Massimo Campigli e gli Etruschi – Una pagana felicità
Le circa 35 opere di Campigli selezionate per la mostra si affiancano a una cinquantina di reperti della civiltà etrusca, molti dei quali inediti ed esposti qui per la prima volta.
Comunicato stampa
«[...] Nei miei quadri entrò una pagana felicità tanto nello spirito dei
soggetti che nello spirito del lavoro che si fece più libero e lirico». É con
queste parole che lo stesso Massimo Campigli descrive la visita al
Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928, attribuendole una
valenza fondamentale per lo sviluppo della fase più matura della sua
produzione artistica. Ed è a partire da queste parole che prende forma
la mostra presso ACP - Palazzo Franchetti a Venezia che vuole proporsi
come un vero dialogo tra le opere del maestro e gli esempi del passato
da cui ha tratto così forte ispirazione. Le circa 35 opere di Campigli
selezionate per la mostra si affiancano a una cinquantina di reperti della
civiltà etrusca, molti dei quali inediti ed esposti qui per la prima volta,
individuati dalla Soprintendente Margherita Eichberg assieme agli
studiosi del Comitato Scientifico Leonardo Bochicchio, Simona Carosi,
Daniele Federico Maras, Rossella Zaccagnini. L'esposizione ha potuto
inoltre contare sul prezioso apporto scientifico della storica dell'arte
Martina Corgnati, curatrice della mostra.
E' un dialogo profondo quello che si instaura nelle sale del piano nobile
di ACP – Palazzo Franchetti. Le composizioni volutamente arcaicizzanti
di Campigli, ben rappresentate in mostra con dipinti che spaziano dal
1928 al 1966, ritrovano le origini della loro ispirazione più profonda nei
reperti etruschi esposti con cui si instaura una naturale condivisione di
atmosfere, segni e colori. A partire dalla famosa visita al Museo Etrusco
di Villa Giulia a Roma nel 1928 si assiste infatti a una sorta di ritorno a
una purezza primordiale nell'arte di Campigli, a un sapore antico fatto di
colori tenui come dipinti ad affresco così simili a come il tempo ci ha
restituito le immagini etrusche, di forme plasmate secondo il disegno di
statue votive o di anfore, di figure femminili con busti a clessidra che si
astraggono in immagini atemporali.
La ricchezza tipologica dei reperti in mostra – dai vasi alle statuine, dai
gioielli ai sarcofagi, ecc. - permette di rintracciare un alfabeto e un
universo di legami che, a partire da generali evocazioni, si declinano in
riferimenti puntuali nelle diverse sezioni della mostra: la prima dedicata
alla figura umana, divisa in gli uomini e le donne; la seconda agli
animali, composta da uccelli, cavalli, animali selvatici ed infine la terza
con forme e geometrie.
Molti dei reperti sono assolutamente inediti e provengono da importanti
operazioni di recupero di materiale archeologico, anche da rinomati
musei internazionali, e ora nella disponibilità della Soprintendenza
Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma,
la Provincia di Viterbo e l'Etruria Meridionale. Una nota meritano
sicuramente due preziosi sarcofagi in terracotta del Museo Civico di
Viterbo.
Attraverso il richiamo di queste formule espressive appartenenti a una
gloriosa civiltà passata, l'arte di Campigli rivela una profonda originalità
proprio nella coesistenza tra antichi splendori e attualità, immergendo il
visitatore in una dimensione dove il tempo sembra fermarsi o scorrere
tranquillo in una quiete imperturbabile.
Ci mostra un Novecento contemporaneo alle età più antiche del
Mediterraneo scrivendo così una pagina molto interessante di quello
che l'archeologo Massimo Pallottino ha definito come “romanzo
etrusco”, un mito che dal Rinascimento in poi continua ad esercitare
una forte fascinazione di generazione in generazione.