Matteo Massagrande – Un canto dolente d’amore
Venticinque studi, sette quadri. Altrettante stazioni di un percorso “dentro”. Dentro l’intimità e le visioni di un artista straziato e sensibile come pochi altri, Vincent van Gogh.
Comunicato stampa
Venticinque studi, sette quadri. Altrettante stazioni di un percorso “dentro”. Dentro l’intimità e le visioni di un artista straziato e sensibile come pochi altri, Vincent van Gogh.
Emotivamente fatte proprie da un curatore-poeta, Marco Goldin. E trasmutate per mano di un artista di rara sensibilità e finezza come Matteo Massagrande.
“Canto dolente d’amore (l’ultimo giorno di Van Gogh)”, l’esposizione di dipinti creati da Massagrande sulla base del monologo teatrale scritto da Goldin, perfettamente suggella il percorso espositivo della grande mostra su Van Gogh in Basilica Palladiana a Vicenza.
Racconta l’uomo che, impastando nel colore i propri sentimenti, ha creato i 129 capolavori che qui sono riuniti.
Anche per questo quella di Matteo Massagrande è più che una mostra tradizionalmente intesa. E’ un progetto a quattro mani che unisce la parola all’immagine, dove i confini tra passato e presente, tra arte, emozione e catarsi si fanno tanto deboli da fondersi.
Per condurre i visitatori “dentro” una storia che è, o diventa, di ciascuno.
“Io ho amato. In ogni giorno della mia vita / e l’ho scritto così tante volte / e l’ho dipinto con i miei colori, / come un’acqua che scorre impetuosa / e niente la può fermare”.
A pronunciare questi versi, per voce di Marco Goldin, è Vincent van Gogh, accasciato ai piedi di un albero, il petto arrossato dal sangue che fuoriesce dalla ferita che gli ha squarciato il petto. Inferta per sua mano.
Per porre fine a una vita dove l’amore è rimasto un miraggio, peggio: qualcosa di intensamente offerto ma “che io non ho avuto indietro”.
E’ un “Canto dolente d’amore” quello che esce dalle labbra riarse di quell’uomo sorretto dal tronco. Nella sera di Auvers.
“Quell’albero è per qualche momento il centro del mondo, il luogo dove tutto converge dell’universo”, scrive Marco Goldin nell’introduzione al grande libro/catalogo che uscirà per la fine di ottobre. “Se ne sta andando da questa terra un uomo che ha lasciato una scia perenne, ha lasciato un segno che non potrà mai essere dimenticato. Per questo così tante persone provano così tanto amore nei suoi confronti. Ho scritto quel monologo nella scorsa primavera, di getto, un sabato pomeriggio… E’ stato nel momento in cui l’ho ripreso in mano, che ho provato un desiderio, questa volta sì davvero un desiderio, forte. Che un pittore potesse non illustrarne alcune scene, che pure mi sembravano non mancare, ma che ne facesse canto egli stesso, e canto colorato.
Allora ho pensato a chi potesse vivere questo stesso sentimento, questo medesimo spirito. Quello che avevo messo dentro, vita bruciante, nel “Canto dolente d’amore”.
Ho deciso che questo pittore non potesse che essere Matteo Massagrande, che stimo e amo per le immagini che crea, ma anche per l’urgenza vera e autentica di fare pittura dentro il mare largo, e a volte doloroso, dei sentimenti… Matteo ha accettato di fare pittura sul “Canto dolente d’amore (l’ultimo giorno di Van Gogh)” e ha scelto liberamente − senza farmene parte come gli avevo chiesto − le scene che più l’hanno coinvolto… Le ha fatte diventare qualcosa di suo, le ha calate nel mondo suo proprio, ed era esattamente quello che avevo sperato, che avevo desiderato accadesse. Che lui potesse creare immagini che nascevano sì dalla mia parola, ma ugualmente avessero una loro precisione e una loro assolutezza indipendente dalle mie frasi. Fossero, insomma, i suoi quadri e non altro. Così c’è una parola che sale con forza, eppure con dolcezza, alla mia bocca guardando i sette quadri, e prima gli oltre venti studi, che Matteo Massagrande ha dedicato al “Canto dolente d’amore”: intimità. Sono, queste, immagini insieme prive di tempo e però calate nel tempo. Ne fanno parte perché fanno parte della vita, ma sono ugualmente il destino del “per sempre”. La pittura di Matteo Massagrande, con le sue profonde sottigliezze ne accompagna l’esistenza, la manifestazione, il dissolversi in certe nebbie che abbiamo.
Si guardano insieme questi quadri, perché sono stazioni alle quali ci siamo tutti avvicinati e dalle quali siamo tutti partiti. Non uno è più importante di un altro, perché stanno davanti agli occhi come un profumo che sale, un silenzio che viene, una musica che si ode da lontano, che non si percepisce del tutto ma si sente che c’è e si spande nell’aria. E questo reca conforto, perché il mondo è ancora bellezza ed è meraviglioso sapere che ci sono pittori che questa bellezza segreta la sanno dire, la sanno raccontare. Per farne un canto. D’amore e di nostalgia”.