Massimo Biagi – Camera creativa
Il linguaggio formale figuratista sviluppa in termini poetici una concezione critica della figurazione.
Comunicato stampa
“Il Figuratismo non è realismo / è la smorfia senza il gatto /… / è ciò che
accade / quando la maschera si fa realtà / quando tutto è rivelato / e il
vuoto e l’ombra / reclamano l’identità / Il Figuratismo è / l’ultimo volitivo
ironico gesto della volontà /… / .”1
L’artista è un ribelle, rifiuta ogni ordine prestabilito, esprime l’esigenza di
costituire un proprio personale ordine, in cui riconoscersi, e quando è il momento si ribella pure a questo, per evitare ogni mistificazione, anche del proprio “Io”. Ha ragione Oscar Wilde quando con una folgorante battuta annota, che nel mondo vi sono due tragedie quella di non ottenere ciò che si desidera e quella, anche peggiore, di ottenerla!
Biagi, nel corso della sua vita, ha sempre cercato di mantenersi intellettualmente libero e onesto; ha deliberatamente contrastato il “Sistema
Chiuso Dell’Arte”, basato su assurde leggi di mercato, e il provincialismo di certi operatori culturali che difendono solo il loro potere all’interno della comunità, emarginando chi manifesta autonomia di pensiero, risultando
scomodo. Nella trilogia di “MIRADARIO”, egli è una creatura fantastica, è il “soggetto”
che si fa “oggetto” a se stesso, sdoppiandosi in un discorso autoreferenziale, per ricomporre, annullandola, la frattura “Io – Mondo”; “Osservatore – Osservato”. “MIRADARIO” è una persona disgregata, che perde pezzi, li
ritrova, instaura un dialogo con parti di sé. È senza stabile identità, cambia spesso maschera, gioca con i ruoli e le funzioni. È un soggetto super-elastico che gioca a dislocare, estendere, ridurre, le sue membra nello spazio-tempo.
È la caricatura trascendentale dell’uomo di oggi e forse dell’uomo di sempre.
Per quanto riguarda la scrittura, Biagi si esprime in una forma di prosa poetica, musicale, anche se non è caratterizzata da costruzioni ritmiche costanti né dalla rima. Biagi gioca con i suoni e le scansioni ritmiche, realizzando articolazioni bizzarre, che sconfinano talvolta in veri scioglilingua, giochi di parole, tiritere infantili, ecc.., ha creato un linguaggio flessibile, capace di rendere pubbliche le oscillazioni della sua sfera emotiva, della sua fantasia, del suo pensiero, in breve del flusso vario della sua coscienza.
Il linguaggio formale figuratista sviluppa in termini poetici una concezione critica della figurazione. Già l’opera “Miradario è il suo ritratto”, indica formalmente e nel titolo l’annullamento della frattura tra “realtà” e
“rappresentazione”. È infatti semplicistico concepire il controllo della “verità” o “falsità” di una “raffigurazione” col suo confronto con la “realtà”. Tale sdoppiamento è infatti illusorio e il confronto contraddittorio.
L’opera “In-formazione” mostra un essere che sta per nascere, è Miradario racchiuso in un uovo, che come Amleto può sentirsi re dello spazio infinito, anche confinato nel guscio della grandezza di una noce. Vi sono qui dei chiari riferimenti al terzo libro della trilogia su Miradario, ancora in fase di scrittura. Lo stesso vale per “Paternità” e “Figura con uovo”.
L’opera “Die Mauer – Il Muro” è un omaggio multiplo: alla Galleria che ospita la mostra; ai galleristi, che sono diventati amici dell’artista; al teatro dell’assurdo di Beckett, con cui Biagi ha avuto uno scambio epistolare.
Le figure umane, come maschere o burattini, sono collocate in uno spazio geometrico appena accennato, deformato non in senso prospettico. I soggetti sono impegnati in un paradossale gioco con il “Su” e il “Giù”, categorie svuotate di senso in uno spazio indefinito privo di coordinate stabili ed effetti gravitazionali.
