Mariano Silletti – 404.01 / Postille su Demikhov
Per il primo appuntamento del programma di 404 in Porta Coeli Foundation, a Venosa, Potenza, abbiamo deciso di lavorare a una mostra antologica su Mariano Silletti.
Comunicato stampa
Per il primo appuntamento del programma di 404 in Porta Coeli Foundation, a Venosa, Potenza, abbiamo deciso di lavorare a una mostra antologica su Mariano Silletti: meno di un decennio nell’ambito della fotografia trascorso sempre con atti misurati, parsimoniosi, ma potenti e di bruciante maturità. Un percorso che ha già ricevuto troppi riconoscimenti internazionali senza che si sia trovato un momento di sintesi in cui riflettere complessivamente sulle mitologie messe in scena da Silletti nei luoghi e con gli abitanti di quelle narrazioni. Ci è sembrato urgente far accadere l’inevitabile, come da qui in poi 404 si proporrà di fare regolarmente: l’incontro tra la fatica di un lavoro di controversa immaginificazione sulla materia di un territorio, e le persone che da quel territorio avvertono di essere possedute. Anche e a maggior ragione in un momento di inedita complessità per la vita culturale del mondo.
In mostra due lavori compiuti e interrogativi, apparentemente dissimili nelle forme ma profondamente connessi nella strategia poetica: Serra Maggiore (Montescaglioso, 2017 — 2018) e Ludovicu (Montescaglioso, 2013 — 2014).
Postille su Demikhov: questa mostra si chiama così. Negli anni della costruzione di Serra Maggiore il chirurgo sovietico Vladimir Petrovič Demikhov decide di maneggiare il mito sul tavolo operatorio. Pioniere del trapianto di organi, rievoca l’impresa che in letteratura fu di Frankenstein e prima ancora di Prometeo, creando una sorta di Cerbero a due teste con l’impianto funzionale della testa di un cane sul corpo vivo di un altro individuo della stessa specie. Strategia ed efficienza; tecnica e progresso; poi dislocazione e ricollocazione. Infine un imprevisto senso di pervasiva estraneità. Di abbandono del familiare. Le indagini su una scomparsa e la Riforma agraria sono due processi tecnici, analitici, efficienti, come efficiente è un trapianto d’organi. Entrambi gli eventi – o sarebbe meglio dire tutti e tre – conducono inaspettatamente a un’eloquente e preziosa perturbazione delle nostre sensibilità.
La mostra, un Cerbero a due teste costretto al ruolo crudele di un’arte che non opera su materia inerte, che non è pacificazione dei sensi, che non è un tavolo per la discussione di compromessi, è un tributo a ciò che inaspettatamente resta di umano lungo la strada di un inevitabile progredire.