Michele Zaza – La radice del silenzio
Dopo la mostra del 2013, Giorgio Persano è felice di presentare, al primo piano di Palazzo Scaglia di Verrua – Torino, una
nuova personale di Michele Zaza, dal titolo “La radice del silenzio”, realizzata in collaborazione con l’Artista e il suo
Archivio.
Comunicato stampa
Dopo la mostra del 2013, Giorgio Persano è felice di presentare, al primo piano di Palazzo Scaglia di Verrua – Torino, una
nuova personale di Michele Zaza, dal titolo “La radice del silenzio”, realizzata in collaborazione con l’Artista e il suo
Archivio.
La mostra restituisce un dialogo pieno di rimandi tra alcune opere con foto in bianco nero del 1974 e 1975 e un
particolare periodo dell’indagine dell’artista risalente alla metà degli anni Novanta.
Se nelle opere degli anni Settanta si fa evidente il “teatro personale e familiare” di una rappresentazione da camera di
carattere esistenzialista, le opere degli anni Novanta, sempre in bianco nero, restituiscono una forma più astratta e
cifrata, concentrandosi sul volto in primo piano, accostato a forme scultoree dall’aspetto cicladico – sempre fotografate.
Dal 1974 Zaza realizza diverse serie fotografiche con il titolo
Mimesi, nelle quali ricorre spesso la sua figura sospesa a
testa in giù: “il mio pavimento non era la terra, ma era il cielo: appoggiavo i piedi idealmente sul suolo del cielo, e non
sul suolo della terra. L’ovatta ne è metafora per questo. Vi è il desiderio di essere cielo, di essere l’universo”.
In un’opera in mostra (
Mimesi, 5 foto) vediamo la testa capovolta e parzialmente annerita che oscilla all’ingiù
descrivendo un arco di 360 gradi. Il peso preme e la soffice ovatta contrasta con esso. In corrispondenza delle diverse
inclinazioni del capo vi è l’andamento del tempo indicato dalla sveglia, con il quadrante che man mano si cancella.
In altre opere ancora esistenza e assenza, tempo e ignoto, sono a confronto. Il volto del padre dell’artista dipinto di
scuro, in
Mimesi da 7 foto, diventa un rituale del passaggio verso una dimensione senza corpo, totalmente onirica.
L’oscurità e il nero sul viso ritornano in modo preponderante negli anni Novanta. Nelle opere del 1997 – come
Il centro
del respiro (23 foto bianco nero),
Corpo centrale (3 foto bianco nero),
La radice del silenzio (24 foto bianco nero),
La via
del respiro (4 foto bianco nero) – assistiamo a un vocabolario formale asciutto e incisivo, dove il volto acquista centralità
e si confronta continuamente con una immagine (oggettuale) immaginaria, un corpo inventato, in una dimensione unica e
“metafisica”.
Nei lavori di Zaza vi è dunque un percorso ideale verso un corpo simbolico senza tempo: dalla sua figura capovolta (la
testa in giù) del 1974-1975, alla presenza scultorea alla quale si accostano volti che compaiono dalla profondità del nero.
Come sottolinea Michele Zaza, nelle sue opere emerge inoltre “l’evocazione, la ricomposizione e la incarnazione di una
unità perduta” che sollecita sempre “la mente a ribellarsi all’idea del maschile e del femminile”.
La forma astratta che vediamo nelle foto, quanto il viso dell’artista, o il volto femminile in
Corpo centrale, emergono dal
buio del silenzio, che per Zaza è “silenzio del pensiero”, ovvero un tempo meditativo, assoluto, che porta con sé anche un
tempo circolare – come per l’opera
La radice del silenzio, che dà il titolo alla mostra.
Le 24 foto in bianco nero mostrano il volto dell’artista attraversato verticalmente (tagliandolo in due) da una sorta di asse
che mantiene un grande fiore di ovatta bianca, metafora del respiro, della luce e della leggerezza. Il ripetersi dei 24 volti
esprime la scansione delle 24 ore di un giorno, la loro ciclicità. Difatti “è il tempo circolare: l’uomo scompare e poi
rinasce all’infinito, perpetuandosi. Un tempo che filosoficamente può essere definito come l’immagine mobile
dell’eternità immobile.”
Sia nella metà degli anni Settanta sia nella metà degli anni Novanta, Michele Zaza trasforma così l’esistenza da
materiale a immateriale e viceversa. I volti cercano di apparire dall’oscurità o abitare in essa. Le opere sembrano
proporre un doppio che si muove tra la nera sostanza e un’energia illuminante, a volte una fonte luminosa nascosta che
irrora luce e rivela le parti.