Febo 15 , Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
28/02/2025

ore 18

Artisti
Laura Palmieri, Marco Brandizzi
Curatori
Fabio Sindici
Generi
arte contemporanea, doppia personale

Guardando le opere di Marco Brandizzi e Laura Palmieri, raccolte e congiunte in questa mostra in una storica libreria antiquaria nel centro di Roma, l’osservazione delle forme gioca di sponda, d’immediato riflesso, con le idee, con gli strati da cui siamo stati formati nei millenni. Sono forme e idee di animali disposte nella foresta di libri, foresta di simboli in senso baudelairiano, labirinto linguistico per vocazione.

Comunicato stampa

Umani, animali: così vicini, così lontani. Secondo genetisti e paleoantropologi l’ultimo antenato comune tra la nostra specie e la scimmia a noi più vicina, lo scimpanzè, sarebbe vissuto tra i 6 e i 10 milioni di anni fa. Oggi Umanità e Animalia, l’universo animale, si ritrovano nello spazio insolito di una libreria antiquaria nel centro di Roma, ibridati non attraverso l’ingegneria genetica ma grazie al linguaggio di due artisti: Marco Brandizzi e Laura Palmieri in una mostra dal titolo, anche questo, singolare: Concettuale Animale. Non è un caso. Gli animali hanno abitato l’immaginario umano fin da quando è nato il pensiero simbolico e con esso il linguaggio. Condividiamo anche, in latino, la radice semantica: animus e animalia, il principio spirituale e intellettuale proprio di uomini e donne, e il mondo degli animali, appunto, tutto ciò che è animato; e vivo.
Dalle pareti dipinte delle caverne alle pinacoteche, la storia dell’arte è folta di animali. Adesso una variegata fauna trova il suo habitat culturale nell’Antica Libreria Cascianelli, crocevia di bibliofili e intellettuali curiosi e scrigno di linguaggio, sia di immagini che di parole. Brandizzi e Palmieri hanno progettato la mostra, curata dal critico e giornalista Fabio Sindici, per gli spazi labirintici e densi della libreria antiquaria, alle spalle di piazza Navona e a pochi metri dall’entrata nello Stadio di Domiziano. Valentina La Rocca, comproprietaria della libreria, artista e scenografa, ha contribuito all’allestimento che va dalle vetrine sulla strada ai locali interni voltati distribuendo e mescolando alle opere dei due artisti romani la ricca collezione di libri di zoologia, architettura antica, filosofia dalle cui pagine gli animali saltano su come revenant, complici e impazienti. Già impazienti. Come gli animali che sono tornati ad abitare le periferie delle nostre città estese. Di recente, un gruppo di scienziati e filosofi ha redatto e firmato The New York Declaration on animal consciousness, una dichiarazione sull’esistenza della coscienza negli animali. Diversi studi stanno provando che il linguaggio verbale non è esclusivo della nostra specie, anche se il linguaggio umano è certamente il più elaborato. Altre ricerche tendono a provare che la formazione della coscienza è legata al movimento e all’esperienza. L’idea, poetica e non scientifica, che sottende la mostra è che il movimento degli animali abbia messo in moto il pensiero simbolico e il linguaggio negli esseri umani.
Concettuale animale (o Animale Concettuale, negli inviti la doppia dicitura sottolinea il gioco linguistico e il rapporto ambivalente tra umani e animali) è una mostra che gioca tra l’istinto apparente e il linguaggio consapevole. Il risultato è un’esposizione-installazione che crea un ecosistema artistico e linguistico. Gli animali qui non sono solo specchio dei nostri pensieri. Complici e compagni, piuttosto. A volte enigmi, inconoscibili. Nei lavori di Marco Brandizzi sculture in legno e vernice rimandano a scritte in cui i nomi di singoli animali sono redatti in lingue antiche e contemporanee. Il toro con la testa che si fonde in un muro; la pecora Dolly divenuta famosa come rappresentante dei primi esperimenti di genetica appaiono come vittime e insieme come monito, ambiguo presagio. Gli animali nelle chine acquerellate di Laura Palmieri, un’arca di rinoceronti e giraffe, bassotti, zebre e coccodrilli paiono cercare nuove forme nelle architetture dell’uomo, palazzi razionalisti e chiese romaniche, o a volerne evadere, bestie amiche e prigioniere dello sguardo umano. La partita di tennis dei porcellini su un campo di creta modellata fa pensare ai tennisti muti del film Blow Up di Michelangelo Antonioni, in cui la traccia dell’incomunicabilità del linguaggio contemporaneo si perdeva in dialoghi e immagini elusive.
Sono elusivi e, allo stesso tempo significanti, gli animali di Palmieri e Brandizzi, spersi nell’Eden della foresta di segni della Cascianelli, e pare chiedano di donare un senso nuovo ai nostri sguardi e ai nostri pensieri.

