Massimo Angeloni – Convivenze parallele
Mostra personale
Comunicato stampa
Il punto di origine della riflessione proposta con il presente percorso espositivo è tratto dai più pregnanti significati dell’espressione fotografica e, allo stesso tempo, è nascosto fra uno dei più reconditi aspetti della nostra coscienza, quello che ci conduce, in vari frangenti della nostra vita, ad un’impietosa analisi della realtà. Nasce così il progetto di una fotografia che non si limita a sollecitare le emozioni con la sola trasposizione della realtà rappresentata, ma avvolge e incita lo sguardo ad andare oltre, fino alla riflessione concettuale di quella realtà analizzata, sfociando in una forma di puro pensiero.
La simbiosi e l’amalgama tra immagine e pensiero sono determinati da qualcosa che emotivamente non sempre è completamente controllabile; questo fa sì che venga annientata quella barriera temporale fra idea di immagine e la sua riproduzione, tanto da non essere più spontaneamente comprensibile se sia prima il pensiero o la fotografia a doversi realizzare. Nella fotografia concettuale, l’immagine, in quanto tale, deve darsi valore esplicito, non effimero, per dare evidenza alle emozioni nascoste che le hanno dato origine. Se riesce in questo, la fotografia è ancora più vera della realtà visiva rappresentata, perché si avvicina all’essere di noi stessi; oltre che per il rapporto con il mondo che ci ospita, è per le emozioni che proviamo che ci sentiamo veri, permeati cioè di quell’afflato di purezza che chiamiamo dignità della vita.
Immediata o riflettuta, la fotografia presentata non vuole mai cadere in contraddizione, si manifesta nell’unione di due diverse forme che convivono nella stessa realtà che rappresentano, che sono ricerca incessante di cogliere la stessa manifesta realtà attraverso le correlazioni dirette con la sfera umana, con quelle emozioni e con quei sentimenti che portano alla ricerca delle risposte universali sulla presenza dell’uomo, per aprirsi sulle profondità senza confini della vita.
Per tutto ciò, un elemento ricorrente è l’immagine nell’immagine, a confermare l’esistenza di quell’insicurezza del presente che ci portiamo dentro, dove il senso è ritrovarsi ad inseguire anche l’istante già fermato, a fissarlo in un altro istante ripetuto, come se averlo tradotto-traslato dalla propria realtà una volta non sia sufficiente a possederlo come quando lo abbiamo vissuto, in un incedere di tentativi senza tempo per catturare qualcosa che riemerge dal labirinto delle nostre emozioni.
La fotografia può e deve aiutare a rendere chiaro il senso delle cose, perché è nel senso delle cose che troviamo la nostra essenza. La fotografia concettuale deve stimolare e poi sviluppare il processo emozionale, riuscendo a dare sentimento ad un concetto e parallelamente a concettualizzare un sentimento, facendoli convivere senza ambiguità. Una parte è creata attraverso l’uso indistinto dei sensi, un’altra, in modo più o meno inconscio, è frutto del ragionamento logico; c’è sempre un punto dove queste due componenti si incrociano. Io non credo che ci possa essere fotografia vera senza questa collisione.
La ricerca presentata è quindi il tentativo, in un apparente paradosso, di far avvertire e penetrare ciò che non è visibile nell’immagine, far percepire quello che si trova oltre quella materialità rappresentata, la totale assenza di durevolezza del presente e l’effimero che lo alimenta, con l’ineluttabile caducità e dissolvimento della materia di cui noi stessi siamo composti.
La fotografia si trova ad essere viatico ineludibile per rivolgere all’interno di ognuno di noi uno sguardo libero e non consolatorio, a volte smarrito, perché diventi conoscenza, come quella realtà visiva di cui essa si serve e ne carpisce gli spazi. Le immagini vogliono essere perciò una superficie che viene infranta dalle deduzioni dell’io che, come per una sorta di autoprotezione, si fondono nel visibile, una dimensione a loro molto spesso preclusa.
Il compito della fotografia è perciò recuperare la realtà dal punto di vista concettuale e psicologico per condurla su di un piano ideale, in cui possa fondersi e riproporsi in un’unica dimensione col pensiero.
Se le fotografie possono veramente definirsi i vestiboli di vetro della nostalgia, allora oggi, adesso, ma anche domani, sarà ancora fotografia.
Forse.
MMassimo Angeloni
“Quello che si fotografa non sono immagini ma è una riproduzione di noi stessi. La creatività non illustra, non imita, ma interpreta, diventando la ricerca della verità ideale.
La fotografia non deve riprodurre ma interpretare, rendendo visibile l’invisibile.”
Franco Fontana