Mauro D’Agati – Alamar
Mauro D’Agati (Palermo 1968) ha deciso di posare il suo sguardo su questa scena poco attraente e ben lontana dall’immaginario collettivo che si ha di Cuba. La ricerca del fotografo è antropologica, orientata a individuare i frammenti di un complesso sistema sociale, culturale e religioso.
Comunicato stampa
Il quartiere "operaio" di Alamar si estende ad est de L'Avana, in un area prescelta ad ospitare una città completamente nuova, pensata e costruita (dagli stessi lavoratori) attorno agli anni Settanta come città modello: il progetto della famiglia comunista del futuro.
Appena dieci anni più tardi l’utopia fallì e oggi Alamar è espressione di sconfitta e degrado, scenario perfetto del conflitto tra sogno e realtà.
Mauro D’Agati (Palermo 1968) ha deciso di posare il suo sguardo su questa scena poco attraente e ben lontana dall’immaginario collettivo che si ha di Cuba. La ricerca del fotografo è antropologica, orientata a individuare i frammenti di un complesso sistema sociale, culturale e religioso.
I luoghi rappresentati dall’artista non sono lontani da quelli di altre periferie del mondo in cui ogni giorno le persone lottano per sopravvivere a causa della povertà estrema in cui vivono e della difficoltà di inserirsi nel sistema economico.
Nessuno riesce a capire e spiegare perché Alamar smise di essere un’avanguardia degenerando nel caos. Alamar, e forse tutta Cuba stessa, non sono più il simbolo dell’ideologia socialista ma il luogo dove la precarietà e l’incertezza hanno annullato la volontà e la possibilità di cambiamento trasformandosi invece nell’abitudinario.
Le fotografie di Mauro D’Agati testimoniano e raccontano un presente reale, un passato virtuale e un futuro spettrale. Tuttavia Alamar non perde la sua speciale anima forse perché ancora cristallizzata nella sua utopia, continuando a rappresentare un momento unico nella storia di Cuba.
“La sua macchina fotografica è immediatamente diventata un’estensione dei suoi sensi grazie ad una spiccata sensibilità che gli consentiva di vedere, odorare, sentire, ascoltare la gente, i palazzi, i parchi e le strade, gli alberi e gli animali, gli oggetti. Da questa integrazione organica tra apparato meccanico e vita, da questa fusione tra estetica ed umanità, sono emerse queste immagini piene di sensi e colori che qui non sono utilizzati per occultare, edulcorare o abbellire la realtà, ma piuttosto per mitigare un eccesso di realismo che ci farebbe rabbrividire” (Nelson Herrera Ysla ).