Maria Giulia Alemanno – Le inquiete
Ognuna delle “donne di carta” possiede una marcata individualità, uno sguardo che la differenzia. Ciò che le accomuna è la tensione che percorre la mostra perché ogni loro sguardo rivela turbamenti, desideri inespressi, tragedie celate.
Comunicato stampa
S’intitola LE INQUIETE la mostra personale di MARIA GIULIA ALEMANNO che affiancherà il 7, 8, 9 marzo 2014 lo spettacolo teatrale DONNA, COME TI CHIAMI? messo in scena dalla Compagnia TeatroLieve al Teatro Auditorium Viotti di Fontanetto Po, di cui l’artista ha curato la scenografia.
Grazie a Giovanni Mongiano, Maria Giulia Alemanno ha potuto ritrovare l’antico amore per il teatro che già l’aveva portata a collaborare con lo stesso regista alla scenografia del “Sogno di una notte di mezza estate” nel 1995.
Se in “DONNA, COME TI CHIAMI?” l’attrice Marinella
Debernardi, in monologhi tratti da testi di Brecht, Politkovskaja, Szymborska, Wesker affronta le inquietudini di figure complesse e tormentate, Maria Giulia Alemanno ci avvicina ai loro mondi interiori esponendo nel Foyer del Teatro Viotti un corpo di opere nelle quali lo sguardo del femminile e sul femminile è intenso e centrale. Riunisce Dee, Divine e Donne senza l’aura del mito eppure regali nella loro normalità.
Cinque divinità afro cubane, Yemayá, Ochún, Oyá Yansá, Obbá, Iewá, dipinte su grandi tele di sacco prive di telaio, convivono con “Divine” il cui mito è stato esaltato dalle luci del palcoscenico o del cinema muto. Maria Giulia ama chiamarle semplicemente per nome: Francesca, Lyda, Maria, Eleonora, ma è il cognome che le colloca nella Storia. Sono la Bertini, la Borelli, la Melato, la Duse, leggendaria quanto infelice. Ed è la loro interiorità che Alemanno indaga, non il trucco di scena ma l’anima, svelata da pennellate decise che, come bisturi taglienti, incidono nel profondo.
Un omaggio in tecnica mista su tavola a Francesca Woodman, la fotografa americana che in ossessivi ed impietosi autoscatti ha messo a fuoco la propria devastante inquietudine, si accosta a due opere su carta dedicate a Tina Modotti e a Frida Kahlo. “Immense e imprescindibili – spiega l’artista - L’una attraverso la fotografia, l’altra con la pittura, hanno reso tangibili e universali la passione, il dolore, l’ amore, l’impegno sociale e civile”. Ai due ritratti di queste donne straordinarie che tanto hanno rappresentato per la Storia del Messico, Maria Giulia Alemanno affianca quelli di compagne sconosciute ma non per questo meno intense o meno appassionate. Si tratta di volti tracciati su carta con estrema libertà, risolti a china ed acquerello con penna di bambù, uno strumento primitivo che non ammette alcun compiacimento estetico.
“Il mio intento – spiega l’ artista - è quello di cogliere di getto la loro essenza, complessa e lontana dagli stereotipi dolciastri, troppo spesso attribuiti al mondo femminile. “ E a margine dei ritratti, sul grande foglio bianco che li accoglie, aggiunge brevi appunti, spunti per racconti che lei stessa o i visitatori potranno ampliare e arricchire. “Quanti pensieri, Susanna, in questo pomeriggio grigio. Se s’impigliano tra i rovi, scioglili. Falli volare” oppure “Germana così distante, così austera. Ma anche lei, come tutte, in cerca d’infinito”, sono due di queste narrazioni minimali che diventano parte integrante del discorso pittorico, la parola che accompagna il segno, la frase che esalta il colore.
Ognuna delle “donne di carta” possiede una marcata individualità, uno sguardo che la differenzia. Ciò che le accomuna è la tensione che percorre la mostra perché ogni loro sguardo rivela turbamenti, desideri inespressi, tragedie celate. Non a caso alcune di loro, silenziosamente, entrano in scena, Si spostano dal foyer al fondale del teatro su cui, ingigantita, viene proiettata la loro inquietudine. Uno strano connubio, un’intrigante sperimentazione. Una doppia lettura della vita.
MARIA GIULIA ALEMANNO
Note biografiche
Artista, critico d’arte, giornalista, è stata allieva e collaboratrice del maestro Francesco Tabusso.
Oltre che in Italia, le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive negli Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Cuba, Gran Bretagna, India. Vive e lavora a Torino, dov'è nata, e a Crescentino tra le risaie del vercellese. Da lì é partita per molti viaggi fino a giungere a Cuba dove ha avuto inizio la sua ricerca nel mondo della Santería, il culto sincretico radicato nell'isola caraibica, a cui nel 2003 dedica cinque mostre personali in Piemonte.
