Mario Togliani – 1912-1978
“Mario Togliani. 1912-1978” – questo il titolo della mostra a cura di Gianfranco Ferlisi, nuovo direttore del Museo, e Renzo Margonari, storico direttore e trentennale protagonista del MAM – è il racconto per immagini di chi ha attraversato la complessità dei linguaggi del dopoguerra con molteplici espressioni figurative, ma sempre all’insegna di una autonomia di ordine creativo.
Comunicato stampa
Poche volte capita di poter comprendere appieno il legame fra un padre e un figlio, quando entrambi hanno dedicato la propria vita all’arte.
Mario Togliani e il figlio Victor hanno nella loro diverse espressioni visive il rarissimo dono di spingere chi guarda ad andare oltre, e cogliere quell’aspetto visionario che, in modo diverso, sono stati capaci di trasformare in immagini.
In “Funzioni non verbali” (Gilgamesh Edizioni, 2012), autobiografia non convenzionale in cui racconta il proprio percorso, Victor Togliani racconta il grande intreccio intellettuale e umano che ha sempre unito lui e suo padre Mario: «… divideva il suo studio con me, che iniziavo a disegnare in modo quasi serio, e passavamo le notti insieme a parlare come vecchi amici mentre lavoravamo».
Ed è proprio da questo legaccio ineluttabile che forse bisogna partire per riscoprire la straordinaria forza di Mario Togliani, al quale il MAM Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano rende omaggio con una retrospettiva in cinquanta opere, quarantotto dipinti a olio e due sculture, volta a realizzare un’approfondita ed inedita ricognizione su uno dei protagonisti della pittura del ‘900 italiano. Anche se poso conosciuto.
“Mario Togliani. 1912-1978” – questo il titolo della mostra a cura di Gianfranco Ferlisi, nuovo direttore del Museo, e Renzo Margonari, storico direttore e trentennale protagonista del MAM - è il racconto per immagini di chi ha attraversato la complessità dei linguaggi del dopoguerra con molteplici espressioni figurative, ma sempre all’insegna di una autonomia di ordine creativo.
Nato a Mantova il 20 luglio 1912, Mario Togliani cresce con i nonni a Marmirolo in un ambiente di marmisti e decoratori, per poi giovanissimo attraversare diverse città italiane. Alla fine degli anni ’40 arriva a Milano, e precisamente a Brera in via Fiori Oscuri, dove entra inevitabilmente a contatto con il milieu artistico e letterario della città, partendo dal mitico Bar Giamaica, il cui nome fu proprio da lui ideato, quello che sino ad allora era un’osteria rifugio di intellettuali, giornalisti, scrittori e artisti.
Ma sono gli anni ’50 che incidono decisamente sul percorso di Mario Togliani. Espone alla Biennale di Venezia e in alcune delle principali gallerie di tutta Europa, senza tuttavia mai volersi legare a nessun gallerista. Milano lo ha insignito dell’Ambrogino d’oro, l’Archivio storico Luce si occuperà di lui nel 1962 nella rubrica “Nel mondo dell’Arte”, e di lui scriveranno alcuni fra i principali critici d’arte dell’epoca, tra i quali De Grada, Balestrieri, Mastrolonardo, Rasi, Millet, Radice, Zorzi, Borghese, Villani, Mezzanotte, Vargas, Kaisserlian, Ballo, Borgiotti, Hagebeuk, Lepore, Xavier, Mignard, Munari, Patani, Pigna, Portalupi, Rossi, Sauvage, Somarè, Verdet.
Nella Milano dei gruppi e dei manifesti lanciati in continuazione, MAC, Spazialismo, Nuclearismo, in contrasto con l’imperante Neorealismo dei molti, Mario Togliani mantenne una propria esemplare indipendenza, magari cogliendo alcuni aspetti di quanto si andava dibattendo, però con distacco e mediando sui fronti opposti, come dimostra l’assiduità nel partecipare al Premio Suzzara, enclave neorealista, e produrre, contemporaneamente, le sognate visioni dei suoi borghi acquatici fino sulla soglia dell’astrazione.
«Il pittore delle dive», così è stato definito Togliani per la produzione di una ritrattistica di successo, che certamente non era neorealista, dipinse infatti i proverbiali quadri con le mondine schierate nella risaia o delle ricamatrici chine al puntiglioso lavoro, ma intanto produceva i poderosi cloisonné astratti delle Cattedrali.
Personaggio geniale e trasgressivo, nel 1963 convinse l’amico costruttore edile Felice Valadè di creare al piano terra di un vasto complesso residenziale a Sesto San Giovanni appena terminato, il “Quartiere delle botteghe” destinato ad artisti che avrebbero ripagato il canone d’affitto con opere d’arte, facendolo diventare nel contempo un grande collezionista contemporaneo.
E sempre nel 1963 espone prima a Parigi e poi a Montecarlo i suoi “Eroi viventi”, ovvero i ritratti dei sette personaggi che l’artista considerava i più significativi di quell’epoca storica. I quadri, oli su tela 70x80 tutti presenti in mostra, ritraggono Pablo Picasso, Charlie Chaplin, Albert Schweizer, Jean Paul Sartre, Igor Stravinskij, Bertrand Russell, Winston Churchill.
Scrive ancora il figlio Victor: «C’è qualcosa di sorprendente in questi ritratti: quando li guardi tutti insieme ti manca il respiro; ti rendi conto di essere di fronte a un’opera unica e totalmente nuova. I visi, che sono perfettamente somiglianti, sono scomposti in piani di luce e di colore completamente separati, cubisti. Però si percepisce la forma nella struttura che con incredibile armonia lega gli arditi e raffinati accostamenti cromatici»
E’ sicuramente sorprendente e trasgressivo il tratto deciso di Mario Togliani, che nella sua scomposizione della figura in piani tonali armonici e misteriosi, la mantiene intatta invece di distruggerla.
E la luce diventa protagonista.
In opere come “L’uomo dei colori”, “Modella alla stufa”, “Ricamatrici”, “Frange di luce”, così come i molti paesaggi che richiamano il legame con la sua città natale, ad esempio “Il Rio di Mantova”, i giochi di luminosità e bagliore in alternanza con le diffrazioni cromatiche diventano l’asse su cui ruota l’intero impianto narrativo, tanto che non è facile capire quale sia il momento del giorno in cui è ambientata la scena perché vi si trovano contemporaneamente tutte le situazioni di luce possibili. Magico!