Michela Ligazzolo – Ogni luogo ti sia lieto
Con questa esposizione personale, Michela Ligazzolo ci riporta all’ancestrale aspirazione dell’uomo che ricerca la propria completezza nella natura.
Comunicato stampa
Con questa esposizione personale, Michela Ligazzolo ci riporta all’ancestrale aspirazione dell’uomo che ricerca la propria completezza nella natura. Ogni dipinto è frutto dell'attesa e della contemplazione, per questo motivo non si può rimanere indifferenti davanti ad una tale forza creatrice. Figlia d'arte, stimolata fin da bambina dal papà decoratore, Michela ha potuto dedicarsi alla pittura solamente negli ultimi dieci anni, frequentando il circolo artistico vicentino "La Soffitta". La motivazione, accompagnata dal desiderio di migliorarsi nell'approfondimento della tematica del paesaggio, la sta conducendo a pregevoli risultati, nella ricerca di un proprio personalissimo linguaggio.
Con una tecnica pittorica che predilige l'uso del colore ad olio, l'artista non cerca la riproduzione fotografica ma un rapporto sinfonico, musicale, con gli elementi naturali in cui l’uomo rimane solamente un osservatore. Disegnando direttamente con il colore sulla tela, predilige le tonalità non violente, evita il nero, sceglie una tavolozza che possa suggerire sentimenti di quiete e di gioia di vivere. Non appaiono mai nelle tele figure umane (o animali) ma si scorgono i luoghi e gli scenari dove l'uomo vive la propria esistenza, dove la storia si consuma. Michela fa propria la frase del poeta Ettore Malasso: "ogni luogo del mondo è un angolo d'amore che lieto ci accoglie per essere scoperto". I luoghi del cuore per la pittrice si trovano, in particolare, in Veneto e nelle zone collinari a lei più familiari, come i rilievi di Castelnovo, per proseguire con scorci del Brenta, del lago di Fimon fino alle marine di Grado. La descrizione dei luoghi è essenziale e molto selettiva. Questa ricerca è dettata altresì dalla scelta di eseguire i dipinti utilizzando la spatola. Uno strumento che permette di stendere i colori e di tirarli in modo da ottenere particolari effetti di corposità e di profondità. Per raggiungere ottimi risultati il pittore deve compiere un sapiente gioco di polso per esercitare la giusta pressione utile a formare leggere rifiniture e velature. Composta da una lamina di metallo flessibile e da un manico in legno, il nome deriva dal latino spatula, diminutivo di spatha, spada. Ed è proprio con questa "spada dell'arte" che Michela Ligazzolo continua con coraggio la sfida di dedicare alla pittura sempre più tempo, coniugando gli impegni familiari con la sua grande vocazione che la fa stare bene.
Questo stato di benessere è maggiore quando lo sguardo si trova a contemplare un panorama. Henri Frédéric Amiel, scrittore e filosofo della seconda metà dell’Ottocento, affermava che “un paesaggio è uno stato d’animo”. Questa dichiarazione ci induce a pensare che un paesaggio possa condizionare il nostro stato d’animo ed essere la proiezione del nostro stato d’animo. Il paesaggio può essere fisico, mentale, della memoria, dell'esperienza: il paesaggio è quello che ognuno di noi si porta dentro, in ogni momento e in ogni luogo. Quando una persona, infatti, si domanda cosa sia realmente il paesaggio, si pone un interrogativo sul suo modo di agire nella realtà che la circonda in quanto l’individuo si definisce anche e soprattutto attraverso le azioni che compie. Lo scenario in cui queste azione si svolgono è il paesaggio, quindi, la riflessione su di esso significa interrogarsi sull’uomo e sulle decisioni che ne rappresentano il percorso. La Convenzione Europea del Paesaggio sottolinea il desiderio per le "popolazioni di godere di un paesaggio di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione" in quanto "il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale, e che la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua pianificazione comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo". L’uomo vive nel paesaggio, lo forma e a sua volta è condizionato da esso.