Marco Brandizzi, romano, dal 1977 al 1980 frequenta i corsi della facoltà di Psicologia all’Università La Sapienza. Nel 1985 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma. I due campi di studio convergono nella sua attività artistica che unisce visione psicologica e sociologica. Una sintesi che appare chiara in opere come: Immagine CNN, Serial killer, Right Mike; oppure, su un versante più filosofico ed esistenziale: Utopia, Meno duecento settanta tre virgola quindici gradi, CNC machine, Tavolo pensiero, Musica rivoluzionaria, Mappe. Nel 1993 partecipa alla sezione “Aperto” della Biennale di Venezia. Il soggetto degli animali è fondamentale fin dall’inizio del suo percorso, testimoniato da opere come Tartaruga Vittorini, Tartaruga Pochi passi, Immagine CNN, Zero. La carica simbolica e concettuale è accentuata in Porphing, Dolly, Ad angolo retto, Peso, in cui l’animale o la struttura geometrica che lo accompagna è, sostanzialmente, un moto mentale.
Svolge ricerca anche in campo formativo, come professore e come direttore dell’Accademia di Belle Arti a L’Aquila. In questo ambito ha promosso la sperimentazione sia nella produzione che nella curatela di eventi come Eremi arte. Nel 2018 viene nominato dal ministro in carica come componente della commissione per la redazione del Codice della legislazione scolastica, universitaria, dell’alta formazione artistica musicale e coreutica e della ricerca. Ha partecipato in qualità di relatore a due edizioni di Arte e scienza organizzato dal G.S.S.I. e dall’A.A.D.FI. le cui riflessioni sono state raccolte nel volume Arte e scienza. Attualmente è direttore dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.

Laura Palmieri, napoletana, si trasferisce a Roma dove frequenta e si diploma in pittura all'Accademia di Belle Arti nel 1990. Nella sua ricerca, fin dagli inizi, l’analisi attenta della percezione della realtà attraverso il segno è unita a un uso molto libero dell’ironia, sia nel trattare temi sociali che le figure di animali, che attraversano spesso il suo cammino d’artista. Nel 1994 partecipa alla XXI Biennale Internazionale d'Arte Grafica di Ljubljana, nel Castello Tivoli, in Slovenia. Nel 2006 crea una serie di opere sulla famiglia: L’unità dell’ipocrisia, esposte allo studio Lipoli&Lopez. Due anni più tardi collabora con la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università degli Studi della Tuscia a Viterbo: il risultato è l’opera Sulle scale, in cui tornano gli animali; la realizzazione è raccontata in un libro dello stesso titolo, edito da Gangemi. Si trasferisce per alcuni anni nel sud della Francia, ad Avignone, dove realizza una serie sui porti esposta in una personale: Departures, alla Galerie Tampopo; A New York partecipa a FLUSH at Fountain art fair. Ha esposto in musei e sedi istituzionali quali il Museo di Storia Naturale di Trieste, il Macro e Villa Massimo, sede dell’Accademia tedesca, a Roma, il Palazzo delle Papesse di Siena e il Museo della Civitella a Chieti. Da diversi anni svolge attività didattica legata all’arte nella periferia romana di Tor Bella Monaca. Tra le ultime mostre la personale alla Fondazione Isabella Scelsi a Roma: Sella, andando venendo e la partecipazione alla collettiva U.N.A. (United Nation of Artists) presso Collage a Todi.

