Mirco Tarsi – La Corona e la Spada
In questa nuova mostra personale, Mirco Tarsi (Ostra Vetere 1974) presenta la più recente fase del suo lavoro, così fortemente e tradizionalmente caratterizzato dalla ripetizione ossessiva della figura del dente, riuscendo a sterzare su un piano più metafisico, o più complesso, pur mantenendo l’evidenza dell’icona scelta, marchio inestinguibile del suo rapporto con il mondo.
Comunicato stampa
In questa nuova mostra personale, Mirco Tarsi (Ostra Vetere 1974) presenta la più recente fase del suo lavoro, così fortemente e tradizionalmente caratterizzato dalla ripetizione ossessiva della figura del dente, riuscendo a sterzare su un piano più metafisico, o più complesso, pur mantenendo l'evidenza dell'icona scelta, marchio inestinguibile del suo rapporto con il mondo.
Il risultato, non appare come una conciliazione scarnificata nel conflitto, ma invece proprio come una evoluzione, come un pensiero ampliato, di temi interpretativi, come un disvelamento di forze dell'anima. La chiarità delle espressioni dell'uomo è la vera ricerca.
Nella bocca, la dentatura sembra formare corona alla spada, a meno che non sia l'ultimo baluardo che l'uomo incontra entrando nel palato ultimo. Questa "chiostra di fini perle", come canta il poeta, è una corona? È un baluardo?
In riga, stretti l'uno all'altro dietro le labbra, i denti somigliano ad un ultimo guardiano della soglia, da un lato mostro della porta e dall'altro realtà divina.
I denti davanti alla lingua sono lo scudo davanti alla spada. I miti confermano quest'immagine?
Due racconti della mitologia greca affidano ai denti il ruolo di semi. Da essi germinerà un'armata di guerrieri che, in una giornata, dovrà essere vinta dall'eroe del racconto:
- uno di questi eroi è Cadmo, fondatore della città di Tebe;
- l'altro è Giasone, del quale conosciamo già la storia.
In entrambi i casi i denti provengono dal drago che Cadmo ha ucciso precedentemente. Chi è il dragone? Questo mostro è, per eccellenza, il guardiano del tesoro. Del rettile il suo corpo ha mille anelli di bronzo; dell'uccello ali fantastiche, ma la testa ha lo splendore dorato del metallo; la gola è armata d'una triplice fila di denti, la lingua dardeggia tre aculei affilati e vibranti, gli occhi sono avvolti nel fuoco. Animale favoloso, esso custodisce al tempo stesso terra, cielo e inferi.
Inchiodandolo ad una quercia, albero verde e simbolo di fecondità - all'altezza della gola, "porta degli dèi" - Cadmo è vittorioso sul mostro. «Strappa i denti al drago» consiglia allora Pallade Atena, dea guerriera uscita dal cranio di Zeus con un casco d'oro in testa, «e semina i denti nella terra perché siano la semente di un nuovo popolo illustre».
Da questi semi sorgono migliaia d'uomini armati, in mezzo ai quali, per ordine della dea, Cadmo getta una pietra. Credendosi attaccati gli uni dagli altri, i guerrieri s'ammazzano tra loro. Cinque valorosi eroi escono indenni dalla carneficina. Diventano, con Cadmo, pietra angolare di Tebe.
La costruzione di Tebe, ordinata dall'oracolo di Delfi, sembrava quella della città santa (la Gerusalemme celeste degli ebrei). Non dimentichiamo che il delfino (legato all'oracolo di Delfi) fa eseguire gli ordini di Nettuno, e che Nettuno, dio delle profondità marine, ha per scettro il "tridente". Sotto questo emblema ritroviamo il simbolo di Cerbero, cane a tre teste che custodisce gli inferi e il cui corpo è quello del drago.
Vincere Cerbero o vincere il drago appartiene alla verità così come al mito: in entrambi i casi si tratta di vincere gli inferi prima di penetrare nei palazzi e costruire la "città santa".
Ucciso il mostro, Pallade Atena funge da guida. Uscita dal cranio di Zeus (a livello del cakra coronale), la vergine guerriera è la sola a conoscere questo piano divino: la "città in alto" di cui la "città in basso" è l'immagine. Tebe quanto Gerusalemme esistono nella geografia terrestre solo come immagini della geografia celeste.
