Matteo Giagnacovo
A quattro anni di distanza dalla sua prima mostra personale, Matteo Giagnacovo torna ad esporre nelle sale di interno18 arte contemporanea.
Comunicato stampa
A quattro anni di distanza dalla sua prima mostra personale, Matteo Giagnacovo torna ad esporre nelle sale di interno18 arte contemporanea.
In mostra opere su carta di medio e piccolo formato appartenenti a vari cicli, da quelli dedicati al mondo animale (già esposti in varie sedi, tra cui Berlino e Linz), a una serie inedita di paesaggi declinati sulla scala dei grigi dal tipico uso di pastelli a olio.
Riferimenti e modelli appaiono molteplici. Dal primitivismo dei fauves e dell’art brut alle fisionomie alterate e saturazioni espressioniste. Episodi di tessitura cromatica rimandano alle sovrapposizioni di Tancredi, mentre le grafie gestuali all’opera di Twombly. Tutto è segno, anche il colore. Non come significante ma come accadimento fisico. E non svanisce nel soggetto, coesiste. Una visione al tempo stesso unitaria e separata, simile a una formazione naturale di cui vediamo gli elementi costitutivi. Segmenti liberi che si accostano non integrati. Senza prospettive o piani si giustappongono e si invadono a vicenda talvolta anche come cancellazioni, componendo l’immagine da elementi autonomi. La figura o il paesaggio si attuano da questo accorpamento spesso violento, non nella formula cubista, ma piuttosto in chiave visiva aptica. Dove il ritmo compositivo e impressioni sinestetiche prendono il posto dei volumi e l’immagine che è costruita sulla materia del tratto appare come incisa su una pagina, perciò priva di quinte.
Il superamento delle esperienze precedenti nella sintesi segno libero-oggettivazione è tipico della pittura europea, e non solo, dagli anni ’80. Un soggetto prende sempre forma e l’artefice è il soggetto del segno. Come l’immagine di un territorio (dell’immaginario poetico) si sovrappone a una cartografia (di un autoritratto reiterato). I due vettori opposti e inscindibili innescano nelle opere di Giagnacovo la tensione fra alterità e identità, in grado maggiore nella serie del bestiario, minore in quella degli insetti, dal formato più piccolo. Le cui carte sono asciugate da qualsiasi ridondanza cromatica o gestuale e l’insieme è attenuato e allusivo. Avvicinamento cauto dello sguardo verso la scena ellittica di un microcosmo.
L’equilibrio fra composizione astratta e precisione di corrispondenza con l’oggettività è ancor più esaltato nei paesaggi, per sottrazione. Il colore assente e il dilatarsi dei vuoti sono i detonatori dell’opera, mentre due elementi grafici ricorrenti definiscono lo spazio privandolo di orizzonte e, di nuovo, di profondità. Il disco, che isola il paesaggio rendendolo parziale, e il solco, graffiato da una varietà di tratti, che attraversa orizzontale il campo e risolve il ritmo fra pieni e vuoti. Il tutto in un tempo sospeso come incubazione della memoria, o isolamento narrativo. Raggiunge una sottile vertigine Il filo che lega pittorico e rappresentazione, quest’eco reciproca permane scongiurando la possibilità del formalismo.
Tuttavia il carattere ordinario dei soggetti e la tecnica ricondotta agli elementi primari, possono prestarsi al fraintendimento di una pittura “facile”. Intonazione ludica e immedesimazione ingenua nei soggetti animali, malinconia e inquietudine nei paesaggi sono aspetti non a margine ma comunque pretestuali dell’opera di Giagnacovo. Il corpo sta nella musicalità compositiva e nel tentativo di una figurazione non didascalica. Tale sintesi non è sterile espediente formale ma riflesso di una ricerca metalinguistica, che costituisce istanza primaria nel clima contemporaneo di dispersione. Paludato di simultaneità concettuali e relativismo estetico.
Matteo Giagnacovo, classe 1986, è nato a Milano, dove vive e lavora.