Valentina La Rocca, romana, è pittrice, scenografa, decoratrice, bibliofila. Come pittrice di scena ha lavorato ai fondali dell’Opera Royale a Versailles e ha collaborato agli spettacoli del Cirque du Soleil. Tra le sue collaborazioni cinematografiche ricordiamo Marie Antoinette, regia di Sofia Coppola (2006) e Triple Agent, regia di Eric Rohmer (2004). Dal 2014 è comproprietaria e direttrice artistica, insieme ad Alessandro Lancia e Alfio Mazza, dell’Antica Libreria Cascianelli.

Fabio Sindici, romano, è giornalista, autore televisivo, critico d’arte e curatore. I suoi articoli sono apparsi su giornali e riviste nazionali come La Stampa, L’Espresso, La Repubblica, Il Foglio e su pubblicazioni specialistiche quali Artribune e Terzocchio. Ha scritto numerosi reportage e tiene una rubrica, Totem e tribù, sulla piattaforma online Substack. Si occupa di storie di crocevia, tra cultura e scienza, politica e costume. Alcuni suoi brevi saggi, poesie e lavori di fiction sono stati pubblicati all’interno di cataloghi e libri d’arte. Nel 2018 e nel 2019 ha tenuto come insegnante due masterclass all’Accademia di Belle Arti di Roma.

