Minima Marginalia
Prendendo a pretesto il nome dell’Ex Fabbrica Visibilia, il progetto fa leva sul desiderio di vedere, di conoscere, di sapere, ossia su quell’interesse ozioso che non è altro che la possibilità di prendersi il tempo necessario per pensare o fare qualcosa che ci piace. In questo senso la mostra ruota intorno ai marginalia, che potremmo definire come una sottocategoria dei mirabilia; a differenza degli “oggetti di meraviglie”, i marginalia sono “oggetti di curiosità”, intendendo qui per curiosità quell’esercizio critico che sollecita i nostri processi intellettuali e manuali.
Comunicato stampa
Prendendo a pretesto il nome dell’Ex Fabbrica Visibilia, il progetto fa leva sul desiderio di vedere, di conoscere, di sapere, ossia su quell’interesse ozioso che non è altro che la possibilità di prendersi il tempo necessario per pensare o fare qualcosa che ci piace. In questo senso la mostra ruota intorno ai marginalia, che potremmo definire come una sottocategoria dei mirabilia; a differenza degli “oggetti di meraviglie”, i marginalia sono “oggetti di curiosità”, intendendo qui per curiosità quell’esercizio critico che sollecita i nostri processi intellettuali e manuali.
La curiosità – che è sinonimo di “stranezza” e “stravaganza” – viene accentuata dal rendez-vous tra gli artisti, oltre che dalla strana mésalliance delle loro opere (che sono sempre di piccole dimensioni, quindi “marginali” rispetto alla capienza dello spazio espositivo). Tenendosi a debita distanza dal ludico gigantismo e dal facile sensazionalismo, le opere cercano di instaurare con i visitatori una sorta di [in]discreta empatia, a riprova del fatto che la curiosità deve essere sia incoraggiata che soddisfatta.
Nel suo insieme, il progetto da vita a un moderno cabinet de curiosités che simpatizza con il gusto per la bizzarria e con la tecnica dell’assemblaggio (tutti gli artisti invitati tendono infatti ad appropriarsi del mondo e a manipolare la realtà). Assunti in un sistema di sapere circolare ma che non ha soluzione di continuità, le opere non soccombono alla nevrosi dell’accumulo compulsivo, soddisfano anzi una minima[le] tesaurizzazione, come a voler enfatizzare lo stupore che si genera di fronte a opere che sono minute o modeste solo all’apparenza. Gli spettatori sono quindi invitati a diventare dei logografi, vale a dire degli interlocutori che sappiano de-scrivere una storia attraverso gli oggetti che qualcun altro ha creato e raccolto al posto loro.