A Cuba, dov'è considerata la principale artista europea di Santería, espone nel 2004 un corpo di trenta opere nel Convento di San Francisco a L'Avana e nel 2005 al Museo Alejandro de Humboldt il grande ciclo pittorico “Mis Orishas”. E' dello stesso anno la personale alla Thomson House di Montreal. Nel gennaio 2007 il Museo Casa de la Obrapía di L’Avana ospita “Yemayá y sus siete caminos”, dedicata alla Grande Madre, signora dell’acqua di mare. In seguito la mostra approda al Museo Morro Cabaña, all'Istituto Nazionale di Antropologia e alla Galleria Concha Ferrant di Guanabacoa .Nello stesso anno il ciclo “ Mis Orishas” viene esposto nelle sale di Villa Burba a Rho (Milano) ed al Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma.
E’ del 2008 la personale negli spazi de la Unión del los Artistas Cubanos de Matanzas. Nel 2009 espone a Palazzo Primavera a Terni.
Nel Gennaio 2010 con lo scenografo Gino Pellegrini realizza la performance “ENTRE TIERRA Y CIELO, canto pictórico a los Orishas” nella Plaza Vieja di L’Avana e presenta cinque divinità santere nelle sale del Museo Casa de África.Ad aprile dello stesso anno le viene assegnato il Premio Internazionale di Pittura ITALIA ARTE a Villa Gualino, mentre una sua valigia d’ispirazione afro cubana diventa in estate parte centrale della scenografia della trasmissione di Rai 3 “Alle Falde del Kilimangiaro.”
Nel novembre 2011 espone al Museo di Scienze Naturali di Torino sei grandi dipinti santeri nell’ambito della mostra “OMAGGIO ALL’ITALIA DELL’ARTE. Identità e differenze” nell’opera di 8 artisti torinesi”.
E’ del 2013 la personale PICCOLI VIAGGI DI CARTA presso il Centro Studi Cultura e Società di Torino.
biografia completa sul sito:
Maria Giulia Alemanno. Artista senza confini:
www.mariagiulia-alemanno.com
“ Le Inquiete”
testo critico di Massimo Olivetti
Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l'horizon embrassant tout le cercle
II nous verse un jour noir plus triste que les nuits…
Quando come un coperchio il cielo pesa greve
Sull'anima che geme in preda a lunghi affanni,
E stringendo in un unico cerchio l’orizzonte
Fa del dì una tristezza più nera della notte …
Charles Baudelaire. Spleen, “ I fiori del male”
Proprio quando il cielo pesa greve e l’anima è schiacciata sono protagoniste di vita e di morte “Le Inquiete”. I mali dell’anima di donne e uomini non sono gli stessi, o almeno non sono simili le forme ed i caratteri. Più profondi, più oscuri, più incogniti forse quelli delle donne e più radicali, più estreme le fughe e le ribellioni. Come serpenti che mutano pelle si ritrovano a strisciare tra inquietudini senza nome, forse senza cause da scoprire, senza luoghi in cui stare. Escono d’improvviso da vite segnate, da binari lineari, da stanze frequentate e buttano esistenze ed anime in percorsi inconsueti, improbabili, estremi.
Non si possono decifrare questi turbamenti come i terremoti che si registrano solo a sisma avvenuto. Spesso non hanno nemmeno segni premonitori, una fenomenologia che sia materia d’indagine. Si può solo avvertirne la patologia cercando nei volti e negli occhi delle “Inquiete” il luccichio dell’occhio, il tremolio di una palpebra, l’aggrinciarsi del labbro.
Maria Giulia Alemanno ne tratta la materia perché la vive e la condivide. Ne fa parte, è dentro l’esercito delle inquiete, anche la sua anima geme e questo le permette e le fornisce la conoscenza e il diritto di rappresentarla. Ma senza parole, perché non ci sono suoni che possano riempire il vuoto dell’inquietudine. Solamente con matite, pennelli, colori, può cogliere il tremolio della palpebra, il luccichio dell’occhio, l’aggrinciarsi del labbro.
Sono sue sorelle quelle che ha raccolto dai luoghi della memoria, una sfilata di volti come foto segnaletiche di delitti compiuti contro se stessi. E iperboli simboliche sono le divinità afro-cubane che le assistono e le guardano. Yemayá la dea dei gorghi profondi, della calma apparente che si tramuta in tempesta, Ochún travolta e travolgente dalla sensualità che crea e distrugge, Oyá Yansá dalle spade vorticose, Obbá ieratica nell’automutilazione, Yewá dolente nella compagnia dei morti. Una schiera di divinità per accogliere ed onorare il supremo sacrificio dell’inquietudine di Francesca Woodman o le ansie di vite disperate e disperse delle “Divine”. Maria Giulia le ha riportate su carta e tela e le espone non per chiederci di compatire o comprendere, ma come monumento ai caduti di una guerra sotterranea che non ha vincitori ma solo vittime.