Marie-Charles Dulac -Pregare con il paesaggio
Una ‘prima’ italiana, nella galleria Aleandri Arte Moderna la mostra del simbolista francese Marie-Charles Dulac, a cura di Federico De Melis.
Comunicato stampa
Una ‘prima’ italiana, nella galleria Aleandri Arte Moderna (Roma, piazza Costaguti, 12), la mostra del simbolista francese Marie-Charles Dulac, a cura di Federico De Melis. Eppure l’Italia fu per Dulac il Paese d’elezione. Convertitosi in seguito a un avvelenamento da biacca, fattosi terziario francescano, vi venne a più riprese in pellegrinaggio, sulle tracce del santo serafico, appoggiandosi spesso nei conventi, cui lasciava il suo ‘grazie’ in dipinti: questo, fra il 1895 e il 1898, anno in cui morì, a Montmartre, ad appena 32 anni. Lasciava un corpus ridotto di opere, in cui spiccano – sintetici, di cromie ricercate, ora fiammeggianti, ora velate – i piccoli paesaggi mistici dell’ultimo periodo, e – capolavori grafici del tardo Ottocento francese – due suites litografiche, più una incompiuta.
In particolare Le Cantique des Créatures – che presentiamo in questa occasione – colpì vivamente, nel 1896, alla galleria parigina Le Barc de Boutteville, l’attenzione dei contemporanei, fra i quali, soprattutto, Joris-Karl Huysmans: l’esoterico, satanico autore di À rebours, convertitosi nel 1892, scrisse un’apologia del portfolio francescano nel romanzo La Cathédrale (1898) e finì per fare di Marie-Charles Dulac una specie di santo, un modello di ascesi cattolica cui attenersi nel nuovo corso della sua esistenza.
Raggi che spiovono dall’alto incendiando gli esili profili della sfera terrestre e dei cirri vaganti; cieli lattei bucati da un pallido sole; specchi d’acqua evanescenti al chiaro di luna; cieli in tempesta, ardenti, graffiati da strie luminose… Dulac utilizza nel modo più libero e sperimentale una tecnica, la litografia, che conobbe, nella fin-de-siècle, un momento tra i più fortunati. E lo fa ‘a colori’, con selezioni preziose e personalissime – violaceo, rosa, verde mela… –, vòlte alla più sottile tonalizzazione.
Oltre alle litografie del Cantico delle Creature, la mostra presenta una piccola tavola di Dulac, Vue d’un village aux toits rouges, realizzata prima della Chiamata, quando egli ancora utilizzava per la firma il solo nome Charles (Marie lo aggiungerà in seguito, come omaggio alla Vergine).
Dalle fonti, in particolare le Lettres (pubblicate, postume, nel 1905), sappiamo che Dulac, pur attirato dalla solitudine, ebbe una ricca vita di relazione, in particolare negli ambienti del cattolicesimo modernista e del simbolismo parigini. Dopo una formazione variegata, che comprende anche un passaggio nell’atelier di Henri Gervex (in mostra un grande pastello), due furono per lui le figure di riferimento ideale: Pierre Puvis de Chavannes ed Eugène Carrière, artisti che richiamiamo, rispettivamente, con un disegno e una tela. Nell’allestimento altri cinque nomi sono convocati a suggerire, senza nessi stringenti, il quadro d’epoca in cui si mosse Dulac: Émile Bernard, Jean-Charles Cazin, Henri-Edmond Cross, Maurice Denis, Henri Fantin-Latour.
La mostra – Marie-Charles Dulac. Pregare con il paesaggio – è integrata da un catalogo in cui, oltre al saggio di presentazione di Federico De Melis, ce n’è uno, a firma Simone Aleandri, sulla storia della tecnica litografica in relazione allo specialissimo uso che ne fece Dulac. Inoltre, la schedatura dettagliata di ognuna delle planches del Cantique des Créatures, e un’antologia comprendente, in traduzione, l’ispirato necrologio di Huysmans e una scelta delle Lettere di Dulac, meditative e insieme descrittive, spedite specialmente dall’Italia.