Mhyr: il Canto dell’Arca
RECITAL E MOSTRA NEL CHIOSTRO DELLA CHIESA DI S.ANTONIO, FERENTINO.
Comunicato stampa
Si comunica che il 21 Aprile alle ore 20:50 si terrà il Recital per voci corpi segni Mhyr: II Canto dell’Arca, presso il chiostro della chiesa di S. Antonio, Ferentino, con il patrocinio della chiesa stessa, Eremo San Pietro Celestino, con opere di Elena Gizzi, Francesco Savelloni, Riccardo Bernardi, Simone Compagno, Silvia Sbardella, a cura e con il secondo canto di ARCA “poema per corpi fragili” di Danilo Paris, con la programmazione dell’ Ass.Materia Creativa.
Il primo canto, ARCA: FILOGRAMMI DELLA SEGNATURA, ha avuto luogo dal 22 Dicembre al 13 Gennaio, nella chiesa di S.Lucia, una mostra con opere pittoriche di Giampaolo Parrilla e Matteo Gobbo, con tre letture diversificate il 22, il 29 Dicembre e il 7 Gennaio. Tra le molte collaborazioni presenti, l’ass.ne Donne in Cammino, con il rito del filo e del rammendo, la partecipazione degli abitanti del quartiere alla preparazione di pasti tipici del territorio.
Il progetto nomade ARCA, punta ad attirare l’attenzione su tematiche DISTANTI, IPER-oggetti, come scrive Thimothy Morton, e allo stesso tempo a riqualificare o forse squalificare, rendere stranieri, alcuni luoghi storicamente importanti, ma marginalizzati. ARCA è un progetto nomade, perché sempre in movimento e sempre richiuso nello stesso spazio, cioè il deserto, abita la steppa e il deserto e lo fa muovere, lo fa rifiorire
Mhyr: Recital con battesimo dei Mhyr
MHYR: TRACCIARE LINEE DI FUGA
Esperimenti per un teatro dei geroglifici
"Bisognerebbe definire una funzione speciale, che non si confonde né con la salute, né con la malattia: la funzione dell’Anomalo. L’Anomalo si trova sempre alla frontiera, sul margine di una banda o di una molteplicità; ne fa sì parte, ma la fa anche passare in un’altra molteplicità, la fa divenire, traccia una linea intermedia. Così è l’“outsider”: Moby Dick. Potrebbe darsi che lo scrivere si trovi in un rapporto essenziale con le linee di fuga. È divenire altro"
Arca nasce come macchina di incubazione delle nascite future, macchina del pensiero per “corpi fragili”, richiamandoci alle parole di Giampaolo Parrilla, uno dei suoi tre ideatori, insieme a Matteo Gobbo e Danilo Paris.
L’Arca è luogo di cura e ogni capitolo inaugura nuovi rapporti di cura con gli spazi in cui “sosta”.
Spazi di cura site-specific per fantasmi site-specific.
"Per il nomade, al contrario, è la deterritorializzazione a costituire il rapporto con la terra, cosicché egli si riterritorializza sulla deterritorializzazione stessa. La terra medesima si deterritorializza, in modo tale che il nomade vi trova un territorio. La terra cessa di essere terra e tende a divenire semplice suolo o supporto. La terra non si deterritorializza nel suo movimento globale e relativo, ma in luoghi precisi, proprio dove la foresta si ritira, dove la steppa e il deserto crescono.[...] Il nomade abita questi luoghi, resta in questi luoghi e li fa crescere; per questo si può constatare che il nomade forma il deserto non meno di quanto il deserto formi lui. "
Se la Chiesa di S.Lucia inaugurava la partenza con i rimandi alle sfere semantiche del “guardare” di cui la santa è protettrice, il secondo capitolo, "Mhyr", che porta il nome delle nascite scampate all'assegnazione del firmatario, è a Celestino V, che fondò la chiesa che ospiterà il prossimo canto, l’eremo San Pietro Celestino, o Chiesa di S. Antonio Abbate. Celestino V incarna, proprio in un paese come Ferentino, in cui il senso di appartenenza alle radici è decisamente spiccato, i valori della fuga e dell’esilio, così come la sottrazione alle posizioni di potere, richiamandosi all’Imago Christi di una figura che non agisce senza proclamare quale sia l’autorità con cui lo fa.
