Matthias Schaufler – Ritratti
Mostra personale.
Comunicato stampa
Per comprendere le diverse fisionomie delle poetiche del segno e delle materia, é indispensabile tener conto del retroterra storico, delle radici culturali di ogni artista, che assieme a confronti a piú ampio raggio e alle propensioni individuali, ne hanno determinato la specificitá.
Se la ricerca di un segno e di una materia primari, in Europa, non é disgiunta da una trama di rimandi, di contesti, di memorie che rendono piú articolate le potenzialitá analogiche, la virtualitá dell´opera improntata alla diretta trasmissione dell´esperienza in atto, si carica anche di altri portati, di stratificazioni storiche, richiamandone la struttura profonda.
In tal modo, certe volte si incontrano opere che assumono il duplice aspetto della cancellazione e della esaltazione ad un tempo stesso. In esse, il tempo é tempo della presenza, che tende a rianimare la storia attraverso un corpo a corpo diretto, e lo spazio diventa lo spazio fisico dell´azione. Il segno sta allo spazio, anzi lo determina, attraverso una collisione continua fra negazione e affermazione, fra il gesto impetuoso dell´intervento vitalistico e le stratificazioni delle varie strutture compositive.
In una nota autografa consegnatami agli inizi di Marzo, Schaufler indica, retrospettivamente, due snodi problematici e programmatici che riguardano da sempre la sua pittura. Il primo é il rapporto di complicitá sensuale e intellettuale tra autore e opera in seno ad un´assunta e riconosciuta totale autonomia del formarsi dell´immagine. L´altro é la deliberata esenzione del processo da ogni intento di esemplaritá e dimostrativitá: Schaufler non intende, in altri termini, affermare un dover essere del fatto pittorico, non una qualsiasi normativitá estetica e stilistca, piuttosto una chiave possibile di cio´che acluni decenni fa un Georges Mathieu ha sintetizzato come “retrouver le néant des limites de la liberté à partir de la quelle tout redevient possible.”
Quando Schaufler assai precocemente affiderá le sue riflessioni all´azzardo di un segno snudato e a tratti lacerante, saprá di potersi consentire questa esperienza in nome di una dignitá operativa giá riconoscibile. Un po' di retroscena: nei primi anni '90 egli si pone in una sorta di orientamento eccentrico rispetto all'ambiente che anima la giovane galleria fondata da Christian Nagel nel 1990 a Colonia, alla quale contribuirà con diverse mostre di suoi lavori. Il suo impulso alla pittura deriva dall'aver incontrato in quei primi anni artisti come Albert Oehlen, Martin Kippenberger e Michael Krebber, e da uno studio attento dell'opera di Chaïm Soutine, Pierre Klossowski e Balthus, dotandosi di un bagaglio disciplinare molto affilato proprio per garantirsi piena libertà di esprimere la sua strada. Durante i primi due decenni degli anni 2000, Schaufler espone costantemente con la Galerie Hammelehle und Ahrens a Stoccarda e Colonia, e con la Galerie Cinzia Friedlaender a Berlino.
Schaufler sceglie di muoversi partendo da un rapporto di concentrazione sul sensibile inteso come penetrazione definitiva nella materia pittorica, la cui resa deve darsi in uno spazio che sia non metrica quantitativa ma dimensione piena della coscienza – operazione che si potrebbe dire analoga a quella che Paul Valery attua con la letteratura dei suoi cahiers – la tela, o la pagina, diventano luogo non collocazione, tensione e relazione, non rapporto statuito. E tutto cio´deve dirsi nella facoltá sovranamente autonoma del colore di manifestarsi come tònos nella luce, sostanza identitaria dell´immagine.
Il luogo dell´immagine é per Schaufler una sorta di clima mentale indefinito ma non aleatorio, anzi a un grado altissimo di necessitá e intensitá entro la piena, autonoma alteritá della pittura. Schaufler intuisce di possedere la chiave di un´espressione forte e tipica, di precisa autonomia, nel piglio autorevole e ultimativo del gesto che segna - erede di antichi automatismi ma, come uno jaku , risentito alle ultime implicazioni – e nella levitá luminosa delle materie asciutte che gli sono caratteristiche.
