Maurizio Savini – È nella terra e oltre la luce
Maurizio Savini è un artista estremamente diretto nel suo riuscire ad affrontare specifiche tematiche mediante l’uso di una tecnica particolare che a prima vista sembrerebbe lasciare intendere tutt’altro.
Comunicato stampa
Maurizio Savini. È
nella terra e oltre la luce
Di Giorgia
Calò
Maurizio Savini è un artista
estremamente diretto nel suo riuscire ad affrontare specifiche tematiche
mediante l’uso di una tecnica particolare che a prima vista sembrerebbe
lasciare intendere tutt’altro. Le sue opere sono infatti realizzate utilizzando
un materiale duttile come la gomma da masticare, nel colore più pop che possa esistere:
il rosa Big Bubble. Così il “panna e fragola” della nota casa dolciaria diventa
nelle sue mani un mezzo straordinario, concretizzazione di un pensiero che
riesce a prendere forma nell’installazione polimaterica, e che permette
all’artista di restituire un’attenta e analitica cronaca su alcuni aspetti di
interesse universale, quali ad esempio la geopolitica e la geologia umana. Un
artista colto, dunque, che guarda il mondo nel suo muoversi disorganico; che
osserva l’uomo nelle sue azioni e nei suoi comportamenti schizofrenici; che
tenta di ridisegnare una geografia dove i colori delle bandiere e i confini
tratteggiati su di un improbabile mappamondo, non stanno necessariamente ad
indicare guerra e morte, ma vogliono bensì “illuminare” un percorso che lasci
intravvedere un epilogo, seppur incerto. Per tutti questi motivi Maurizio
Savini lavora ormai da decenni intorno alle relazioni fra l’essere umano e ciò
che lo circonda, il cui punto d’unione non risiede nella forma ma nel concetto
che si focalizza sulla domanda anziché sull’esito, lasciando al pubblico
l’onere della risposta. Le opere di Savini si strutturano su argomenti di forte
attualità, dimostrando un grande interesse per i problemi che oggi minano le
relazione tra uomo-natura e uomo-uomo. “Non c’è estetica senza un’etica”,
sembrerebbe pensare Savini. Un’etica che si avvale di un’estetica ipermoderna,
fatta di oggetti e forme simulacrali, al fine di sostenere e costruire una
serie di istantanee dell’identità contemporanea. Se dagli anni Sessanta del
Novecento abbiamo visto come la comunicazione sia riuscita a prendere
prepotentemente il posto dell’azione, creando prodotti che occupano uno spazio
intermedio tra vero e falso, Savini sembra denunciare lucidamente la futilità
di tale miracolo mediatico. L’immagine saviniana, che si fa di volta in volta
spettacolo e simulacro, è il risultato attento del quadro politico, economico,
culturale e demografico odierno. Nell’ultimo decennio la sua ricerca si è
infatti focalizzata sulla rappresentazione della crisi economica che ha
coinvolto l’intero emisfero globale, e che ha portato ad un’inevitabile perdita
dell’identità e dei valori umani. Ne deriva l’analisi puntuale di una realtà
capitalistica che continua a cannibalizzare ogni cosa, uomini compresi, appannaggio
solo di poche persone nel loro ruolo dualistico di vittime e carnefici.
La bandiera è uno dei leit motiv della ricerca artistica di
Maurizio Savini. Se il vessillo è diventano a tutti gli effetti iconografia
dell’arte
contemporanea a partire dagli anni Cinquanta con Jasper
Johns, ora con Savini viene declinato nella sua qualità di spazio vitale
dell’azione. Una sorta di esplorazione di tutte le valenze semantiche detenute
nell’oggetto che diventa esso stesso strumento di tale agire, riflettendo su tematiche
quali la popolazione e la sua stratificazione territoriale. In mostra l’artista
ci presenta 4 vessilli: la bandiera americana, l’europea, quella inglese e la libanese. Ora, se la
scelta di questi specifici stendardi può essere dovuta al momento storico che
stiamo vivendo, va detto anche che Savini riesce ad usare l’etica dell’emblema
arricchendola di una forte carica simbolica. Così la bandiera viene presentata
come un ossimoro, nella sua dinamicità congelata, caratterizzata da una fitta
rete di segni che si fanno di volta in volta labirinti, fori, sporgenze e
rientranze atte a vitalizzare l’oggetto stesso rappresentato e nel far
riflettere sull’importanza concettuale che detiene ognuna di essa.
