Maurizio Pellegrin – L’immagine ritrovata

Informazioni Evento

Luogo
MARIGNANA ARTE PROJECT ROOM
Rio Tera’ dei Catecumeni, Dorsoduro 140, Venezia, Italia
Date
Dal al

dal mercoledì al sabato, dalle 11.00 alle 19.00

Domenica, lunedì e martedì aperto solo su appuntamento

Vernissage
20/01/2024
Artisti
Maurizio Pellegrin
Generi
fotografia, personale
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In concomitanza con l’esposizione Me stesso e io, in corso alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, nella Project Room vi sarà un omaggio a Maurizio Pellegrin con una selezione di lavori su carta. La mostra sarà accompagnata da un testo del filosofo Jonathan Molinari.

Comunicato stampa

L’immagine ritrovata: sull’uno e i molti (in) Maurizio Pellegrin.
Jonathan Molinari
In fondo non si tratta di fotografia, ma di immagini.
In fondo non si tratta di arte, ma si tratta di vita e, a volte, dell’impossibilità di vivere.
Maurizio Pellegrin
Le origini del concetto di armonia sono pitagoriche e affondano in una visione del cosmo
pensato come una grande sinfonia nella quale tutte le parti si muovono secondo leggi ben precise.
La molteplicità delle cose è in realtà l’espressione di un’unità profonda su cui si fonda il divenire
armonico del reale: l’energia, vita e movimento che percorre ogni cosa, è l’unità che lega il tutto.
L’idea pitagorica di una struttura armonica del cosmo avrà un’influenza enorme dall’antichità fino
alla rivoluzione astronomica del Seicento, sia per quanto riguarda il modo d’intendere la natura
come un tutto regolato da leggi armoniche (e quindi matematiche), sia per l’organizzazione delle
discipline stesse. Il termine armonia viene dal verbo greco armozein (connettere, collegare, essere
d’accordo) e la radice è nell’indoeuropeo ar (che significa aderire, unire, disporre) – che è la stessa
di arithmòs (numero), di arte e di aritmetica (ars e arithmetica).
Artista raffinato e poliedrico, filosofo e poeta, Maurizio Pellegrin collega, dispone, numera i
termini primi di quel flusso di energia in costante divenire che considera essere il fondamento
ontologico della realtà: “la struttura di base del mio lavoro – ha scritto l’artista – è prevalentemente
organizzata sul concetto del ‘frammento’. I frammenti scelti sono composti ed organizzati in nuove
strutture gerarchiche, al fine di produrre nuove relazioni, nuove energie, differenti significati e
simboli”. Questa prima riflessione, che forse è il principio della ricerca dell’artista, apre spazio a
una seconda osservazione, forse non meno importante: nella storia del pensiero occidentale la
funzione di collegare, disporre, numerare gli elementi dell’armonia del cosmo è propria di un
demiurgo divino, rimanda alla dimensione mitico-religiosa, con queste opere invece ci troviamo di
fronte all’idea che sia l’artista ad avere questo potere. Al posto di un demiurgo “divino” troviamo
l’artista che “modifica una visione esistente – ha scritto Pellegrin – donando un potere di relazione
differente”.
È questo “potere di relazione differente” che modifica gli equilibri – o gli squilibri – della
storia stessa degli oggetti o delle immagini che Pellegrin utilizza nei suoi lavori: l’artista-demiurgo
in qualche modo rinnova la realtà, la materia, il tempo stesso, come farebbe un musicista che si
divertisse a cambiare l’ordine e i silenzi tra una nota e l’altra di uno spartito su cui sia annotata la
melodia del cosmo. Ecco allora che l’immagine ritrovata è un’immagine che viene a nuova vita,
ricomposta ad un ritmo più lento, nel silenzio di un teatro a cui assistiamo al ridisporsi della scena:
“con i collage – ha scritto Pellegrin – avevo ritrovato l’immagine, o almeno provavo a ritrovare una
immagine forse volutamente perduta in risposta al mio training accademico. Questi piccoli fogli
contengono una infinita collezione di frammenti che già pavimentavano la strada delle mie future
installazioni. Appare un senso di intimità, una registrazione di piccole tensioni prima di un
movimento. I collage si muovono lentamente, scorrono come sipari di un teatro silenzioso”.
Nei collage realizzati alla fine degli anni Ottanta, l’artista riprendeva la pratica presente nei
primi disegni con matite colorate del 1978 e primissimi anni Ottanta, in cui incollava cartine di
sigarette e altre piccole cose cartacee. Nei photocollage realizzati tra il 2006 e il 2008 Pellegrin
utilizza invece uno sfondo di vecchie fotografie che sostengono il soggetto principale: qui la
rimodulazione dell’armonia delle immagini, il “potere di relazione differente” che l’opera realizza,
mantiene il complesso gioco di rimandi numerologici attraverso cui l’artista quasi quantifica
l’energia dell’immagine, mentre il potere simbolico dell’uso del colore si avvale esclusivamente del
bianco e del nero, un modo – ha affermato Pellegrin – per creare “un contrasto forte, che aiuta a
produrre un movimento pur nella fissità, e testimonia un aspetto della mia personalità”. Se nei
collage degli anni Ottanta il movimento era dato dall’uso del colore, nei photocollage “la dinamica
– ha scritto Pellegrin – è regolata dall’energia che viene quantificata e resa visibile dai numeri
presenti nella composizione”.
Nelle sei carte Also, the Elephants travel to Venice del 2021, realizzate con la tecnica della
cianotipia, la ricerca di Pellegrin indica infine nei temi del viaggio e della percezione un nodo di
svolta: le armonie che l’artista produce ridefinendo “nuove relazioni, nuove energie, differenti
significati e simboli” non potranno mai essere definitive, ma sono piuttosto un lento viaggio che ha
per nucleo una ricerca intima anche sulla propria identità esistenziale e biografica. Da questo punto
di vista Venezia non è neppure reale, è un luogo della memoria – o della dimenticanza – verso cui si
può viaggiare, ma a cui di fatto non si può arrivare. Raggiungerla e restarvi significherebbe
interrompere quella ricerca artistica ed esistenziale che vive e si nutre dell’invenzione continua di
nuove disposizioni della realtà. In modo delicato e poetico l’artista pare suggerirci che per creare
armonia serve inquietudine, che per affrontare il viaggio si deve rinunciare alla meta, che per
ricondurre i molti all’uno e ritrovare l’uno nei molti, è necessario essere “se stessi e molti altri”.