Matteo Fato – Krinein
Ogni opera di Fato evoca le relazioni che si costituiscono per forza interiore, dichiarando apertamente il proprio intento: documentare non il soggetto ma la relazione tra l’artista e il suo mezzo.
Comunicato stampa
Nel corso del Novecento abbiamo assistito allo sgravio dalle categorie artistiche, ma il secolo scorso ci ha anche affrancato dai basamenti delle sculture e dalle cornici dei quadri. Matteo Fato [Pescara, 1979] ha avuto l’ardire di rendere nuovamente attuali e familiari sia gli uni che le altre; le basi delle sue opere sono costruite non a caso con lo stesso legno di cui si compongono le cornici, che in realtà non sono altro che le casse usate per trasportare i dipinti. Per l’artista il contenitore diventa quindi l’ornamento e il completamento dell’opera.
È innegabile come la pittura e la scultura abbiano affrontato lunghi periodi di crisi; ai tempi in cui veniva denigrata come “fermacar-te”, la scultura ha cambiato tipologia e deno-minazione, passando da ready-made ad as-semblaggio, da installazione a environment, trovando una valvola di sfogo persino ne l’idioma del design. Ben più duratura è la crisi imputata alla pittura, la quale non accetta troppi compromessi con la sua identità, e con la sua stessa autenticità. Che questa ennesi-ma crisi (perché non è la prima né sarà l’ulti-ma) non alluda dunque a una consapevole rinascita? La parola greca krinein, che dà il titolo a questa mostra, ha molti significati: distinguere, scegliere, giudicare, interpretare, ma anche condannare oppure entrare nella fase cruciale di una malattia. Inoltre, Krinein è radice sia di "crisi" che di "critica", ed è a par-tire da tali presupposti che l’artista ha af-frontato il progetto di questa esposizione, ob-bligando se stesso a "capire la transizione da uno stato all'altro".
Ogni opera di Fato evoca le relazioni che si costituiscono per forza interiore, dichiarando apertamente il proprio intento: documentare non il soggetto ma la relazione tra l’artista e il suo mezzo. Attraverso la specificità dell’ap-parato tecnico, e grazie all’alibi delle temati-che adottate, Fato sfida di continuo la perce-zione retinica: «Credo che chiunque indaghi il linguaggio visivo della pittura debba fare i conti prima di tutto con se stesso», ha detto in un’intervista del 2008. Esiste infatti nelle sue opere una necessità tutta interna, anali-tica e autoriflessiva, tesa a investigare la complessa natura della pratica pittorica.
Rompendo le righe e infrangendo le regole, Matteo Fato propone a Lissone un autentico spazio espressivo (anziché un semplice spa-zio espositivo) in cui è possibile sdoganare la sintassi delle forme e dei colori, dando libero corso a una miscellanea di interventi. In mostra sono presenti opere degli ultimi anni che dialogano tra loro in modo sincronico, restituendo così una visione ampia e comple-ta della ricerca intrapresa in seno alla pittura, al disegno e alla scultura. Autoritratti e pae-saggi rimandano ai grandi temi della pittura antica, rivisitata con uno sguardo rivolto al presente. Tra i motif cari all’artista viene qui riproposto un ciclo dedicato alla pigna, il frutto delle pinacee che in quest’occasione assume una valenza araldica, come nel caso dei di-pinti con i cavalieri e le armature. Oltre a di-segni digitali e visori stereoscopici, in una bacheca sono esposte le riproduzioni di tre opere su carta, realizzate per la rivista CO2, a cui si aggiunge un intervento inedito, pen-sato per un quarto numero mai pubblicato.
Riannodando il corso della storia – quella personale e quella dell’arte – Matteo Fato si interroga ancora una volta sui nessi e i limiti che intercorrono tra parola e immagine, tra segno e significato, restituendoci una ricca scorribanda all’interno del suo atelier pesca-rese.