Marginalia. Le forme della libertà
Gli artisti sono esseri liberi che devono affrontare anche il pericolo e la difficoltà di non essere compresi.
Quelli presenti in questa esposizione sono personaggi che non si sono adagiati nel già visto. Confrontarci come pubblico con delle personalità così definite e complesse, è la prova che l’arte resta un’esperienza unica e irripetibile.
Comunicato stampa
È una mostra ricca di universi visionari e di personalità eclettiche quella che va in scena dal 20 novembre 2021 al 28 febbraio 2022 al Castello Visconteo di Pavia, dal titolo “Marginalia. Le forme della libertà”.
L’esposizione, curata da Valerio Dehò, presenta oltre trenta lavori – tra tele, grandi opere su carta e installazioni – di tredici artisti contemporanei, italiani e internazionali, che hanno portato nel mondo dell’arte la propria personalità senza compromessi, talvolta scontrandosi con il sistema dell’arte pur di potersi esprimere in totale libertà.
I protagonisti della mostra, organizzata dal Comune di Pavia con il patrocinio della Regione Lombardia, sono Silvia Argiolas, Francesco Bocchini, Claudio Costa, Severine Gambier, Gilberto Giovagnoli, Giuliano Guatta, Yayoi Kusama, MadMeg, Aldo Mondino, Mattia Moreni, Carol Rama, Nicola Troilo e Carlo Zinelli, artisti che hanno operato fuori dal mainstream per affermare la propria espressività con radicalità e che restituiscono l’esperienza di un’arte libera, come libere sono le loro personalità.
Lo stesso percorso espositivo è stato pensato dall’Arch. Rosanna Palomba per rispettare le forti individualità presenti nella rassegna e per accompagnare il visitatore in una comprensione profonda del loro lavoro.
È dunque una marginalità scelta e non subita quella che va in mostra a Pavia: come nel caso di Carol Rama, insofferente a ogni regola e provocatrice per natura, non ha mai rispettato i dettami del mondo dell’arte che ha dovuto invece spesso adattarsi ai suoi. L’artista è presente in mostra con alcune opere che per la diversità di materiali, tecniche e soggetti raccontano per intero la sua poetica forte, diretta e liberatoria.
Altrettanto irriverente l’opera di Mattia Moreni: anch’egli refrattario alle regole e alle scuole, nacque con una malformazione per cui dovette dipingere tutta la vita con la mano sinistra. I suoi Autoritratti – di cui se ne ammira uno in mostra insieme ad altre due opere – sono violenti graffiti che sembrano sottratti a luoghi impropri dell’arte.
Una marginalità che si esprime come netto rifiuto del sistema dell’arte arriva invece da MadMeg (nome derivato dal dipinto “Margherita la Pazza” di Brueghel Il Vecchio) e Severine Gambier, da sempre impegnate nella controcultura e in battaglie sociali legate al femminismo: per loro stare ai margini significa stare distanti dal centro, dove per “centro” s’intende il mercato, con le gallerie, i collezionisti, le case d’aste e gli stessi musei.
Lontana dal voler essere un’esposizione sull'Art Brut – quell’arte cioè che è dichiarata espressione di un disagio psicologico –, la mostra rende però ugualmente conto anche di quel genere di marginalità, sebbene involontaria e non consapevole. Lo fa con Carlo Zinelli, l’esponente italiano più noto dell’Art Brut, che, internato nell’Ospedale di San Giacomo alla Tomba vicino Verona, ne dipingeva ossessivamente le pareti fino alla sua scoperta come “artista” da parte dell’allora giovane psichiatra Vittorino Andreoli.
L’arte fu per Zinelli preziosa mediatrice del suo complesso mondo interiore, come lo è stata per Yayoi Kusama che sin da bambina esprime quello che vede e sente con una creatività poetica da cui nasce un universo fantastico di bolle colorate che galleggiano in grandi spazi colorati. Outsider per indole, diventa una star del mercato dell’arte, con il merito di aver fatto diventare il suo sogno qualcosa di comune a tutti.
Lo stesso è stato per Aldo Mondino di cui in mostra si ammirano i dodici lavori della serie “I King” nati in un momento di particolare disagio alla fine degli anni Sessanta, ma che gli consentirono di ritrovare la propria vocazione per la pittura, dopo un periodo di capolavori legato all’arte concettuale e alle installazioni.
«Bisogna rivalutare la “marginalità” come scelta e come punto privilegiato per osservare la realtà nella sua complessità – prosegue il curatore nel suo testo in catalogo -. Si vuole anche recuperare un senso di fare arte profondo che è sempre ricerca della verità, quella intima e profonda dell’Io che cerca di comunicare con se stesso e con il mondo».
Accompagna la mostra un catalogo edito da NFC Edizioni con testi di Valerio Dehò, Mauro Querci e un contributo di Alessandro Bergonzoni.