Massimo Pastore – E’ quel sono che ci rende uguali
La contemporaneità di diversi protagonisti e delle loro umanità attraverso le performance solipstiche di Pastore nelle opere fotografiche “Bianco Cold Landscapes”, ci riportano ad un parallelismo assurdo a casuale, con probabili punti di incontro che solcano la stessa traccia dell’assurdo e del volutamente reale.
Comunicato stampa
La contemporaneità di diversi protagonisti e delle loro umanità attraverso le performance solipstiche di Pastore nelle opere fotografiche “Bianco Cold Landscapes”, ci riportano ad un parallelismo assurdo a casuale, con probabili punti di incontro che solcano la stessa traccia dell’assurdo e del volutamente reale. Un pendolarismo temporale ci conduce a personaggi che vivono o non vivono più, che non avrebbero mai potuto essere contemporaneamente in quel luogo. Sebbene nelle storie esposte ci siano indubbie relazioni tra i personaggi esse scompaiono trasformando il reale in una serie di monadi e di punti di vista. I soggetti sono lo spazio stesso . con la soppressione del tempo oggettivo e traghettando i personaggi all’interno della psiche il reale si espone in maniera allucinata e bianca dove l’unico ordine è quello analogico del bianco e delle vesti (o di un’unica veste uguale per molti). Il continuo sdoppiamento del soggetto è evidentemente non spiegabile oppure si delinea come onirica ossessione o ancora come analisi psicologica. Probabile sia dissociazione di un’anima. Si espone Pastore al pubblico prestando il suo corpo a quei personaggi che non sono più ma che hanno fatto parte della sua storia familiare, gioca quindi con il paradosso temporale sincronia/diacronia. Quel che è già accaduto lentamente si liquefa nel bianco, oppure quello che è ancora da venire nel bianco si compone. Il bianco diventa elemento di autosospensione, di azzeramento volontario e fittizio della coscienza affinchè sia l’occhio a comprendere quanto ci sia di cinereo e quanto di niveo. E credendo a quel che si vede sembrerà di sentire le parole di Plinio il giovane: - Agli occhi ancor tremanti tutto si mostrava cambiato e coperto da un monte di cenere, come se fosse nevicato.
Il Trittico – è quel sono che ci rende uguali
Il progetto artistico per immagini fotografiche Bianco, cold landscapes, sembra avere compiutamente definito il suo assetto compositivo con un’opera che l’autore ha realizzato ispirato dallo specifico siciliano.
Il trittico, dal titolo ‘è quel sono che ci rende uguali’, pensato come pala d’altare suddiviso in tre ‘tavole’ fotografiche, e posto alla parete di fondo della navata unica dell’ ex convento Montevergini sede della Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Siracusa, è l’opera che vede il prezioso equilibrio di un lungo ciclo creativo che Massimo Pastore ha negli anni composto in luoghi distanti e diversi, in una poetica ricerca dei luoghi fisici e di quelli della memoria, in avvicendamenti e sovrapposizioni emotive che si sono stratificate in corso d’opera consegnandoci una texture di lirica compostezza.
Lo scenario dell’opera è l’Etna innevato e, nella pala centrale, un atto performativo profondamente simbolico è stato eseguito sull’altro vulcano, il Vesuvio, sottolineando così fortemente il legame tra queste terre.
Nel suo insieme, il trittico, rappresenta il passaggio di resurrezione. L’artista esce di scena definitivamente, liberandosi di quella sindone che è stata manifestazione tangibile dell’altrimenti invisibile, lasciandola al vento che la condurrà lontano, mentre nelle pale laterali i due personaggi incontreranno il loro destino.
Pastore propone così un intreccio dialogante tra luoghi fisici, eterni simboli della potenza della natura e del mito e, con sussurrato fascino, il confronto per contrasto con l’opera del Caravaggio, Il seppellimento di Santa Lucia esposta nell’attigua chiesa di Santa Lucia alla Badia. Pastore rappresenta la resurrezione con il lucore della liberazione, il Caravaggio la morte, la sepoltura. Uno è esterno, chiaro, luminoso e diurno l’altro invece sotterraneo, cupo, drammatico. E le due figure preminenti dell’una e dell’altra opera sono speculari e segni dell’ imperitura lotta tra morte e vita.