Mario Martinelli – Incontro con l’ombra
Nell’ambito delle iniziative per Art White Night, la “notte bianca” di Arte Fiera, tutti potranno in qualche modo interagire con l’ombra di Lucio Dalla grazie all’installazione interattiva “Incontro con l’ombra”, la performance che Mario Martinelli realizzerà proprio in Piazza dei Celestini.
Comunicato stampa
La poetica dell’ombra
Il mito narra che, prima dell’alba, la fanciulla di Corinto, con la lanterna in una mano e un carboncino nell’altra, riprendeva sul muro di casa l’ombra dell’amato in partenza per la guerra. Il padre Butade, vasaio di Sicione, ne avrebbe ricavato una stele da porre nel tempio.
In quell’ombra il mito pone la nascita dell’arte occidentale; così che le città si popolano presto di magnifiche statue, in cui il cittadino si riconosce con fierezza.
Mario Martinelli lavora alla emancipazione e alla materializzazione dell’ombra. Con una sua “magica lanterna”, stacca l’ombra dal corpo della persona e gliela presenta come un altro se stesso. Poi la riveste di una maglia di rete metallica che la mantiene visibile per sempre, e la applica ai muri della città per marcarla di umano. Due operazioni, che risalgono a quelle mitiche della fanciulla di Corinto e di suo padre Butade:
• Emancipazione dell’ombra
L’installazione Incontro con l’ombra è fatta essenzialmente di uno schermo e di uno spot che, azionato inavvertitamente dal passante, gli soffia l’ombra sul telo, che la trattiene a lungo staccata dai movimenti del corpo.
La scoperta della propria ombra “emancipata” colpisce come un’esperienza visiva nuova, dove l’ombra appare come un “doppio” e suscita interrogativi ed emozioni. Lo spazio dell’installazione si trasforma fatalmente in un teatro in cui si improvvisano giochi di ruolo con la propria ombra; i giovani spesso organizzano azioni di gruppo, applaudite e fotografate dagli astanti; i giorni seguenti compaiono sui blog immagini e riflessioni.
La città offre, così, uno spazio per un incontro con se stessi e la possibilità di “lasciare immagine”, senza la quale oggi “non sei nessuno”. Ma concede anche l’esperienza del venir meno, dell’allontanamento di quanto era perduto ed è stato scoperto, dell’incombere, infine, dell’assenza.
L’installazione che dà nuova immagine alla cosa più sfuggente dell’uomo – la sua ombra – fermata in un attimo qualunque ma irripetibile dell’esistenza, la fa poi svanire lentamente, sotto gli occhi dello spettatore (prefigurazione della scomparsa del corpo consunto dalla sua stessa “svaporazione”).
La scoperta dell’immagine inattesa di sé e il suo lento venir meno sono l’oggetto dell’oper-azione Incontro con l’ombra e la fonte della sua forza emozionale.
• La materializzazione dell’ombra
Mario Martinelli riproduce l’antica stele che il vasaio Butade ricavò con la sua creta dalla forma dell’ombra fermata sulla soglia di casa dal labile segno della figlia.
Quando lo schermo dell’installazione è, in particolare, fatto di maglia metallica, può essere ritagliato lungo il profilo stesso dell’ombra che vi è rimasta impressa. Si produce così una figura in rete, un’opera in cui, come nel bicchiere di Laozi, ciò che conta è quello che non c’è: il vuoto. Tra le maglie della rete ora abita l’ombra che le ha dato la forma.
L’ombra-in-rete è una sorta di moderna stele grafica o di graffito plastico, scrigno dell’ombra; la quale non c’è più, essendo nel frattempo “svaporata”. Anche qui, come nella storia di Butade e di sua figlia, l’assenza viene ritenuta la condizione o l’occasione dell’atto figurativo, la ragione del ritratto, dove l’immagine è ciò che trattiene l’assente (qui l’ombra del passante, come allora di colui che è partito per la guerra). Susan Sontag la chiamerebbe “una pseudo presenza e l’indicazione di un’assenza”.