L'arte vuole esprimere proprio questo dialogo ma il percorso per raccontare al meglio questo valore è costato diversi secoli.
Quando il cielo di Giotto si fece azzurro e abbandonò la consueta emanazione dorata, la storia dell'arte visse un momento di fondamentale trasformazione. Ci vollero però ancora due secoli prima che si determinasse una seconda svolta. Fu quando ai cieli e alla natura, l'artista affidò un ruolo da protagonista. Un'intuizione nata proprio in terra veneta nei primi anni del Cinquecento, grazie a Bellini, a Giorgione e soprattutto a Tiziano. La parola "paesaggio" compare infatti, per la prima volta, nel 1552 in una lettera di Tiziano all'imperatore Filippo II, dimostrando la consapevolezza di una vera rivoluzione poetica. Dall'espressione di "paese", inteso come "sfondo" di una scena, si passa all'idea di paesaggio come espressione, colore, poesia: è la nascita dell'idea di paesaggio moderno. A questo si deve aggiungere l’arrivo a Venezia di artisti e di opere del Nord Europa che aprirono la via a nuove possibilità espressive: come in Brughel, per esempio, dove l’ambiente si carica di forza sentimentale e l'attenzione viene focalizzata anche su un dettaglio, sugli alberi, su una roccia o uno specchio d’acqua. O come in Jacopo Bassano dove l'atmosfera serena del paesaggio, tra sfumature e velature, si muove tra realtà e sogno (e il Consiglio comunale di Bassano del Grappa aveva capito benissimo questo talento se nel 1541, considerate le qualità pittoriche e la buona fama che il suo nome dava alla città, esonerarono il pittore dal pagare le tasse!). Il paesaggio diventò successivamente uno dei generi più frequenti soprattutto con gli Impressionisti, in Italia sapientemente rappresentati dal movimento corrispettivo dei Macchiaioli: al contrario dei romantici, questi pittori non volevano trasmettere particolari contenuti ma rappresentare i fenomeni ottici della luce e del colore con una tecnica veloce e a tratti non definiti.
Scriveva Renoir «Com’è difficile capire, nel fare un quadro, qual è il momento esatto in cui l’imitazione della natura deve fermarsi. Un quadro non è un processo verbale. Quando si tratta di un paesaggio, io amo quei quadri che mi fanno venir voglia di entrarci dentro per andarci a spasso».
Michela Ligazzolo s'inserisce e si fa interprete e degna continuatrice di quel filone artistico che tra Ottocento e Novecento ha rappresentato sulle tele il Veneto felice: armonie e paesaggi tra terra e acqua, dove il realismo si smorza nel lirismo; con artisti come Domenico Bresolin, Guglielmo e Beppe Ciardi, Lina Rosso, Pio Semeghini, Teodoro Wolf-Ferrari e Virgilio Guidi, per citare solo alcuni nomi, che agli albori del XX secolo aprirono la strada a una pittura nuova.
Vedere è tutto - affermava Cartier-Bresson - un conto è guardare, un altro è vedere. Credo che Michela Ligazzolo abbia la qualità di aiutare il nostro occhio in questo percorso di vera visione, dove il paesaggio diventa la nostra risorsa e il nostro vivere "qui e ora". Michela ascolta e dialoga con la natura soprattutto quando si sofferma sui fiori, come nel caso dello splendido soffione, tra le geometrie dei campi o lungo i corsi d'acqua che si allontanano verso l’ignoto: luoghi battuti dal vento per osservare e dipingere i silenzi maestosi, le trasparenze infinite e le diverse dimensioni naturali. Il suo approccio al mondo ci dice che niente è vile o laido, che niente è banale o insapore, a meno che non sia la nostra visione a essere carente. Si deve guardare e vedere: vedere dentro e intorno. Ne nasce una sinfonia musicale che avvolge l'osservatore. Michela Ligazzolo ci ricorda che esiste il paesaggio nell’arte e l'arte del paesaggio dove l’espressione artistica svolge il ruolo importantissimo di educare al valore dello sguardo e alla difesa della bellezza.