Matteo Gatti – Mutante il corpo mio s’abissa
Mostra personale di Matteo Gatti “Mutante il corpo mio s’abissa”.
Comunicato stampa
Testo di Deborah Maggiolo
La simultaneità degli opposti è quanto da sempre contraddistingue la mitologia del mostro, situandolo al crocevia fra dimensione soprannaturale – o fantastica – e terrena. Nella terminologia latina (monster, monstrum) il vocabolo indica al tempo stesso un prodigio – la dimostrazione della volontà divina – e un demone, o un’ammonizione – dal verbo moneo. Fra credenza popolare da tramandare e necessità tutta umana di proiettare, psicologicamente, desideri e paure su un’entità altra al fine di esorcizzarne il portato, i mostri esistono quale componente costitutiva del reale, nello specifico, come manifestazione dei suoi tratti più irrazionali e incontrollabili; feticci più umani degli umani, categoria intrinseca alla specie Homo.
Ricollegandosi all'immaginario del mostro e alla sua rappresentazione quale alterità negativa, antagonista del soggetto normato, Mutante il corpo mio s’abissa delinea un’ecologia in cui differenti forme biologiche e inorganiche entrano in contatto con altre entità umane e non umane. Qui, le tradizionali gerarchie del vivente risultano erose a favore di un processo di mutazione che assume una direzione orizzontale, decentrando la figura dell’antropos e mettendo in scacco le tradizionali teorie dell’evoluzione e dell'eccezionalismo umano. La ricerca di Gatti prende avvio dall’aneddoto narrativo al centro dall’opera “Mutante il corpo mio s’abissa”, vero e proprio punto nodale della mostra. Una protuberanza amorfa, melmosa emersione dalle acque di Loch Ness, si affaccia su una scansione al sonar che tratteggia la presenza di un’arcana figura sul fondo del bacino lacustre. Affascinato dal mito del celebre mostro di Scozia, conosciuto come Nessie, Gatti ne ripercorre le vicissitudini fino ai suoi più recenti svolgimenti. Risale infatti al 2016 la notizia del ritrovamento, nelle profondità del lago scozzese, di un prop utilizzato nel 1969 durante le riprese del film La vita privata di Sherlock Holmes, del regista Billy Wilder. Ancora una volta, a partire dalla famosa “foto del chirurgo” che, pubblicata sulla prima pagina del Daily Mail il 21 aprile 1934, contribuì a diffondere il racconto a un pubblico più vasto, l’episodio è funzionale ad alimentare la leggenda che vuole una misteriosa creatura ad abitare quei luoghi. A enigmatici ritrovamenti fa eco anche l’opera "4r80#932_ur!&90", reperti che questa volta assumono le fattezze di remoti fossili paleontologici. Grandi calchi di creature chimeriche, fra l’invertebrato e il coriaceo, sono disposte come su di un tavolo clinico, pronte a essere esplorate allo scopo di definirne l’oscura natura. Le sagome di gesso ricalcano la configurazione di antiche forme biologiche e di quei grandi virus preistorici che, a causa degli smottamenti terrestri dovuti alle logiche del capitalismo estrattivo – prima che al cambiamento climatico – potrebbero ora ritornare alla luce, generando uno scontro di temporalità dai toni distopici. Il confine fra reale e fantastico si fa sempre più labile, avvicinando questi organismi al nostro livello ontologico. É sul filo di questa speculazione che nascono le opere “Nisse” e “Cattivi pensieri”, in cui Gatti immagina un orizzonte futuro dove l’essere umano è evocato dalla sola presenza di oggetti del suo quotidiano, prodotti dell’iperconsumismo fra cui si protendono mostruosi apparati mutanti. La contaminazione progredisce in forma di rivalsa territoriale, attori considerati marginali e minoritari reclamano ora il proprio spazio di autonomia, oltre un mondo antroponormato. Il contatto simbiotico tra differenti piani di realtà genera una condizione di xenorealismo: a causa di una mutazione disfunzionale, l'evoluzione lineare s’inceppa, producendo un'ontogenesi abnorme.
Quello di Gatti è uno sguardo al cambiamento che potrebbe manifestarsi in un’ipotetica post-civiltà, una fantasticheria giocosa e irriverente che indica come, forse, sia possibile apprendere da queste diverse forme di vita come farsi strada nell’avvenire. Che si tratti di dover sviluppare una sensibilità differente rispetto alle cose o un nuovo modo di stare al mondo – estendendo i nostri organelli come nell’opera “Diorama”, al fine di percepirne sfumature ulteriori. Potremmo imparare dai “mostri” come essere meno umani, se umano è sinonimo di quell’Umanesimo che ha portato all’attuale disastro nella cosiddetta epoca dell’Antropocene. Da questa prospettiva, l'esposizione può porsi come un invito a riflettere sulla condizione di "mostruosità" quale punto di vista alternativo sull’esistente, una modalità di ricollegarsi a sfere ontologiche stigmatizzate e rilegate in secondo piano. Non resta dunque che lasciarsi naufragare in quel mare, inabissandosi fra le suggestioni delle opere per immaginare percorsi di sviluppo divergenti.
Deborah Maggiolo