L’ombra-in-rete, immagine sintetica, trasparente e silenziosa, fatta quasi solo di vuoto, è figura dallo statuto ambiguo che, da vicino, appare ancora come un oggetto e, da lontano, come un’ombra immateriale carica di forza di…assenza.
Fatta di vuoto più che di pieno, la rete è una materia-metafora del mondo. Nel suo linguaggio si cela una insospettabile possibilità di senso.
In un’epoca di troppo pieno e di troppo rumore, la riduzione del linguaggio al vuoto, al silenzio vuole cogliere la reliquia di un attimo irripetibile della evaporazione del corpo e fare un monumento antimonumentale al nulla – l’ombra – di quella realtà sempre più svalutata e precaria, eppure stupefacente, che è l’uomo.
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Il valore dell’assenza
Il filo conduttore nell’oper-azione di Mario Martinelli è l’attenzione alla perdita, a ciò che viene meno; dare valore a quello che non c’è, all’assenza. Come? Attraverso:
- l’emancipazione dell’ombra, che fa scoprire l’altro sé, spesso trascurato a causa del frenetico correre di ogni giorno e dell’appiattimento alla propria funzione nella società.
L’installazione opera uno scivolamento dall’opera all’azione: il tempo della scoperta dell’altro e della sua lenta scomparsa. La perdita valorizza l’importanza di ciò che è nascosto – l’ombra – e di ciò che viene meno: il corpo, sé stesso.
- l’ombra-in-rete, costruita su ciò che sta venendo meno (l’ombra) è una scatola vuota che evidenzia la sua assenza: l’assenza dell’uomo che è, oggi, così in pericolo, come individuo che si perde e come specie capace di autodistruzione.
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Suggestioni sull’ombra
di Mario Martinelli
Ora che l’arte è merce preziosa, racchiusa nei musei di città sempre più indifferenti all’uomo, a volte al cittadino può succedere, sfiorando un muro, di scorgere la propria ombra, pur senza prestarvi attenzione. Eppure Giorgio De Chirico sostiene che nell’ombra di un uomo che cammina al sole ci sono più enigmi che in tutte le religioni del mondo. E la sua pittura metafisica svuota le piazze dalle persone e le riempie d’ombre. Negli stessi anni La storia meravigliosa di Peter Schlemihl di Adalbert von Chamisso racconta che all’ombra nessuno dà valore: l’ombra non ha corpo, non serve. Ma che vale l’anima. Una passeggiata notturna in città può dare l’esperienza gratificante della propria ombra gigantesca, proiettata dai fari di un’auto sui palazzi adiacenti: monumento effimero ad un attimo qualunque della nostra esistenza.
Del resto, per Guy Debord “tutte le città sono geologiche e non si possono fare quattro passi senza incontrare dei fantasmi armati di tutto il prestigio delle loro leggende”.
L’ombra è un’immagine, una rappresentazione dell’oggetto che fa ombra, ma può anche fare le veci dell’oggetto che la proietta e diventarne un duplicato. Come scrive Roberto Casati, nella nostra testa l’ombra partecipa insieme del dipartimento degli oggetti e di quello della psiche e diventa immagine dell’anima. Segno della sua complessità, l’ombra dice il mistero stesso dell’uomo.
Così Carl Gustav Jung sostiene che ognuno è seguito da un’ombra, che quanto più è ignorata tanto più si fa densa e scura.
Rainer Maria Rilke lamenta il venir meno del corpo per via di una “svaporazione” continua che lo consuma. Il corpo evapora, emanando da sé un’ombra che resta annidata nei pori della materia, da cui può sempre emergere come comunicazione di assenza, come sa bene chi si imbatte, per esempio, nell’oggetto della consuetudine di una persona amata e lontana, che questo fortemente evoca.
“Forse è la mia forma d’ombra / che secerno”, scrive Andrea Zanzotto.
L’ombra, l’ombra di se stesso trascinato in mezzo agli altri, solo e anonimo, in un perpetuo affrettarsi dove il quotidiano fugge velocemente, appare sempre più la condizione dell’uomo di oggi. (Mario Martinelli)