Michele Cesaratto – Pingendo
Per parlare del lavoro di Michele Cesaratto è fondamentale prendere in considerazione le due città in cui ha studiato: Firenze e Venezia.
Comunicato stampa
Per parlare del lavoro di Michele Cesaratto è fondamentale prendere in considerazione le due città in cui ha studiato: Firenze e Venezia. Città, indissolubilmente legate al suo lavoro, che rappresentano due momenti significativi dell'arte italiana: il Trecento e il Quattrocento.
La pittura sviluppatasi tra questi due periodi e luoghi ha un'influenza molto significativa sul lavoro di Michele. Influenza che non riguarda solo aspetti formali e tecnici dell'immagine, ma si estende all'approccio alla pittura che Michele condivide con alcuni artisti di quei tempi.
Passando da Fra Angelico a Pollaiolo, da Pisanello a Gentile da Fabriano e considerando anche in generale i cosiddetti “primitivi”, emergono chiare e a volte evidenti caratteristiche comuni.
Nonostante, infatti, l'eleganza e la raffinatezza delle loro opere, spesso a sfondo sacro, emerge sempre una dimensione ingenua nella pittura (ingenuo in- genui, generato da sè perciò puro). Questa ingenuità si riflette specialmente nei dettagli e nelle invenzioni delicate e semplici nonché nell’attenzione totalmente nuova e personale verso la natura e i suoi fenomeni: si pensi al corpus di disegni di Pisanello - in gran parte composto da studi sugli animali - o alla sostituzione del fondo oro con il paesaggio dei pittori citati, in cui l’elemento simbolico cristiano è eluso a favore dell’attenzione al paesaggio.
Nella pittura di Michele Cesaratto, che attinge molto dalla natura e da tutto ciò che lo circonda, si ritrova questa stessa ingenuità antica, a volte caratterizzata da sfumature ironiche, quasi buffe.
L’attenzione al paesaggio è ripresa, inoltre, dall’arte e dalla cultura cinese, da sempre motivo di costante interesse e ricerca per Michele.
La pittura cinese è quella che forse ha dato più importanza al paesaggio, ponendo il pittore di paesaggio sullo stesso piano del poeta ispirato, sino a trasformarsi in un esercizio spirituale: i dipinti su rotoli di seta venivano, infatti, racchiusi in scrigni preziosi e scoperti solo in situazioni intime, nello stesso modo in cui si poteva contemplare un oggetto sacro o leggere una poesia.
Così, i lavori di Michele risultano come connubio tra questi due mondi - la pittura italiana antica e la pittura cinese - e pertanto chiedono un raccoglimento dinanzi agli stessi, come se si trattasse di un dittico da preghiera del trecento italiano o un rotolo di seta dipinto in Cina..
Associare questi due elementi non è comunque impossibile: Mario Bussagli, noto orientalista Italiano, ci offre questa ipotesi singolare a riguardo: “Già Bernard Berenson rilevava che la spiritualità della pittura cinese raramente trova corrispondenza in Italia, ma, se la trova, questo avviene nella pittura senese del ‘300 e dei primi del ’400, per l’emotività e per lo slancio mistico delle genti di Siena. Ma se Berenson voleva stabilire una affinità spirituale senza implicare rapporti storici, si ricordi che non è affatto impossibile che pitture di epoca Sung o del primissimo periodo Yuan abbiano suggerito a Simone Martini non solo le caratteristiche dimensioni del suo grande affresco rappresentante Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi, ma fors’anche la stessa trattazione del paesaggio, degli steccati, delle insegne (..) A parte il diversissimo spirito che anima le opere di Simone, netta espressione di una sensibilità medioevale italiana, le dimensioni corrispondono a quelle di una pittura a rotolo orizzontale (l’altezza è un terzo della larghezza) mentre le corrispondenze dei particolari con soluzioni analoghe usate dagli artisti cinesi sono tali da far pensare ad un’imitazione”[1]
Leonardo Devito
[1] La pittura cinese, Mario Bussagli, Fratelli Fabbri editori p.14, Milano 1966