Marta Ciołkowska – Let’s take it offline
L’esposizione a cura di Aurelia Nicolosi, ruota attorno al concetto di comunicazione e all’utilizzo smodato dei social media che deformano e trasformano le menti e gli atteggiamenti delle persone.
Comunicato stampa
S’inaugura sabato 30 aprile alle ore 17.00 presso la galleria KōArt/Unconventional Place Let's take it offline, la personale di una giovanissima artista di origine polacca, Marta Ciołkowska, che segna una nuova tappa nella volontà di ricerca e valorizzazione dell'arte contemporanea in un territorio curioso e sempre aperto a nuove sfide come quello catanese. L'esposizione a cura di Aurelia Nicolosi, ruota attorno al concetto di comunicazione e all'utilizzo smodato dei social media che deformano e trasformano le menti e gli atteggiamenti delle persone.
«In un mondo ‘social’ – sostiene Aurelia Nicolisi nel testo in catalogo - dove apparentemente la connessione e la comunicazione sembrano gli aspetti dominanti, nasce l’ossimoro, il paradosso dell’isolamento, della solitudine, della mancanza di libertà e di autodeterminazione. Tutto sembra divertente, ma, in realtà, tutto si trasforma in una condizione di schiavitù e di dipendenza mentale e fisica, da cui non si può prescindere. Il presente si distorce e la quotidianità si proietta in una dimensione fittizia dove la psiche rischia di essere completamente soggiogata, atterrita, annientata, in un processo inconsapevole, dove l’identità viene piano piano travolta e disintegrata. La mostra, pertanto, diventa una presa di posizione, un’esortazione a spegnere, ad evadere da un mondo fittizio, che è causa molte volte di profondi malesseri e turbamenti. Ormai l’uomo è circondato, è immerso negli algoritmi, ma ciò non significa che debba costruire la sua vita in funzione di essi. Pertanto, let’s take it offline!, la ribellione al Grande Fratello è ora, perché, come direbbe George Orwell, «in tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario».
Facebook diventa il 'cubo' al piede che blocca ogni movimento e volontà di emancipazione; il telefonino assume l'identità di una protesi, di un prolungamento naturale di una mano; la sfera trasparente diventa quella barriera invisibile che circonda chi s'immerge col suo cellulare nell'interazione virtuale quotidiana, e cosi via... Ogni istallazione offre uno spunto di riflessione sui molteplici aspetti di una società dove le barriere non sono solo più fisiche ma anche mentali e digitali. Il visitatore è, pertanto, chiamato ad interagire con le opere e a riflettere sulle varie pericolose implicazioni dell'Era del WEB.
«Marta Ciołkowska (Łódź, 1993) si può inserire – come scrive all’interno del catalogo dedicato alla mostra la curatrice Maria Chiara Wang, autrice di un altro testo critico sui lavori dell’artista - a pieno titolo nella folta schiera dei nativi digitali, ovvero in quella generazione - così come definita nel 2001 dallo scrittore e studioso statunitense Mark Prensky - che è nata e cresciuta contestualmente alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche. […] Dal 2017 Marta Ciołkowska attraverso la serie di opere: Social Toilet, Social Prison, Future, Social Time e Social Trap analizza l’homo digitalis - per dirla con il filosofo coreano Byung-Chul Han - e i suoi disordini. Così in Social Toilet affronta la questione della privacy e denuncia come, nella società di oggi, ci sia una erosione del privato a favore di una esibizione pornografica dell’intimità. […] Il video Social Prison, così come l’omonima scultura, traducono in metafora visiva la schiavitù imposta dal frastuono comunicativo prodotto dalla rete. […] Con Future si visualizzano il legame e la dipendenza morbosa e ossessiva degli individui dai dispositivi elettronici. […] Social Time si concentra, invece, sulla dimensione temporale del nostro rapporto con la tecnologia. […] Infine, Social Trap getta una luce sull’isolamento indotto dalla costante connessione alla rete. […]».
Video e installazioni caratterizzano l'esposizione in una sorta di percorso catartico, dove gli intrecci dei cavetti, rappresentano la ragnatela da cui è necessario svincolarsi per raggiungere la propria libertà. In un gioco di rimandi l'artista stimola il visitatore con costanti provocazioni, che suscitano in un primo momento ilarità per lasciare poi spazio alla presa di coscienza e alla volontà di spegnere tutto per costruire una identità migliore.