A questo punto i denti del mostro giocano il ruolo capitale di "germi" degli abitanti della città futura. Questi abitanti si ergono come Pallade Atena, armati e con l'elmo, per una battaglia divina. Che cos'è questa battaglia?
Il dramma si gioca attorno alla pietra lanciata dall'eroe per ordine della dea: credendosi attaccati i guerrieri si uccidono. In verità lottano con la pietra: in questo modo la pietra e i denti rivelano quello che sono.
Abbiamo ricordato spesso il simbolismo della pietra: per esempio, nel mito greco, le pietre che lanciarono Deucalione e Pirra sopra le loro spalle per ripopolare la terra distrutta dal diluvio. Si trattava, anche in tal caso, dei semi di una futura razza, nati da una coppia "uscita dall'acqua", cioè entrata nel processo di evoluzione spirituale. Gettate sopra le spalle, le pietre erano certamente promesse di frutti spirituali.
In verità, ogni dente del drago battuto gioca il ruolo di una piccola pietra. Ma ci troviamo qui su un piano superiore del mito: il drago battuto, la discesa agli inferi assunta e i denti gettati nella terra per germogliarvi e portare frutto confermano il processo di morte e risurrezione di ogni essere che diventa Verbo.
I guerrieri, nati armati e con il casco ad immagine della dea - che sembra avere il ruolo di padre-madre con il suo Verbo creatore -, che si credono attaccati dalla pietra gettata in mezzo a loro, sono per questa pietra ciò che gli eletti della tradizione giudaico-cristiana sono per la spada. Essi devono misurarsi con essa. Cinque di loro sopravviveranno. Cinque tra loro "si rivelano pietra" e raggiungono Cadmo per fondare la città santa.
In questo senso la spada o la pietra identificate col Verbo trovano la pienezza della loro potenza simbolica nelle Scritture, dove l'antico e il nuovo testamento si corrispondono e si confermano a vicenda: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra angolare» (Salmo 118,22), e l'evangelista Luca continua con le parole stesse di Cristo: «Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e a chi cadrà addosso, lo stritolerà» (Luca 20, 18).
Da parte sua l'apostolo Paolo, riferendosi alla profezia di Isaia (28, 16), dice: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d'inciampo e un sasso di scandalo, e chi crede in lui non sarà confuso» (Romani 9, 33).
La pietra angolare è quella su cui il tempio ha fondamento, è il suo principio e contiene il suo compimento. Principio e fine, essa è l'alfa e l'omega, ed entrambe fanno una cosa sola. Perciò la città santa potrà essere costruita solo da coloro che, facendosi pietra-fondamento, si saranno misurati con la pietra angolare.
In questo senso Simone, uno dei dodici, dopo aver confessato il Cristo figlio di Dio, si confronta con la pietra d'angolo di cui Cristo dice: «Su di essa costruirò la mia chiesa» (Matteo 16, 17). Simone diventa allora Pietro, una delle dodici pietre di fondazione della chiesa.
In quest'ottica, c'è ancora bisogno di menzionare il secondo mito greco cui i denti del drago fanno riferimento, quello di Giasone che usurpa il trono d'oro? È una ripetizione, dal punto di vista simbolico, di quello che abbiamo appena trattato, ma invece della dea a sovrintendere al suo ordine c'è Medea, la maga, che manipola le forze in gioco in base a poteri infernali. Nessun guerriero nato dai denti del drago sopravvive alla carneficina. Satana si leva contro Satana, il suo regno si distrugge da sé.
Il regno divino, al contrario, la città santa, si costruisce a partire da pietre, ognuna delle quali, dopo essersi misurata con la pietra angolare, alfa e omega della costruzione, è divenuta pietra angolare.
L'apostolo Giovanni termina il libro dell'Apocalisse con la visione della Gerusalemme celeste, dopo che «Colui che sedeva sul trono aveva detto: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose [...]. Ecco sono compiute! Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine"» (21,5-6). L'apostolo descrive poi la città: «Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello» (21, 14).
