Maria Claudia Farina – Mi manca l’aria
Il lavoro di Maria Claudia Farina è spesso costituito da un nocciolo di umorismo che
sovverte, ma non nasconde, l’idea del pericolo costante che le donne non smettono di
correre anche quando fuori dagli esiti più tragici.
Comunicato stampa
SPAZIO PANE – Forno e arte contemporanea
Via Guglielmo Marconi 71,
03030, Campoli Appennino (FR)
VERNISSAGE
09.12.2022 ore 17:00
La mostra si può visitare fino al 08.01.2023
Orari mostra:
dal martedi alla domenica, dalle 7:30 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 20:00, Il sabato fino alle 00:00.
Mostra curata #2
09.12.2022 – 08.01.2023
Maria Claudia Farina
Mi MANCA L’ARIA
A cura di
Michela Becchis
MI MANCA L’ARIA
“In amore, è sempre l’uomo che conserva l’iniziativa; è lui che sceglie.
Tutte, o quasi tutte, le ragazze desiderano sposarsi, ma per farlo devono essere scelte.
Il compito della donna è di piacere, di provocare la scelta […] non d’imporsi”
(J. Burniaux, L’education des filles, 1965)
Il lavoro di Maria Claudia Farina è spesso costituito da un nocciolo di umorismo che
sovverte, ma non nasconde, l’idea del pericolo costante che le donne non smettono di
correre anche quando fuori dagli esiti più tragici. Ma un pericolo scampato, anche quello di
rimanere invischiate dentro stereotipi che non scompaiono, non è il pericolo scampato per
sempre; al contrario esso si ripresenta in mille varianti come pagine di un lunghissimo
feuilletton. Ecco che allora l’artista squaderna i suoi fogli cangianti agendo su due piani
non distopici ma complementari. L’ardesia è rassicurante, è la sua pietra casalinga, come
lei stessa racconta, è il pavimento, è il tetto, è casa, è la silhouette delle sue braccia. È
memoria, sentimento e responsabilità perché ardesia è anche l’istruzione, la condivisione.
Allora questi fogli, perché l’ardesia si apre delicatamente in fogli, diventano anche un
disporre pagine, raccontare e quindi conservare, non certo come operazione neutra, un
universo femminile di parole semplici, elementari, di piccoli proverbi che segnano i nodi
inquietanti e che appaiono ancora perenni della condizione femminile, determinati da una
struttura e da una cultura che le si stringono ancora addosso per indicarle quanto sarebbe
meglio vivere nell’ombra, nello scuro cangiante dell’accettazione del ruolo.
“Taci”, “Taci” dicono quei fogli e lo dicono con quel corsivo da “quaderno di bella” che
costringeva ad avere una e una sola calligrafia, oppure con un aggetto acuminato che
ricorda le unghie sulla lavagna, suono terribile, da brividi. “Taci, anzi parla” intitola il suo
diario Carla Lonzi pubblicandolo nel 1978 e se quel diario era atto estremo di ribellione
all’immaginario patriarcale che aveva permeato secoli d’arte, così estremo da chiedere
alle artiste, alle critiche, alle storiche l’abbandono del campo, era anche la scelta del
mezzo che per secoli le donne hanno usato per aggirare la censura operata nei loro
confronti dalla cultura patriarcale. Alle pagine del diario venivano affidati l’anelito di libertà
e il desiderio di esprimere il bisogno di autonomia e indipendenza. Molti decenni dopo,
Maria Claudia Farina gioca con l’immaginario patriarcale, se ne fa beffa, ma
comprendendo tutte, stavolta dobbiamo esserci tutte, anche le donne che guardano il
mondo da un piccolo oblò azzurro. L’ago ricama “Filo lungo, ragazza pigra” ma l’ironia
lunga di quel filo ci comprende tutte. Ogni stereotipo, anche quello apparentemente più
innocuo, leva aria a tutte. Tuttavia anche ora, in questo preciso momento storico, la
mancanza d’aria nella più pop delle ricerche possibili, quella in rete, se non è una dispnea
patologica è sicuramente data, soprattutto per le donne, dalle pene d’amore, non certo
perché si giace sotto secoli di luoghi comuni.
La sovversione giocosa dell’arte di Farina è un mettere in discussione il confine del lecito,
un’aperta critica alla norma e all’autorità che la designa e così davanti alla censura cerca
per strada il segno che per antonomasia indica il dilagare del maschile e lo mette a
splendere su un oggetto iconico della brava e ospitale padrona di casa, l’abatjour,
trasformandolo in un impasto di tradizione e sberleffo che non concede comfort zone,
impassibile posizione da assumere accomodandosi nei suoi pressi.
Creatura irriverente e che dileggia l’ossequio quella narrata dall’artista anche quando la si
vorrebbe santificare, mettere sotto la tradizionale campana di vetro -là sotto di aria ne
circola poca – soprattutto per lasciarle solo la virtù di dire sempre sì al suo destino, proprio
come le sante perbene. Rifulge nella sua parodia questa piccola santa del commercio
globale, luogo deputato per migliaia di martiri vere, ed invita ad illuminarla con luci
improvvise ed improvvisate perché, come scrive Antonella Ottai «Proprio quando “una
ragione per ridere non c’era affatto” la risata dispiega tutto il suo potere e squassa le pareti
del mondo, mostrando a tutti che non erano altro che quinte».
Michela Becchis
Maria Claudia Farina vive tra La Spezia e Torino. La pietra è il materiale più frequente nei suoi lavori, arenaria, ardesia, marmo. Per un lungo periodo lavora nella Renaria Palatina realizzando numerose opere di dimensioni monumentali. Dal 2003 è docente di tecniche del marmo, prima presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone e dal 2016 presso l’Academia Albertina di Belle Arti di Torino.