Max Rohr – Looking through the trees
Looking through the trees – A distorted diary 2010-2011 è un grande corpus d’opera, summa poetica e pittorica che potremmo paragonare a un visionario memoir. Realizzati nell’arco di un anno, i dipinti insistono su un pallido tonalismo e una linea ferma, decisa, che conferisce compattezza e solidità alle immagini.
Comunicato stampa
Looking through the trees - A distorted diary 2010-2011 è un grande corpus d’opera,
summa poetica e pittorica che potremmo paragonare a un visionario memoir.
Realizzati nell’arco di un anno, i dipinti insistono su un pallido tonalismo e una linea
ferma, decisa, che conferisce compattezza e solidità alle immagini. Esiste in esse un
ferreo silenzio, una calma assoluta che proietta le figure e il paesaggio in atmosfere
(e)statiche. Tutte le figure hanno zigomi dolci, rilassati, sereni; il loro sguardo è elusivo,
fissano intensamente il vuoto, quasi presentissero o intravedessero qualcosa. Ma
per loro “scrutare” vuol dire “frugare” dentro se stessi, come in uno scrigno. Uomini
e donne, vecchi e bambini sono impassibili, statuari: sono come cedri del libano,
come sequoie immortali su cui attecchiscono gli oggetti – alla maniera dei muschi
sulle cortecce degli alberi, o degli insetti invischiarsi nell’ambra.
I veri protagonisti di queste opere sembrano essere gli oggetti. Oggetti d’affezione, del
desiderio, del ricordo, che non hanno nulla a che vedere con l’utilità: essi esprimono
soltanto se stessi. Siano essi utensili di cucina o attrezzi da carpentieri, reperti o cimeli,
tutti in egual modo costituiscono un arsenale iconografico che agisce sull’animo e
sulla coscienza. Si tratta di forme più soprasensibili che sostanziali, quasi incorporee
– fluttuano, brillano, vibrano – lasciando sospesi nel dubbio anche le figure. Non
meno destabilizzante è l’incoerenza prospettica, quell’a[nta]gonismo dei piani in cui agiscono diversi livelli di gravità. Max Rohr rinuncia infatti a dipingere secondo
l’intersezione della piramide visiva, rinnega la “scienza della visione” a favore di
una prospettiva “scorretta e sproporzionata”, alla maniera dei pittori trecentisti. Ne
nasce uno spazio contraddittorio, in cui il dentro si riversa nel fuori, il sopra nel sotto,
il piccolo nel grande.
Max Rohr non si limita ad autorappresentarsi ma a immedesimarsi nell’opera,
adottando una forma includente che si pone al di là della cronaca e della cronologia.
Grazie a un meccanismo di diversificazione e di alterazione della realtà, l’artista ci
propone una cultura agronomica del ricordo (“ricordo disarticolato” di ciò che ha
visto e ha vissuto). Le opere rispecchiano esattamente i suoi protagonisti: organismi
affetti da semiofilia, ossia da una fuoriuscita di significati che finiscono per convertirsi
in immagini e capaci di ramificarsi come cosa viva, vitale.