Matija Čop / SunJing – Kinder than Solitude

Informazioni Evento

Luogo
ANDREA FESTA FINE ART
Lungotevere degli Altoviti, 1, 00186 , Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
04/04/2024
Artisti
Sun-Young Jin, Matija Čop
Curatori
Domenico de Chirico
Generi
arte contemporanea, doppia personale

Mostra, Kinder than Solitude, con lavori di Matija Čop (1987, Vinkovci, Croazia) e SunJing (1986, Wuhan, Cina), a cura di Domenico de Chirico.

Comunicato stampa

La galleria Andrea Festa Fine Art è lieta di annunciare la mostra bipersonale "Kinder than Solitude",
con lavori di Matija Čop (nato a Vinkovci, Croazia nel 1987, vive e lavora a Londra, Regno Unito) e
SunJing (nata nel 1986 a Wuhan, Cina, vive e lavora a Pechino, Cina), a cura di Domenico de
Chirico.
"Kinder than Solitude" si propone come un gentile elogio della solitudine, condizione ormai
inevitabile di ogni uomo all'interno di questo nostro macrocosmo, pregno, al contempo, di
impetuosi eppur instabili sentimenti, effimere illusioni, mutrie e livori. Alternandosi tra le statuarie,
algide e penetranti sculture di Matija Čop, stalattitiche e stalagmitiche, fortemente caratterizzate da
forme ardimentose e bizzarre eppur evocative di tradizioni millenarie, e tra i vanesi protagonisti,
dalle posture indolenti e leziose, che si esibiscono solipsisticamente per mezzo del generoso
affresco regalatoci da SunJing, "Kinder than Solitude" riesce a scavare nei sentimenti, negli scontri
emotivi e nelle relazioni umane all'interno dell'attuale contesto sociale e culturale dove tutte queste
dinamiche, arzigogolate eppur necessarie, vengono nascoste, dimenticate o addirittura cancellate.
Estetismo estremo, raffinatezza formale, ossessione per il colore - talvolta celebrato talaltra celato
- composizioni maniacali e giochi sapienti di luci e ombre fanno sembrare questa mostra come un
dietro le quinte del più sublime dei set cinematografici del regista hongkonghese Wong Kar-Wai.
Ed è così che, destreggiandosi tra alienazione, malinconia e lussuria, "Kinder than Solitude" si
prodiga per scandagliare, goccia dopo goccia, questo stato d'animo che la contraddistingue, tanto
caro ai poeti, nel tempo dei tempi. Nel tentativo di stabilire un confine netto tra la natura
estremamente immaginifica delle due pratiche artistiche, qui messe a confronto, e gli aspetti reali
di cui la mostra è permeata, veniamo ben presto catapultati in un mondo nuovo, ivi la quotidianità
dei fatti si accompagna a eventi quasi kafkiani, eccezionalmente inglobati all'interno di un processo
temporale - caratterizzato da un flusso perpetuo di concatenazione degli eventi stessi - lento e,
solo esteriormente, imperturbabile. In definitiva, considerandone l'aspetto costruttivo, questa
solitudine ci offre la possibilità di detonare forme altre di comunicazione, via via sempre più
sorprendenti, finanche per poter ripensare a noi stessi.
Ed è così che, prendendo le distanze da quell'idea avvilente di isolamento - dedita esclusivamente
al culto dell'impenitente irrazionalità - e nel tentativo di avvalorare la carica connaturata di questo
impulso, proficua e dinamogena, ci rendiamo ben presto conto che tale energia viscerale può
trovare inusitati canali espressivi di sbocco, considerando che, per dirla con il poeta romantico
tedesco Novalis: “la vita non deve essere un romanzo impostoci, bensì un romanzo fatto da noi”. E
allora, da un lato, vi è la pratica artistica di Matija Čop, il quale esplora il potenziale trasformativo
tipico del processo di “traduzione” di idee, strutture e materiali. Il suo linguaggio visivo,
innegabilmente monolitico, si costituisce di elementi unitari selezionati che vengono iterativamente
combinati, riconfigurati e dissolti secondo logiche auto-inventate. Nel tentativo di creare identità
sempre nuove e stupefacenti, i suoi lavori invitano a riflettere sulle perseveranti tensioni tra ordine
e disordine, produzione eccessiva e artigianato, unità e sistema. Appellandosi alla locuzione latina
enunciata da Giovenale, ovvero mens sana in corpore sano, Matija Čop continua ad aver fiducia
nelle predisposizioni, unicamente umane, di cambiamento e di adattamento, laddove queste, una
volta azionate, vengono indirizzate unicamente verso il miglioramento; dall'altro, SunJing che, con
le sue creazioni pittoriche, si ritrova spesso ad essere perseguitata dalla paura dell'impermanenza,
dal terrore della mortalità e della perdita e, finanche, dalla lotta per accettare le proprie imperfezioni
e debolezze. Credendo fortemente nel potere dell'auto-redenzione, cerca di immortalare momenti
ed emozioni fugaci nel tentativo unico di riconciliazione con il suo io interiore. Parte dei suoi lavori
si basano sulla sua esperienza personale, mentre altri si basano sulla sua immaginazione stimolata
da esperienze altrui. Partendo dai dipinti tradizionali orientali come quelli celebrativi delle dame di
corte cinesi e dalle stampe artistiche giapponesi, quelle tipiche del genere cosiddetto ukiyo-e,
passando per la letteratura, il cinema e la musica, oltre che per la vita reale, SunJing ricostruisce
sovente tutto nella sua mente – ma solo dopo aver reimpostato tutte quelle scene che la toccano
particolarmente - presentandolo concretamente ma non realisticamente. Così facendo, il tempo e
lo spazio delle immagini sono fittizi e infondono sottili emozioni destinate a permanere.
Consapevole del fatto che c'è ancora molto da esplorare, non si limita ai paradigmi tradizionali,
cercando, così, di salvaguardare uno stile legato alla questione dell'equilibrio personale, spesso
sabotato dalle umane contraddizioni. In definitiva, il suo lavoro, mirando a rappresentare il sé di una
persona che vaga nella tensione del nulla e nell'incertezza dell'esistenza, cattura tutte quelle scene
in cui le emozioni sono nascoste e fugaci, in un processo creativo che corrisponde parimenti al
battito di quello solerte della caducità della vita. Del resto, come fraseggia il poeta greco
Konstantinos Kavafis nel suo “Note di poetica e di morale”: «gli uomini solitari vedono cose che noi
non vediamo: hanno visioni dal mondo soprannaturale.
Essi affinano l'anima attraverso l'isolamento, il pensiero e la continenza. Noi la rendiamo ottusa con
i contatti, la mancanza di riflessione, i piaceri. Per questo essi vedono quel che noi non possiamo
vedere. Chi è solo in una stanza silenziosa, ode chiaramente il battere dell'orologio. Se entrano
però altri e il movimento e la conversazione hanno inizio, cessa