Maurizio Galimberti
Il bersaglio non sono più le emozioni, il vissuto in forma diretta, ma l’intelletto, la mediazione che nasce dall’accordo sociale stabilito attraverso la convenzione. Una ricerca di tipo filologico, ma non solo. L’uso che Galimberti fa della favola come base espressiva da cui partire, lo ricollega alla tradizione un tempo orale dell’aedo, del menestrello, del cantastorie, del bardo ed alla potenza evocativa della parola, superandola e adempiendola.
Comunicato stampa
Schegge di movimento e ritmo nello scatto sono le caratteristiche cui ci ha abituato Maurizio Galimberti (Meda, 1956). Ora, pero’, si tratta di “altro”,“non solo”.
Evoluzione naturale dell’artista, possibile nuovo modo per declinare. Dopo aver frammentato e ricomposto l'architettura e il volto (ritratti), ora affronta la parola. Con questa nuova ricerca Galimberti passa dalla scomposizione delle immagini al concetto per eccellenza. Non si tratta di arrivare alla coscienza attraverso l’immediatezza della vista e dell’immagine; ma di sondare, di scandagliare la concettualizzazione dell’idea.
Il bersaglio non sono più le emozioni, il vissuto in forma diretta, ma l’intelletto, la mediazione che nasce dall’accordo sociale stabilito attraverso la convenzione. Una ricerca di tipo filologico, ma non solo. L’uso che Galimberti fa della favola come base espressiva da cui partire, lo ricollega alla tradizione un tempo orale dell’aedo, del menestrello, del cantastorie, del bardo ed alla potenza evocativa della parola, superandola e adempiendola.
L’oralità della memoria trova il suo approdo nella lapidarietà del segno grafico, nell’eternità del “verba manent…”: ecco quindi una nuova segnaletica.
Manuela Composti