Mariangela De Maria / Mario Raciti
Due artisti a confronto, due pittori per due linguaggi differenti, uniti da un comun denominatore: l’amore per l’astrazione e per il colore, steso sulla tela con un ritmo che non risponde a regole codificate, informale e simbolico, ma sempre fuori dagli schemi.
Comunicato stampa
Due artisti a confronto, due pittori per due linguaggi differenti, uniti da un comun denominatore: l’amore per l’astrazione e per il colore, steso sulla tela con un ritmo che non risponde a regole codificate, informale e simbolico, ma sempre fuori dagli schemi. Mariangela De Maria – Mario Raciti sono i protagonisti della bipersonale (organizzata dal Settore Cultura del Comune di Pavia) allestita nello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto di Pavia.
Curata da Marilisa Di Giovanni, la mostra inaugura sabato 5 marzo 2016 (ore 17) e presenta fino al 20 marzo 2016 una ricca selezione di opere che testimoniano il percorso dei coniugi-artisti Mariangela De Maria e Mario Raciti, compagni nell’arte e compagni nella vita.
È con grande piacere che ospitiamo nelle sale dello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto la mostra dedicata a due grandi artisti della scena italiana astratta, legati dall’amore per la pittura informale, ma anche da un sentimento più profondo che li unisce da molto tempo, ora riproposto in mostra. Le tele dai colori intensi e vibranti di Mariangela De Maria dialogano così con le trasparenze e la leggerezza delle opere di Mario Raciti che, legato da un forte amore per la nostra città, è stato anche docente per cinque anni alla Civica Scuola di Pittura di Pavia, dichiara Giacomo Galazzo, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia.
Mariangela De Maria e Mario Raciti si conoscono a Milano negli anni sessanta, in un clima di forte fermento culturale, le gallerie sono luoghi in cui incontrarsi e confrontarsi e l’ambiente artistico è decisamente coinvolgente.
Mariangela De Maria frequenta l’Accademia di Brera e lavora nel campo della grafica: segno, disegno e incisione diventano i linguaggi a lei più congeniali. Crea composizioni di volumi pieni, costruite con pochissimi accenni di colore perlopiù grigio metallico, quasi funzionale ad una destinazione pratica e con un dosato uso del chiaroscuro. Poi incontra Mario Raciti, e per amore sceglie di abbandonare la carriera artistica e di concentrarsi sull’insegnamento.
Riprende a dipingere negli anni novanta usando i mezzi che erano in quel momento più rispondenti al suo bisogno di esprimersi e al suo fare espressivo, e con l’incisività del disegno e delle chine realizza raccolte di poesie e disegni di paesaggi, in particolare della zona della Valle d’Aosta, terra a lei cara. Il silenzio della montagna diventa luce e colore e, scrive Marilisa di Giovanni nel testo di presentazione alla mostra: Quell’aria rarefatta si traduce in luce e trasparenze in cui i sensi percepiscono il gelo che è intorno, ma che è anche un blocco dentro, interiore, simbolico. Il paesaggio diviene sentire intimo, il colore espressione di questa nuova consapevolezza, di questa nuova scoperta. Visitando lo studio di Mariangela si rimane presi dall’esplosione del colore, dalla gioia della raggiunta libertà espressiva; lavora con una intensità che è un bisogno personale di “costruire”: la pittura è infinite vibrazioni che sulla tela e con la stessa ricchezza sulle carte si sovrappongono, si intrecciano con luminosità leggere evanescenti per passaggi, ricche della stessa poeticità delle sue opere liriche e di musicali evocazioni, ora sono drammatici toni di rossi fondi in cui affiorano antiche memorie pompeiane, con un trascolorare da un mosso sfrangiato nero fondo che va a perdersi in uno spazio che si costruisce con pennellate meditate, mai casuali perché tutto vada a comporsi in una sequenza che apre su uno spazio che è “dentro e oltre”, che è pennellata stesa con grande naturalezza, sicura, passando da zone d’ombra ad una luminosità diffusa.