Tra i soggetti scelti
dall’artista, la figura umana fa sempre da trait
d’union. I personaggi di Savini, con la loro durezza espressiva e il timore
della consapevolezza di un imminente fallimento, rappresentano i grandi squilibri
della democrazia occidentale. I suoi protagonisti sembrano rendersi
perfettamente conto del male della contemporaneità caratterizzata da una
sovraesposizione massmediatica che Paul Virilio chiama Arte dell’accecamento. Essi stessi dunque diventano vittime di una
società globalizzata in cui la visione dell’osservatore si distorce all’interno
di un canale fruitivo che altera circostanze e percezioni di un mondo pseudo
reale. Reali restano però i fatti: le crisi economiche, politiche e religiose
che causano una sofferenza crescente nell’uomo contemporaneo, ponendolo di
fronte ai suoi limiti. Dall’ascesa, dunque, alla caduta libera: l’uomo, in
questo caso un business man, precipita drammaticamente dall’alto della sua
scalata sociale. Cosa ne resta? Il suo background culturale, l’elevazione dello
spirito umano, le parole impresse nero su bianco su di un libro, incise nelle
pagine e fissate in maniera permanente
all’interno di una fitta ramificazione – in chewing gum – intervallata da
splendidi fiori di loto.
Un altro tema ricorrente nel
lavoro di Savini sono gli animali. In occasione di questa mostra l’artista
presenta un singolare bestiario composto da un coccodrillo e due lumache la cui
immagine speculare e riflessa allo specchio rallenta quel senso inevitabile di
staticità. Tuttavia la sensazione di assenza e la privazione di vita continua ad
aleggiare in queste sculture, così come nell’opera raffigurante un teschio
infiocchettato che, oltre al suo statuto semiotico, è permeato di una valenza
culturale e artistica specifica: il memento
mori. Un teschio fascinoso, posto di fronte agli occhi dello spettatore in
tutta la sua poetica simbolico-oggettuale; lucido, zuccheroso, con una
dentatura quasi perfetta, rimandando l’effetto di verità di una morte che
guarda in faccia, pur non avendo gli occhi nelle orbite. Cosa riflette allora
questo teschio? Quali sono le domande che ci suggerisce? Quella più
classicamente amletica Essere o non essere?,
o il quesito ben più psicoanalitico di Erich Fromm Avere o Essere? In quest’opera Savini mette in luce, mediante l’uso
di un’iconologia pluricentenaria convertita in linguaggio immediato, alcune
insidie che affliggono la nostra epoca tra cui quella del materialismo, un
paradigma che riflette il carattere multi sfaccettato dell’identità
contemporanea.
È attraverso tutte queste forme
che Maurizio Savini riesce a mostrare nella sua carica eversiva la brutalità
della vita, aprendo una personale ricerca al dialogo con l’uomo contemporaneo
fatto di speranza e auspici rosei, nel senso letterale del termine. La sua
realtà, traslata concettualmente all’interno di un sistema di immagini e di
segni specifici, conduce lo spettatore – attratto nella trappola estetica – a
riflettere sul consumismo oggettuale usando le armi della critica, dell’ironia
e della spettacolarizzazione. Il lavoro di Savini è difficile perché è “camuffato”
nella forma, nella materia e nel colore. Del resto oggi la bellezza viene
percepita come un crimine estetico, e spesso gli artisti vengono criticati se
puntano esclusivamente al bello. La ribellione contro il bello di Savini prende
le mosse proprio dalla bellezza stessa che, pur rimanendo una componente
essenziale del suo lavoro, viene subordinata nel suo ruolo veicolante di mezzo,
ben distinto dal messaggio.