Cosí la recente serie dei Pastori (Hirte, 2020 - 2021) e quella immediatamente successiva dei Ritratti (Porträts, 2022) che presentiamo in anteprima europea quí a Napoli, con le sostanziose implicazioni dello schema di paesaggio e figura che eccitano, non devono leggersi in chiave di un ubi consistam tra le file dell´astratto, o come un´altra atmosfera autre, di tipo stilistico o tanto meno strategico. Esse sono nella loro asciutta e severa sperimentalitá, nel loro ergersi sulla spaziositá della tela, del foglio, la ricerca radiante di una pratica che sconta quelle posizioni teoriche in nome di un affondamento senza rete, senza clausole, nell´intendimento del mondo e nella sua resa espressiva.
Apparenza, e corpo altro d´immagine, rappresentano dunque la questione vera che Schaufler decide di affrontare, con singolare capacitá di collocarsi al centro nevralgico del dibattito artistico odierno - alla cui portata e alle cui posizioni é tutt´altro che indifferente – e insieme di mantenersi in una sorta di a parte vagamente antieroico, certo antiintellettualistico, concentrato tutto su un colloquio confidente e ravvicinato con il fare la pittura.
Nella seriazione stupefatta e ossessiva delle opere, il segnare, il tracciato delle lamette, ha in questo senso valore fondativo, ed ha una prioritá concettuale che Schaufler esplora ampiamente, sin dagli inizi della sua carriera. La nascita di questa ultima serie di ritratti ne e´ la naturale conseguenza, ma ora lui sa che l´equivoco e il mistero del corporeo devono passare da quell´esperienza, con tutte le implicazioni storiche ineludibili che cio´comporta – bisogna passare da certi cromosomi espressionisti, allontanando questa volta lo sguardo dai moderni, e rivolgendosi esclusivamente ad una fascinazione profonda verso il Tardo Rinascimento, pretendendo quasi di seguire alla lettera l´insegnamento Vasariano di guardare alla ´buona maniera` attuando una attenta sprezzatura nei margini della regola analogica.
Schaufler ora sa che la risoluzione deve venire da una sorta di ribaltamento teorico dell´approccio: trovare la risonanza tipica del segno/gesto, la sua facoltá qualitativa di fare essere l´immagine, a partire da una condizione di saturazione, di assedio quantitativo della materia e delle sue consistenze.
In termini filologici, con la giusta cautela, tra critici si sono spesi riferimenti a Fautrier e Wols, avvertendo anche il rischio di eleganza che il talento di Schaufler possa farvi inconsapevolmente lievitare. Questi sono nomi che si fanno senza timore di schiacciare, implicitamente, l´artista di cui si parla. Schaufler fa sentire più che mai la sua voce maturata – ponendosi in una situazione precisa, questa volta alla rottura del Modernismo – da lì vuole ripartire, guardando a David, Ingres, Delacroix e Cézanne, con l'umiltà del contadino inesperto. Come altri lottano per nuove immagini naturali, unica e possibile prefazione di nuove immagine reali, cosí lui lotta per nuove immagini dello spirito.
Quasi sbollendo aria nascosta, o captando fluorescenze, fa riaffiorare dalla materia la nuova immagine, ancora, di un volto. Ma ormai, sempre piú reliquia, parvenza: traccia di donna, o di uomo, veronica di una nostra condizione angosciata, simbolo reale, concretissimo, d´una nostra realtá piú reale di troppi realismi. Virando entro la pasta, sottilmente brancolando con le sue lame, orientando maree di colore, Schaufler cerca il nuovo fantasma di un nostro volto nascosto, eroso, quasi obliterato.
Sono le immagini di una nuova poesia che non si saprebbe chiamare se non romantica, in un senso post-moderno ´esistenziale´, compagna e spina nel fianco della nuova ondata astrattista; ma non meno, d´ogni eventualitá astrattamente autre, di ogni tecnicismo, d´ogni vacuitá irresponsabile. E´un elemento ineliminabile, religioso nel senso primo e ingenuo del termine, entro la grande dialettica in corso.
Queste tele, spie autentiche d´una condizione spirituale, sono state pagate da Schaufler fino al sacrificio. É per questo che, quando le (si) affronta, l´avviso di una luce ignota, forse d´una speranza, baluginando lentamente entro gli spessori della materia, comincia a sfolgorare pian piano nella (sua) stanza.