La mostra-recital è dedicata, prima ancora che al Papa che abdicò, ai morti nel naufragio a Cutro,a cui Celestino V, in questo caso, non fa che assurgere a protettore delle fughe.
“Fuggire significa tracciare una linea, delle linee, tutta una cartografia. Si scoprono dei mondi solo in una lunga fuga spezzata.”
Come in Arca, anche in questo caso gli artisti coinvolti hanno lavorato richiamandosi a queste corrispondenze di significati: Elena Gizzi ha creato grandi opere proprio attraverso l’azione del sole e dell’acqua, elementi che evocano l’apertura fotosintetica di quei lunghi viaggi per deserti e per mari.
Francesco Savelloni dedica esplicitamente le sue opere alla figura di Celestino, con un ciclo intitolato “Effugere”.
Riccardo Berardi e Silvia Sbardella creano un’installazione video artistica e una performance, lavorando con materiali e contenuti in grado di riattivare la coscienza “intermediale”, cioè una vicinanza diretta alle cose e in questo caso alle tragedie nei mari, proprio innescando schok percettivi nelle abitudini mediali degli spettatori.
Simone Compagno è presente con due acqueforti ed un’opera di collage. Oltre a queste, la trascrizione di un capitolo intero del Moby Dick, per sottrazione, su carta azzurra patinata., innescando in tal senso un altro rimando a quella fuga mitologica che è incarnata nell’opera di Melville.
“Qui tutto è partenza, divenire, passaggio, salto, demonio, rapporto con il fuori. Essi creano una nuova Terra, ma può proprio darsi che il movimento della terra sia la deterritorializzazione stessa.”
Le opere accompagnano la lettura del secondo canto del poema: Mhyr, II Canto dell’Arca. Essa è poi “agita” dai movimenti iconografici delle quattro ballerine Alessia Rea, Jamira Colapietro, Ilaria di Mario e Giulia Germani.
Il tutto visivo-verbale-coreografico-pittorico sarebbe un esperimento nel segno delle figure di Adolphe Appia e Antonine Artaud, un teatro del geroglifico, in cui il pensiero emerge come ombra e non nella luce elettrica dell’informazione televisiva. Un pensiero che lavorando sull’impensato dei pubblici, può scatenare il pensiero, arrivando dall’inconscio della parola ermetica al conscio, e non dal conscio della parola informativa all’inconscio, dove quei pensieri non saranno più accessibili.
ARCA: POEMA MOBILE
ARCA è un progetto nomade per “presepi di corpi fragili” ideato da Danilo Paris, Giampaolo Parrilla e Matteo Gobbo. Una riflessione sull’ “arca per i giorni del diluvio”, che biblicamente si riferisce alla costruzione dell’arca dell’alleanza, ma in questo caso fa riferimento all’arca possibile per i cataclismi del nostro tempo
ARCA è una mostra organica, in divenire, che trattiene la memoria degli avvenimenti in essa occorsi come tracce. I fili dei Riti del filo della mostra del 22 Dicembre- 13 Gennaio restavano impigliati alle cose come ragnatele e imprimono la traccia per i capitoli successivi. Essi hanno impresso una nuova direzione che dava il nome Filogrammi della segnatura al terzo movimento della mostra, che si componeva di tre letture.
Il filogramma è l'albero delle discendenze mentre la segnatura è il procedimento correlato alla tessitura di un libro.
L’ARCA è suddivisa in capitoli, che corrispondono a canti e ad altrettanti luoghi, “stazioni” della “fuga”
Tema centrale delle mostre è “la fragilità. “Mettere insieme pietruzze, pietre rotte”. Creare, pensare il limite, ciò che è spezzato. Nel limite, il possibile diventa luminoso. Come è scritto nel vangelo, infatti, “La pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo”. In quanto scartate, frammenti, possono essere messe insieme per comporre qualcosa. Assumere le conseguenze dei traumi storici recenti nella loro verità, assumere il fatto che da questi eventi siamo usciti fuori “spezzati”. Solo accettando la nostra limitatezza e dunque comprendendo tutta la drammaticità e la traumaticità degli eventi passati, possiamo comprendere il nostro esserci, il perché del nostro “stare” in questo determinato periodo storico.