Sono molte le teorie sulla nascita del pensiero simbolico nella specie umana. La maggior parte di queste lega i primi simboli tracciati dai Sapiens su rocce, selci, pareti di grotte al sorgere del linguaggio. Per alcuni studiosi è stata una scintilla creativa che ha fatto divampare un incendio improvviso, per altri un lento processo, forse maturato in un santuario protetto in Africa, quando i nostri antenati si trovavano in un collo di bottiglia evolutivo, ridotti a poche migliaia di coppie e già organizzati in clan e tribù. In entrambi i casi, l’umanità nasce da questo: dalle prime parole articolate, dai precoci segni, scambio d’informazioni pratiche, ma pure immaginario condiviso; forse già fabula, racconto, testimonianza di sé.
Guardando le opere di Marco Brandizzi e Laura Palmieri, raccolte e congiunte in questa mostra in una storica libreria antiquaria nel centro di Roma, l’osservazione delle forme gioca di sponda, d’immediato riflesso, con le idee, con gli strati da cui siamo stati formati nei millenni. Sono forme e idee di animali disposte nella foresta di libri, foresta di simboli in senso baudelairiano, labirinto linguistico per vocazione. Come aveva intuito il poeta delle Corrispondenze, la natura parlava già ai primi umani per simboli; e cultura e natura divengono una il riflesso dell’altra. Così è bello pensare (ma lo scopriremo mai?) che sia stata la rincorsa di un ghepardo a una gazzella, il dondolare della testa di un elefante, l’avvicinarsi timido di un cane a un bivacco a mettere in moto il processo simbolico che ha portato all’arte, ai grandi romanzi, alle enciclopedie, ai computer.
Dopo i primi segni astratti nella caverna di Blombos, nell’attuale Sudafrica, vicino alle rive dell’oceano, sono gli animali a prendere la scena e “animare” le pareti di roccia, nei dedali e cunicoli di Lascaux, Chauvet, Altamira, Sulawesi. Un bestiario di tale vitalità che a Lascaux farà esclamare Pablo Picasso, davanti alle mandrie di bisonti dipinti, ai cavalli, all’uro primigenio: “Era già stato inventato tutto!”. I nostri antenati utilizzavano le pareti della roccia per dare tridimensionalità e animazione alle figure. Nelle chine acquerellate di Laura Palmieri i suoi animali si posano, tendono a fondersi, a volte, altre sprigionano, da architetture umane. Che siano palazzi razionalisti o il duomo di Orvieto. Alcuni, nel disegno reticolare che li compone, pare che vogliano liberarsi della loro forma, come se fosse imposta dallo sguardo dell’uomo, come fosse un’ombra e poi tornarci docili e ammiccanti, riaccolti nell’essenza di un mistero. Sono sempre stati concettuali gli animali visti e ricreati dall’uomo. Dalle pitture delle caverne e delle rupi ai bestiari medievali, con le allegorie che dicono diversi significati a seconda del periodo. Si ribaltano, a volte: il cane passa da figura diabolica a essenza di lealtà, testarda oltre l’umano. Pensiamo in epoca moderna, all’Annunciazione dipinta da Savinio, con la Madonna dal volto di pellicano, simbolo dell’amore materno, e il volto dell’Angelo colossale come un presagio che riempie la finestra. C’è la fauna selvaggia scolpita sulle colonne di Gobekli Tepe, forse il tempio più antico della storia, nel vicino oriente neolitico, e gli animali sacri d’Egitto, le bestie eleganti raffigurate nel romano mosaico del Nilo a Palestrina e le fiere sognate sui libri d’illustrazione da Rosseau il Doganiere e ancora i tantissimi tori di Picasso, tra cui un toro matador, troppo umano davvero, che ribalta i significati. Oppure, in letteratura, ci ritroviamo, fatti e fottuti, nella parabola della Fattoria degli animali di George Orwell. La storia dell’arte è popolata da animali. Ma non è solo questo. Gli animali sono nella scrittura geroglifica egiziana. E ancora prima, nei pittogrammi di Uruk, probabilmente la più antica forma di scrittura, che fa da incubatrice ai caratteri cuneiformi dei Sumeri. Segno, disegno, pittura e linguaggio per parafrasare Alighiero Boetti. Sono animali assai linguistici quelli pensati da Marco Brandizzi: le sculture in legno e vernice in alcuni casi sono contenute in teche di vetro, accompagnate da simboli. Sono animali linguistici che cercano geometrie strane, unioni con la materia e l’idea, come il rinoceronte la cui testa è ingoiata da un muro, ma che, sostiene l’artista romano, è “tutto testa”, in quanto concettuale; proprio il rinoceronte, che da Durer in poi ha fatto da mattatore nell’arte europea del Rinascimento: riprodotto in migliaia di copie; o il rinoceronte surreal-barocco di Dalì dalla tristezza infinita. Gli animali di Brandizzi rifuggono il surreale, si rifanno all’origine dei primi segni di scrittura. Al linguaggio quando sgorgava fresco nelle città-stato sumere e forse le parole parevano ancora un miracolo e una sorpresa. La ricerca dell’artista romano gioca doppio: sulla metamorfosi della figura e sulla metafora visivo-linguistica. Le coppie di scritte che descrivono animali, disseminate tra scaffali e teche della libreria Cascianelli, spuntano negli antichi idiomi sumero e accadico; o sono assemblate a coppie: russo e ucraino, ebraico e arabo, lingue vicine e stati in guerra, come a cercare se non una pace, almeno una tregua delle parole. Alle coppie lessicali di Brandizzi fa eco un rimbalzo leggero, quello dei maiali modellati in creta da Laura Palmieri su un campo da tennis, in doppio sparso più che misto. Il rumore inudibile rimanda alla partita senza racchette e palline che chiude Blow Up, il film londinese di Michelangelo Antonioni dove immagine e linguaggio tentano un dialogo difficile ed elusivo.
Un negozio di antiquario, dove il protagonista del film si ferma per acquistare l’elica di legno di un vecchio aereo somiglia appunto all’Antica Libreria Cascianelli, luogo di alchimie delle parole e degli oggetti. I lavori di Brandizzi e Palmieri entrano con delicatezza in questo ecosistema di carte e parole, stoffe teatrali e uccelli impagliati, disposti dagli artisti con l’aiuto di Valentina La Rocca, comproprietaria della libreria, artista e scenografa. Richiamano pensieri in movimento le chine leggere di Laura. La macchina piumata di Marco allude da lontano alle Metamorfosi di Ovidio. Gli animali sono tornati nelle città, l’uomo è sospeso tra cibernetica e biologia. Le opere dei due artisti creano tunnel inattesi tra il passato più lontano e i futuri prossimi. I tori di Brandizzi sembrano agognare il muro bianco della scultura come i tori alati dei Babilonesi vivevano chimerici sui muri di piastrelle smaltate. E la Pecora Dolly antesignana delle inquietudini genetiche è ormai fuori dall’ovile. Sarebbe errato dire che sono troppo umani questi animali: forse sono il diverso da noi che spinge a conoscere noi stessi; di certo sono compagni, ammaestrati e ribelli, degli umani pensieri.

Fabio Sindici