Maciste ci guarda, solenne e ieratico, contemporanea erma a protezione dei passanti. Un’effige potente che viene dal passato ma che osserva con occhi vivi, il volto segnato dal tempo, sopravvissuto a mille battaglie. Il dipinto è un teatro di guerra e in guerra non c’è esclusione di colpi: Maciste, il gigante buono, è in perenne lotta contro tutti ma soprattutto contro se stesso: è l’artista in stato di costante tensione creativa per arrivare a dar vita all’immagine, sintesi perfetta dell’idea.
In guerra, come in amore, tutto è lecito e così Mattia Barbieri va a mano e a mente libera: nella stessa tavola mescola i colori, stesi a pennello, spatola, dita e rulli, utilizza tecniche e registri diversi, fa incursioni nella storia dell’Arte prendendo in prestito iconografie, cita, inventa e giustappone riferimenti lontani, incongrui, dipinge quadri nel quadro. E lo fa naturalmente, senza apparente fatica e senza indecisione, con grazia anzi con “sprezzatura”, come avrebbe scritto cinquecento anni fa Baldassare Castiglione, e il rimando non è forzato perché l’arte è sempre contemporanea: dipingere, scolpire, disegnare significa parlare del mondo in una lingua sempre nuova, autonoma, che si ricrea continuamente sulla tradizione, come afferma l’artista: «La pratica artistica è come un dialetto, una lingua a parte che possiede una propria grammatica e risponde solo a se stessa». Ogni quadro è potenzialmente infinito, un’opera aperta il cui significato è sulla tavola, e la pittura è «oggetto e soggetto di se stessa e il messaggio primario è puntualmente il “come” si palesa agli occhi».
Qui il riferimento è all’antico, alle sculture greche e romane ma anche, andando più indietro, alle incisioni rupestri e, facendo un viaggio nel tempo fino a oggi, ai manga e alle immagini digitali. La figura emerge con forza perché è quasi scolpita sulla tavola che diventa intonaco grezzo ai lati e la cui superficie è dipinta, graffiata e incisa, spruzzata come un graffito metropolitano che sembra strappato da un muro: una pittoscultura da percorrere con lo sguardo per il puro piacere del vedere, seguendo i percorsi della mano e le tracce della spatola che scavano le curve sinuose di paesaggi visti a volo d’uccello, i riempimenti di colore e i colpi di pennello blu e gialli che alludono a cieli profondi e a giornate assolate.
Una stratificazione complessa che si fa figura: Maciste, eroe di dannunziana memoria, diventa un’icona, brillando letteralmente di luce propria che, come un’aureola, si percepisce nel sottile bagliore arancione che emana dalla sommità del quadro. È la celebrazione della laica sacralità della pittura, che è «il serbatoio all’interno del quale tutto confluisce: conoscenza e interessi, barzelletta e preghiera, lotta e pacificazione, introspezione ed esplorazione del mondo esterno».
Mattia Barbieri, artista, si diploma in Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Brera. Dal 2006 espone in mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Nel 2010 partecipa alla Biennale di Mosca presso il Winzavod Contemporary Art Center; nel 2012 è vincitore del Primo Premio Pittura del Museo di Lissone; durante Expo Milano 2015 collabora con Progetto Città Ideale, esponendo e curando un ciclo di eventi artistici presso la Sala delle Colonne della Fabbrica del Vapore a Milano; sono del 2017 e del 2019 i solo show presso la Pablo’s Birthday di New York e nel 2022 Santuario Tropical presso la Galleria Rizzuto. Ha al suo attivo partecipazioni a premi e residenze internazionali e progetti curatoriali. Numerose le mostre in spazi pubblici e privati, in Italia e all’estero, tra cui ricordiamo: Spazio Contemporanea e Palazzo Martinengo di Brescia; Rizzuto Gallery, Palermo; Studio la linea Verticale, Bologna; Pablo’s Birthday Gallery e The Border, New York City; Fondazione del Monte, Bologna; MAC (Museo Arte Contemporanea) di Lissone; Winzavod Art Center, Mosca; Federico Luger Gallery, Milano e tante altre. È membro attivo della rivista d’arte E IL TOPO.
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