Nella “Figura gialla” trovo espliciti riferimenti alle icone del Cristo, ma svuotate del loro significato religioso: nel gesto benedicente dell’indice e medio alzati, a indicare la natura duale del personaggio, che nel caso di
Miradario-Biagi è frutto di un intricato rapporto mentale e fisico, anziché divino e umano; nella testa, con la curiosa stilizzazione dell’encefalo, la cui forma ricorda quella di una “aureola”; nell’esplicito contrasto tra la figura del Cristo che la tradizione vuole con lo sguardo rivolto allo spettatore, frontale, e
la figura gialla che è mostrata invece di spalle, non per una mera provocazione ma perché non vi è alcun punto di osservazione in se stesso privilegiato. Il Figuratismo è lo sdoppiamento creato ad hoc, la doppiezza vista anche dalla
parte dell’artefice della simulazione, il trucco visto anche dalla parte del prestigiatore, mostrando ironicamente che ogni disillusione non coincide mai con le presunte, filosofiche, verità o realtà assolute. La “Figura figuratista crocifissa” riprende uno dei temi più cari all’artista, quello della crocifissione. Come già detto Biagi usa spesso riferirsi esplicitamente all’iconografia cristiana svuotata dei significati religiosi. L’opera, al di là della sua eleganza formale, può sembrare di tono blasfemo. In realtà ad essere crocifisso qui è Miradario e con lui Biagi e l’artista che da
sempre proclama e difende la sua libertà, rispetto a tutto e a tutti. Particolarmente efficaci risultano qui i particolari della mano inchiodata; del volto teso in un ghigno di acuta sofferenza psicologica, con la punta del naso
immerso in una sorta di piatto, tenero come la carne; la morbida sensualità del ventre gravido, come in una maternità, e della curva della schiena e dei glutei, realizzati con un sensibile effetto a stiacciato; la guizzante vivacità del gioco delle gambe. Sicuramente questa è una delle opere più complesse ed enigmatiche del gruppo qui esposto. Dal punto di vista tecnico queste opere
sono tutte realizzate ad estroflessione. Una tecnica messa a punto negli ultimi anni, con ottimi risultati formali ed espressivi, come dimostra la grande opera di Biagi, intitolata “Protesta”, realizzata a Pistoia, nel Nuovo Circolo Le Fornaci, degli architetti Massimiliano Vannucci e Carlo Baselli.
L’unicum costituito per ora dalla “Poltrona del Collezionista”2 mostra tutte le potenzialità della tecnica ad estroflessione per la realizzazione di opere a tutto tondo.
In un’opera ad estroflessione l’immagine è costruita dallo spettatore collegando o sciogliendo tra loro, con l’attenzione e la memoria, i bordi emergenti e quelli affondati, articolandoli sempre con un margine di incertezza e di arbitrio. La presenza o assenza di un soggetto diventa così un fatto probabilistico. Nello stesso tempo però Biagi non mostra di prediligere in alcun modo né lo schema deterministico, della certezza, del realismo classico, né quello indeterministico, dell’incertezza, della fisica quantistica e delle
teorie del Caos (probabilismo). Di fatto Biagi non ha alcun vero interesse per la rappresentazione di tipo realistico, che finisce sempre per essere aneddotica, narrativa, in senso
cronachistico o romanzesco, fantastico. Il “corpo” è mostrato attraverso una sorta di principio ossimorico di “presenza-assenza”, bene espresso nei versi del poeta Attilio Bertolucci: “Assenza, / più acuta presenza. /…”3.
Nell’“invisibile” sta il senso del tragico, così come nella tragedia classica i fatti cruenti non si danno mai direttamente allo spettatore, ma solo con le loro conseguenze. Eppure il discorso di Biagi è giocato sempre sul filo tagliente dell’ironia, e non bisogna prendere mai niente in modo univoco e assoluto. Nell’“invisibile” si ha anche l’espressione di tutto il possibile, di ciò che ancora non è ma potrebbe essere.
Stefano Gambini