Mario Raciti procede per serie e cicli, ispirati a immaginarie e favolistiche figure, e a volte la tela è popolata da segni, segmenti, fantasiosi “spiritelli” come li definisce lo stesso artista, che hanno suggerito ad alcuni critici l’accostamento a Licini e a Mirò, in un clima di astrattismo lirico, libero, fantastico. La vera protagonista delle sue opere è la luce, che diventa memoria, mito, conscio, inconscio e si rivela nella sua trama di elementi diversi, di combinazioni sempre nuove, con elementi di base minimali, come un tocco di rosso che un filo sottile collega ad un grumo di nero-ombra.
I segni sulla tela, almeno nei primi lavori, sono radi, sottili, sfumati in colori tenui, a volte raccolti e condensati in grumi scuri quasi rappresi in un angolo o alla base di quello spazio chiaro, lattiginoso che da sempre è la cifra stilistica di Raciti. Nei primi anni della sua attività il fondo riprende le tinte tenui azzurre gialle e grigie perlacee, e il pennello si muove con grande libertà, ma sempre una libertà tenuta sotto controllo dalla luce e dal colore. Poi il segno si fa più lieve, contenuto, con piccole virgole e tocchi, mai casuali.
La cultura classica e il racconto dei miti costituisce la base della sua ricerca pittorica nella quale si introduce, nel corso degli anni, la tecnica del pastello secco, che gli permette effetti di trasparenze, luci che emergono dal fondo e una stesura più veloce, con cui creare movimenti di largo respiro. Per Raciti, scrive la curatrice in catalogo: È sempre un ricercare cosa c’è “oltre” il mistero interiore, profondo, e appare significativo il suo lavorare in cicli: è un ricercatore che non lascia una traccia appena scoperta, che lavora su questa, che si isola, che ha bisogno di silenzio. Le opere in mostra rivelano una nuova espressività in cui tutti i segni dei cicli precedenti sembrano aggregarsi in queste visioni volatili in uno spazio, sempre chiaro, animato e palpitante di vita, che le avvolge. Ciò che possiamo cogliere è sempre parziale, frammentario: quei corpi che ci appaiono testimonianza di fuggevoli incontri o anche solo di fortuiti contatti si delineano con un effetto di colore e di movimento, ma immediatamente scompaiono inghiottiti da quello spazio incolore, vuoto, ma ricco di significati che in esso sono nascosti. Ritornano i colori azzurro liquido, giallo ocra, verde acqua e sfumature di turchese con un senso di leggerezza, di trasparenza contrapposti ad una forma scura che costituisce un contrappeso ma con la quale dobbiamo fare i conti.
Biografie
Mario Raciti nasce a Milano nel 1934 e qui vive e lavora. Musica, pittura e poesia costituiscono i suoi interessi da sempre. Dopo il liceo classico si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, esercita per soli due anni la professione che abbandona per dedicarsi alla pittura. Il teatro alla Scala e le gallerie d’arte sono i luoghi frequentati, a cominciare dai primi anni sessanta, gli anni dell’informale e degli astrattisti americani.
Raciti insegna per cinque anni presso la Civica Scuola di Pittura di Pavia e nel 1964 tiene la prima personale a Venezia. Ottiene una sala personale alla XLII Biennale di Venezia, nel 1986 e nel 1988 una mostra al PAC di Milano, un’antologica a Palazzo Magnani di Reggio Emilia, un’antologica al museo Diocesano di Milano e ha in programmazione per il prossimo futuro un’antologica al Mart di Rovereto.
Sue opere sono presenti in Istituzioni e Musei.
Mariangela De Maria nasce a Milano, frequenta il Liceo Artistico di Brera e l’Accademia diplomandosi in scenografia. Vincitrice di un concorso per l’educazione artistica, insegna per molti anni impegnandosi in sperimentazioni con i giovani allievi e allarga l’insegnamento alla musica e al teatro. Riprende dopo molti anni l’attività artistica negli anni ‘90.
Catalogo in mostra: realizzato in collaborazione con la Galleria Scoglio di Quarto, Milano; testo critico a cura di Marilisa Di Giovanni; progetto grafico e impaginazione a cura di Andrea Vaccari.