Il muro di cinta, una corona un tempo tracciata ritualmente nel cerimoniale di fondazione di una città, la collega al cielo più di quanto non la difenda dai nemici della terra. I suoi merli dentati hanno la stessa origine di qeren קרן, il "corno" - che darà anche la "corona" - (in inglese, corner- stone è anche la pietra angolare!).
La corona dentale, muro della città santa, contorna e protegge la lingua, la spada, il Verbo. Il simbolismo ebraico conferma ciò che si è ora detto.
Il "dente" è la lettera šin ש che ha la forma di un tridente e il valore numerico 300. Scomponendola, si scrive שן e ha valore 300+700=1000 (come il corno qeren קרן il cui valore è 100+200+700=1000). Vi troviamo quindi non solo l'unità profonda del divino mistero trinitario che presiede alla creazione dei mondi, ma soprattutto viviamo, nel simbolismo del 1000, l'unità ritrovata, riconquistata, che abbraccia la totalità dei mondi compiuti.
Per gli ebrei la lettera šin è intimamente legata ai tre patriarchi - Abramo, Isacco e Giacobbe -, pietre di fondazione d'Israele che sostengono le dodici tribù e dai quali nascerà il Verbo. Il dente šin significa anche "punta di roccia". In Egitto, la piramide tronca trova il suo completamento. In Israele, keter, la corona è posta sul coronato. Keter כתר ha valore numerico 20+400+200=620. Il coronato è colui che "ha fatto l'alto come il basso", che ha riunito "il mi e il maʻ. Ora, nella Genesi, "la distesa" che separa il mi dal maʻ (1, 6) è רקיע raqya, il cui valore numerico è 200+100+10+70=380, al quale è chiaramente complementare keter - 620 (620+380=1000). Ritroviamo il numero 380 nel nome di Yesha' ישע , il Salvatore (10+300+70=380).
Questa "distesa-raqya'" è chiamata šamma'ym nel secondo giorno della Genesi. Proprio intorno alla lettera šin il mi e il maʻ sono riuniti.
Sotto questa visuale simbolica il dente a punta di roccia è al tempo stesso la corona e il coronato. È il completamento dell'"opera".
La punta della "roccia" (di reš, la testa) è la sommità della testa, al cui livello studieremo più approfonditamente il simbolismo della corona e il significato dell'apertura del cakra coronale (da dove è nata Pallade Atena).
Per noi, che abbiamo studiato il simbolismo della testa del cane, sarà interessante constatare che i canini hanno, in rapporto agli incisivi nella corona dentaria, la stessa posizione che ha la costellazione del Cane in rapporto al Sole nel cielo del solstizio d'estate, o quella dei personaggi cinocefali in rapporto a Cristo in gloria nella Corona degli eletti che corre attorno al timpano della basilica di Vézelay.
I denti del giudizio, con le loro tre radici, non sono estranei né alla saggezza, ḥokmah (che si unisce a keter), né al tridente.
Il tridente, scettro di Nettuno, dio delle acque sotterranee per i greci, e di Ganeśa, dio dell'inconscio per gli indù, è il simbolo dell'unico potere della Tri-unità divina.
"Corona di fini perle", i denti sono dunque anche gli "scudi" chiusi davanti alla spada. Gli scudi si aprono solo dopo aver verificato colui che penetra nella sua dimensione di Verbo.
Pietre di fondamento, i denti non possono essere che della stessa qualità della Pietra angolare, il Verbo.
Tutto si conferma.
E quando il simbolismo onirico ci reca immagini di denti che cadono o di denti cariati, bisogna sempre interrogarsi sulle nostre strutture profonde e sulla qualità del nostro verbo.
I nostri scudi non dovrebbero mai lasciar passare una parola ingiusta. «I padri hanno mangiato l'uva acerba e i figli ne hanno avuto i denti allegati».
I denti, in quanto strutture, hanno anche le loro radici parentali.
Dobbiamo darli sani ai nostri figli: ciò esige la nostra santità, cioè il nostro compimento.
Annick de Souzenelle, Il simbolismo del corpo umano, cap. XVII, I Denti, Servitium editrice, Bergamo, 1999.